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16.7.20

Relazioni amorose pericolose

 Fonte: Città Nuova


Impara a riconoscere i segnali che nuocciono alle relazioni amorose. Cosa fare?


Le relazioni amorose non nascono violente, lo diventano nel tempo e per fasi. Spesso chi sta accanto coglie per primo segnali che stonano, che risultano incomprensibili come gelosie, divieti, false interpretazioni, piccole intonazioni nella voce che segnalano ciò che non si deve fare ed il confine da non superare, fino ai tentativi di escludere altri tipi di legami e contatti.

Il modo in cui questa violenza si esprime nella diade è differente e varia dalla fase di vita della coppia e da chi la esprime. Essa può essere verbale o fisica, sessuale o riguardare atti di trascuratezza o di persecuzione. E può riguardare sia uomini che donne sebbene la letteratura e la casistica sono abbondantemente sbilanciate sul numero di casi che riguardano le donne.

Ma cosa fare quando ci si trova dentro una relazione che può divenire pericolosa?

La prima cosa è non pensarsi soli. Questo è quello che generalmente chi assume il ruolo di carnefice in una relazione che ha una base violenta vuol far credere alla vittima. Cadere nell’isolamento fisico e mentale sarebbe molto pericoloso.

Mantenere il contatto ed il confronto con gli altri. Per quanto faticoso ed a tratti anche rifiutato è importante per chi si trova in una relazione che ha le premesse per divenire violenta non isolarsi né mentalmente né fisicamente.

Non chiudersi in una prospettiva da salvatore/crocerossina. Nessuno può essere salvato se prima non riconosce di avere un problema e fa azioni coerenti per farsi aiutare professionalmente.

Divenire consapevole di quali meccanismi che appartengono a sé si incastrano con quelli del partner. I bisogni e le paure che tengono insieme i membri della coppia sono speculari, ognuno rinforza un aspetto dell’altro.

Reinterpretare i sentimenti comuni di paura o vergogna. La paura non dovrebbe essere tanto delle ripercussioni che il partner potrebbe subire o che dal partner si potrebbero subire, bensì di come personalmente ci si sta trasformando. La vergogna si genera per una falsa interpretazione della situazione in cui si ritiene di “non andare bene”. Nel fare qualcosa per proteggersi e nel riattivare quella forma di sano amore verso sé stessi, non ci può essere vergogna.

Reimparare a gestire i confini tra sé e l’altro. Un eccesso di preoccupazione per l’altro a discapito di sé manca di un equilibrio di base. È importante riappropriarsi dei propri pensieri e non temere di lasciar emergere le differenze. Dire in maniera chiara cosa va e cosa non può funzionare. Indicare all’altro il limite oltre il quale non ci può essere spazio di continuità e di vicinanza. Non lasciarsi frenare dal timore di nuocere all’immagine dell’altro.

Comprendere il senso di colpa. Questo sottile vissuto fa da sfondo a molte relazioni conflittuali ed è un indice molto importante per comprendere il dinamismo interno ai partner. Talvolta si tratta di coppie in cui questo vissuto viene scaricato vicendevolmente l’uno sull’altro, altre volte è unidirezionale. Le prime sono coppie altamente conflittuali, nelle seconde è avvenuta una suddivisione dei ruoli e del potere nella coppia. In ogni caso il senso di colpa come vissuto indotto, è un segnale che la relazione è divenuta manipolativa.

Questi comportamenti possono essere attuati nelle fasi in cui emergono i primi segnali, quando possono ancora essere determinanti nello scegliere di proseguire o meno la relazione. Diventa invece più complicato intervenire quando la relazione diventa violenta ed il circuito vittima-carnefice si afferma. In questo caso è molto difficile che chi è nel ruolo di vittima riesca a mantenere quella chiarezza di pensiero che gli permetterebbe di distinguere l’aggrovigliato mondo di pensieri, emozioni, vissuti e azioni personali e quelle dell’altro. La dipendenza psichica che si instaura tra i due rende in questa fase impossibile qualunque intervento esterno fintanto che non si verifica un evento limite.

Una prevenzione efficace è “teoricamente” possibile e coinvolge anzitempo l’intero assetto familiare e socio-ambientale in cui l’educazione affettivo-sessuale e lo sviluppo psico-emotivo delle persone si inseriscono. Questa compagine comprende così tante variabili che nella vita reale per lo più sfuggono al controllo, ma alle quali per quanto possibile si può dare attenzione in svariati modi: attraverso scelte personali e familiari, stili di vita, modi di utilizzo del tempo e spazi per la riflessione comune.

In questo senso non dovrebbe mai mancare, a mio avviso, la consapevolezza che accanto alla libertà di scelte personali dei vari attori coinvolti, secondo la teoria dell’apprendimento per modeling (cioè per osservazione) ciascuno nel proprio contesto assume in ogni caso un ruolo di “modello”.



6.5.20

Innamorati al tempo del Covid 19, la bellezza di ritrovarsi

 Fonte: Città Nuova


Da quando è cominciata la Fase due dell'emergenza Covid 19 è possibile incontrare i fidanzati o comunque le persone amate che erano lontane. Ma, nel frattempo, qualcosa nel rapporto può essere cambiato...


Tipico degli innamorati è la frenesia e il desiderio di rincontrarsi. I minuti che tengono lontani sembrano ore e le ore sembrano giorni, interminabili fintanto che non si è vicini all’altro. Al contrario, quello trascorso insieme è un tempo che scorre veloce. Esso ha una espansione e una densità in cui non ci si riesce mai a spiegare come sia possibile aver fatto o condiviso così tanto in solo un pomeriggio insieme.

Fidanzati e amanti che per circa due mesi si sono ritrovati a rimanere obbligatoriamente separati a causa dell’emergenza coronavirus, per disposizione del decreto del premier Conte, per chiusure dei confini regionali o nazionali (pensiamo a chi vive in stati diversi), per minacce di perdita di lavoro o più semplicemente per non correre rischi se appartenenti o vicini a chi rientra nelle fasce a rischio, possono dal 4 maggio tirare un sospiro di sollievo. La fase due dell’emergenza è cominciata e si può finalmente tornare a vedersi dal vivo.

Questo tanto sospirato momento è capace di appagare il piacere del trovarsi finalmente vicini, ma può rappresentare anche una nuova sfida per la coppia. La tecnologia è stata di grande supporto per accorciare le distanze, per continuare a crescere e sentirsi emotivamente vicini, per abbattere la solitudine. Ritrovarsi vis-à-vis avrà però l’effetto di dirsi come si è cambiatidentro in questo tempo e tornare a sintonizzarsi su una percezione reale, e non filtrata da uno schermo, di come si sta passo passo diventando. Quali desideri, progetti e priorità sono maturati, per confermarsi o rivalutare il piacere del ritrovarsi e dello stare insieme. Anche per dirsi cosa è mancato di più.

Gli innamorati si sa sono campioni in promesse e all’amore spetta il ruolo di mantenerle. Alcune relazioni sono state interrotte in una fase iniziale, altre erano già consolidate, qualcuno era alle soglie del matrimonio che ha dovuto rimandare. Rinnovarsi intenzioni ed emozioni aiuta a fare il punto della situazione, a dirsi quanto si è continuato a camminare l’uno nella direzione dell’altro. Ci sono cose che ad esempio, per l’esperienza di questi mesi, sono passate sullo sfondo ed altre che sbalorditivamente sono venute in luce. Su cosa si fonda l’amore che l’uno prova per l’altro oggi?  

Queste rivalutazioni sono parte del percorso di crescita che le persone fanno come individui dentro alla relazione. Ci sarà qualcuno che vorrà spingere il piede sull’acceleratore per accorciare le distanze e velocizzare progetti come l’andare a vivere insieme o sposarsi. Progetti belli, ma che hanno bisogno di fondarsi sulla misura dell’amore reciproco piuttosto che sul bisogno di accorciare le distanze o di non sentirsi soli.

Poi ci sono le coppie che lontane lo erano già, fisicamente o emotivamente. Alcune di esse potrebbero aver approfittato dei ritmi di vita più lenti per accedere ciascuno al proprio personale mondo interno così da renderlo più accessibile anche all’altro e riscoprendo l’intimità emotivaMentre altre potrebbero aver vissuto male la propria solitudine e innalzato barriere ancora più alte. Ritrovandosi face to face tutto questo viene messo in condivisione con quanto vissuto dall’altro e solo nella dimensione relazionale potrà assumere un senso affinché la coppia se ne prenda cura e lo inglobi nella propria storia, decidendo che ruolo dargli.

Questo tempo di sospensione può essere stato anche un tempo di riflessione e ridecisioni per quelle coppie in cui la relazione non andava molto bene. La lontananza in questi casi è complice e permette quel certo distacco che aiuta a vedere più chiaramente gli aspetti che nella routine difficilmente vengono colti, sia che si tratti di aspetti da rivalutare positivamente sia che si tratti di caratteristiche da soppesare.

Come con tutti gli aspetti della vita a ben guardare l’esperienza del Covid-19, se vissuta cogliendone le occasioni intrinseche, aiuta anche in campo amoroso a mettere a nudo la verità e la profondità sia delle relazioni sia dell’animo umano. A noi ogni volta avere occhi ed orecchie per scorgerle e decidere cosa farne.



10.5.19

Imparare a volersi bene



Se non si è capaci di prendersi cura di sé stessi e di apprezzarsi non si può neanche riuscire bene a dare attenzione e amore agli altri.

Nella ricerca del partner non sempre tutto scorre liscio. In alcuni casi si può arrivare anche a perdere la fiducia in sé o nell’altro, ad arrabbiarsi o addirittura a rassegnarsi di fronte alle situazioni che non cambiano. In questo groviglio di sofferenza la persona rischia di trascinarsi per anni. Impossibilitata a uscire fuori da un circolo vizioso che parla di alcune ferite aperte e mai del tutto sanate, perché troppo dolorose da curare. La si ascolta parlare dunque in modo rassegnato su come vanno o sono andate le cose nella sua vita, ora arrabbiata verso sé stessa, ora verso l’altro, ora verso la vita stessa.
Queste persone hanno in genere delle consapevolezze a metà, mancano cioè delle dovute connessioni l’una con l’altra. Ci sono dei processi che la nostra mente a volte opera per tutelarci da verità ritenute troppo dolorose per l’equilibrio emotivo e la stabilità interna della persona. Per questo motivo al posto delle connessioni logiche, che darebbero senso e permetterebbero di superare questi blocchi proprio attraverso l’attraversamento del dolore, si vengono a formare delle deduzioni spesso illogiche che però hanno una parvenza di verità nella mente dell’interessato.
Durante una conferenza per single una donna di circa 45 anni si interrogava rassegnata su che senso potesse avere alla sua età mettersi in discussione, affrontare un lavoro terapeutico. Il suo punto di osservazione partiva dal fatto che riteneva già chiusa la possibilità di una relazione e di una famiglia. Con rabbia raccontava dei rimandi negativi avuti da più parti nella sua vita. Si poteva percepire nelle sue parole un dolore profondo, una rabbia ed una rassegnazione.
Il dolore profondo è legittimo. L’umanità ferita grida dentro ciascuno quando sente che non gli viene resa giustizia e non essere rispettati per ciò che si è, ma valutati per ciò che si fa, arreca dolore. Umano è anche voler tacere questo dolore, così come può accadere di provarne vergogna sentendosi inadeguati. Umano è il tentativo di cercare di nasconderlo agli occhi ed al cuore e di far finta di nulla per sopravvivere. Umano, ma non logico! Perchè senza dolore nessun bruco diventa farfalla, non c’è nascita né vita, non c’è crescita, non c’è sviluppo interiore.
La rabbia è energia vitalefinché c’è rabbia nelle persone c’è anche una speranza. È quando la rabbia diventa distruttiva che la persona perde il lume della ragione e l’energia vitale che le sottostà non può svolgere la sua azione. Ove c’è rabbia c’è un bisogno o un diritto leso. Imparare ad ascoltare questa rabbia alleggerisce tensioni muscolari, alleggerisce la mente ed i pensieri, permette di prendersi il tempo per riflettere e comprendere non solo da dove essa origini, ma come occuparsene.
La rassegnazione è misura ed indice della resa e perdita di speranza di fronte al pensiero “non c’è nulla che si possa fare”. Più essa è grande più si è vicini alla l’ultimo stadio prima di gettare la spugna ed arrendersi ad una vita che sovrasta. Ma è proprio vero che non ci sia nulla da fare?Molte volte ci si arrende senza neppure provare. La paura di misurarsi con una situazione, l’inesperienza nell’utilizzare le proprie competenze, la difficoltà a volte di riconoscersele, il pregiudizio di dovercela fare da soli e la conseguente difficoltà a chiedere aiuto fanno sì che si sovrastimi la reale entità della situazione e si disconoscano le risorse disponibili, quelle proprie e dell’ambiente circostante.
Raggiungere una nuova visione di sé come persona degna, implica un risveglio emotivo verso la propria persona e di imparare a guardarsi con occhi nuovi. Innamorarsi di sé è un atteggiamento, è una nuova primavera dei sensi che consta in piccole accortezze: dal fare cose belle e buone per sé stessi che restituiscano un senso di valore alla propria persona, al trattarsi bene, ad esempio curando il proprio aspetto o il proprio ambiente senza alcuno scopo specifico.
Riacquistato questo amore verso sé stessi, si può meglio amare anche l’altro. D’altronde il presupposto per amare è e resta “Ama l’altro come te stesso”, che indica chiaramente come senza prima un amore a sé, l’amore all’altro non ha una struttura, un modello a cui riferirsi.

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11.1.19

La fatica di crescere



La capacità di rinnovarsi è importante per ogni persona e quando si interrompe si può ricorrere all’aiuto psicoterapeutico per ripristinarne la funzionalità.



Ricordo più di una paziente che, durante i nostri appuntamenti, pian piano ha scoperto quanto immobilismo ci fosse nella sua vita, apparentemente così piena di tante cose da fare, con il suo continuare ad essere accondiscendente con i genitori nonostante vivesse oramai da sola e avesse un lavoro. Bastava ritornare a casa per il pranzo settimanale o per una vacanza o durante le feste e sentiva il dover di rivestire i panni della ragazzina, figlia, compiacente. Il gioco era facile e sempre lo stesso: una volta entrati in casa si doveva far finta che tutto il mondo fuori non esistesse e che lei fosse ancora la loro bambina. Una volta fuori dalla porta di casa dei genitori, il gioco sarebbe finito e lei avrebbe ripreso la “sua” vita.
È la storia di molti giovani che si costringono ad una consapevole doppia identità quando non si tratta invece di un inconsapevole falso sé, pur di non dover misurarsi con le emozioni e la forza di affermare la propria identità.
Una donna simbolizzò questo processo con questa frase: «Quando torno a casa loro, indosso sempre gli stessi abiti, quello con cui tutti in paese mi riconoscono». E pur nella consapevolezza di stare stretti in quella situazione, nel desiderio di voler essere sé stessi, liberi da uno schema a cui si sente l’obbligo di dover partecipare, c’è un dolore che è lo stesso del bruco che si sta per trasformare in farfalla. «Sembra come se una parte di me debba morire e questo mi è difficile e doloroso», diceva una giovane ragazza nel pieno di questa fase della differenziazione e dell’individuazione. Quella, cioé, dell’ultimo periodo dell’adolescenza, che si conclude con l’avvio della fase adulta. È attraverso di essa che ci si può riconoscere pienamente se stessi. È una fase in cui l’obiettivo è scoprirsi come esseri unici ed irripetibili, consapevoli della propria forza interna, e per raggiungerlo sono necessari permessi interni e permessi genitoriali.
Il raggiungimento di questo obiettivo è accompagnato da piccole, naturali e momentanee delusioni che possono essere più o meno grandi a seconda del grado di vulnerabilità presente nella relazione genitore-figlio. Ad es. il figlio rifiuta un regalo o una indicazione che non corrisponde più al suo gusto che cambia, oppure esprime idee, modi di fare e bisogni totalmente diversi da quelli che il genitore gli attribuiva e si sarebbe aspettato.
Quando il grado di vulnerabilità della relazione, per vari motivi, è alto, può accadere che per non provare dolore nel veder soffrire i genitori, e credendo di dover continuare ad “ubbidire”, alcuni figli rinunciano ad attraversare questa fase. Così facendo non misurano la loro forza interiore e finiscono per pensarsi deboli e inadatti: né bravi figli realizzati come mamma e papà (e la società) desidererebbero, né se stessi fino in fondo, né abbastanza adulti nonostante una vita apparentemente autonoma.
Cosa accade generalmente a chi resta immobilizzato in questa fase? Molti di essi finiscono per restare single e mettono in dubbio la fondatezza del desiderio di avere una relazione. Molti altri cercano relazioni in cui non devono mai fino in fondo definirsi e dunque assumere un ruolo, delle responsabilità e compiere delle scelte. Quando arriva il momento in cui è necessario farlo, trovano il modo di scappare dalla relazione con mille giustificazioni.
Alcuni entrano in una relazione di coppia dove molto del loro ruolo è delegato all’altro (è l’altro che risponde al proprio posto, è l’altro che fa, gestisce e dispone e non è necessario l’essere almeno messi al corrente perch: “Mi fido di come lo fa!”). Una relazione di coppia in cui uno dei due partner non ha completato la fase della differenziazione è molto esposta alle interferenze della famiglia di origine o allo scoppio improvviso del partner che subisce l’eccesso di delega.
La presenza del partner, a sua volta, spesso è l’occasione-stimolo per completare quei processi di separazione e individuazione dal nucleo della famiglia di origine che non erano del tutto conclusi. Ed è proprio in questo spaccato che spesso trovano l’incipit le problematiche tra partner e famiglia di origine.
Il processo che accompagna lo sviluppo di una maturità affettiva, cosa ben diversa dall’autonomia, è lento e risente di numerose variabili, alcune legate alle circostanze di vita di cui non abbiamo fatto alcuna menzione in questo articolo. Esso ha anche i suoi risvolti nella vita futura della persona. Ed è la vita stessa che mostra a ciascuno quando è arrivato il momento di mettere mano ad alcuni aspetti di sé. Un tempo che necessariamente dovrebbe essere di riconciliazione con la propria storia.


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4.1.19

Parliamo di noi, come coppia




L’essere un noi nella coppia è una tappa che si raggiunge col tempo e con esso si affina anche la capacità di narrare, a sé stessi ed agli altri, di sé come coppia  



Siamo abituati a pensare alla coppia che vive delle situazioni, fa esperienze, attraversa dei momenti a volte anche di stallo. Una coppia in generale come soggetto attivo, che fa.
La coppia che si racconta è una rarità. Si necessita di un pensiero che accoglie e che integra il vissuto, il punto di vista dell’altro, che opera un meccanismo in cui viene riconosciuta verità e validità ad entrambi. Le congiunzioni utilizzate diventano “e…e”, invece che “o…o”.
Di recente mi è stato chiesto, da una giovane ragazza, cosa potesse leggere per capire meglio come funziona la relazione di coppia. Ascoltandola percepivo che il suo bisogno era di fare esperienza di come funziona una coppia, di andarle a conoscere. Vale certamente anche un racconto scritto, sebbene il farne esperienza, l’osservare i processi di interazione tra i due membri, permette di cogliere degli spetti difficilmente esplicabili in un elaborato scritto.
Che cosa c’è di speciale nella coppia che racconta sé stessa? Ed a chi fa bene?
Quando una coppia si racconta, attiva in sé stessa un processo di autoriflessione tutt’altro che spontaneo. Si può dire qualcosa di sé in tanti modi ma quando questa verità sta incontrando la verità della narrazione dell’altro per fondersi in una, può non essere facile. Occorre che crollino le barriere del giudizio e del pregiudizio, dell’orgoglio, del naturale bisogno di dare una bella immagine di sé, del rimettere in discussione in sé stessi ciò che si era pensato e ritenuto vero fino a quel momento.
Si scoprono nessi che non si pensavano attraverso l’uso delle risonanze, cioè, quanto viene dall’altro raccontato produce degli effetti nell’animo e nei pensieri dell’altro e questo permette di sviluppare empatia. Il risultato è che si continua a costruire intimità e la relazione diviene sempre più salda e armoniosa.
Ogni coppia dovrebbe prendere giornalmente o almeno settimanalmente un po’ di tempo per sé stessa e per raccontarsi. Un tempo in cui poter essere lievito per la relazione.
 Questo racconto a due voci ed un cuor solo in alcune circostanze può risultare utile anche ad altri. È il caso di chi ascolta delle testimonianze. La storia di una coppia può fungere da stimolo per riflettere su aspetti di sé, su modalità relazionali, può offrire esempi di modi in cui compartecipare a delle scelte o alla soluzione di problemi.
A beneficiare di questa esperienza sono: la coppia stessa, le altre coppie ed i single, soprattutto se single di lunga data o con esperienze deludenti di relazione. La coppia che si racconta riceve feedback e nuovi impulsi per ripensarsi, anche attraverso le domande che le vengono rivolte.
Le coppie che ascoltano possono trovare in questi racconti dal vivo elementi per confrontarsi e per crescere nella relazione. I single possono trovare in queste testimonianze l’occasione di comparare la propria idea di relazione e di amore con quella di qualcun altro, osservare dal vivo differenti modalità di comportamento tra i partner. Spesso questo è utile al fine di chiarire alcuni concetti e preconcetti sulla relazione amorosa, oggi così tanto confusiva se non a volte lesiva dello sviluppo emotivo delle persone.
Possibili equivoci da evitare
Giungere ad una versione unitaria della propria storia di coppia non vuol dire che si tratti di una versione identica e che le differenze sono annullate. Una versione unitaria offre invece l’occasione di accorgersi, esplicitare e tener conto del personale modo di vedere e vivere una situazione da parte di ciascuno. Sarà normale che il racconto del marito si basi su alcuni aspetti mentre quello della moglie su altri, sebbene entrambi possano conoscere quanto appartiene all’altro.

  • Nel raccontarsi agli altri occorre tener presente uno dei principi che guida la relazione di coppia: la sacralità e dunque la custodia dell’intimità. Non esiste un vero confine tra ciò che si può e ciò che non si può dire. Esso dovrebbe essere di volta in volta regolato in base all’accordo reciproco tra i partner, al principio di utilità di ciò che si racconta, di contestualità rispetto al luogo ove si porta la propria testimonianza. La preziosità del dono della propria esperienza di coppia non può essere confusa con il bisogno di far sapere a tutti le proprie cose.
  • Inoltre è sempre importante ricordare di non assurgere la coppia a modello. Un modello si applica tout court, l’esperienza raccontata appartiene alla coppia e necessita di essere filtrata ed adattata alla propria storia personale. Non può essere asetticamente applicata alla propria vita, non calzerebbe. Ed inoltre si rischia di emulare o di non sentirsi mai all’altezza degli altri né mai soggetti attivi della propria vita.


L’essere un noi nella coppia è una tappa che si raggiunge col tempo e con esso si affina anche la capacità di narrare, a sé stessi ed agli altri, di sé come coppia. Questa narrazione, indipendentemente dall’essere invitati a portarla ufficialmente o dal riportarla spontaneamente al vicino di sedia ad un banchetto, ha confini non misurabili. Anche in questa narrazione spontanea di sé come coppia, ogni volta si sta donando qualcosa di sé di molto prezioso di cui quasi mai si sa quali frutti ha portato.

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29.12.18

Cosa può insegnarmi un bambino?



Con la loro spontaneità, la creatività e la mancanza di pregiudizi, i più piccoli ci aiutano a ritrovare la strada verso la felicità.


Sono numerosi i colleghi che da anni lo sottolineano, ma spontaneamente continuiamo a pensare che sono gli adulti ad insegnare ai bambini. Eppure giornalmente facciamo esperienza dell’imparare da loro. Ci insegnano attraverso la loro spontaneità e genuinità. Con la loro leggerezza e creatività trasformano una pozzanghera in un gioco insegnando a non guardare il problema, ma alla capacità di farne esperienza, di lasciarsi trasformare, seppure sporcare, ma con gioia.
Sono molti gli esempi da annoverare in cui i bambini ci sono maestri. Ad esempio, quando vogliamo capire la differenza tra la seduzione spontanea e quella studiata a tavolino, invito a guardare ai bambini. Hanno un fascino naturale che rapisce. Sono spontaneamente leggeri, centrati su sé stessi ed i propri bisogni, eppur capaci di interagire, non dimentichi dell’altro, bensì curiosi.
Oppure quando in un lavoro sul cambiamento c’è da essere tenace in un nuovo comportamento, basta ricordarsi di quanto tempo ci ha messo la mamma ad insegnargli a mangiare con la forchetta o ad allacciarsi le scarpe. Operazioni oggi automatizzate, ma all’epoca complicatissime. E ancora quando si sta collaudando un nuovo schema di comportamento e ci si sente insicuri, i propri passi sono ancora incerti e si fanno degli “errori”. Non importa. Non fanno anche così i bambini quando iniziano a camminare? È ogni caduta è l’occasione per rialzarsi. Neppure la frustrazione riesce a fermare la spinta all’autonomia motoria.
C’è un insegnamento che solo i bambini possono trasmettere e di cui l’adulto beneficia solo in virtù del suo esser stato bambino: la condizione psicologica del “bambino interno”. Di cosa si tratta? Secondo lo psicologo canadese Eric Berne è uno dei tre stadi interni che si attivano alternativamente ogni qualvolta la persona svolge una normale funzione psicofisica (pensiero, comunicazione, interazione, assunzione di decisioni, ecc.). Si tratta del noto GAB, acronimo del Genitore, Adulto e Bambino. Senza entrare troppo in questo elaborato modello di funzionamento della persona, torniamo alla capacità del bambino di viversi il “bambino interno”. Egli è ancora tutto bambino interno, pian piano comincia ad affiorare qualche barlume di voce genitoriale interiorizzata attraverso le regole, mentre l’adulto comparirà più avanti, man mano che aumenta il pensiero logico.
Le caratteristiche del bambino, per come le intende Berne, sono diverse: egli è espressione di una libertà interiore priva di giudizi e pregiudizi, è espressione di una vivacità e curiosità intellettuale e di grande creatività, il suo pensiero non conosce ancora gli schemi concettuali ed i limiti imposti all’adulto dal ragionamento, egli vive infatti ancora una condizione di pensiero onnipotente, in cui tutto è possibile.
Ogni bambino che incontriamo ci permette di ricontattare il nostro bambino interno e tende a condurci verso la gioia. È per questo che se gli concediamo di riattivarsi in noi, possiamo riscoprirci sotto nuove luci, e rompere con i molti schemi preordinati tenuti in essere dalla funzione genitoriale. QUesto può provocare qualche difficoltà: la più grande paura è infatti di non avere più parametri di riferimento per regolarsi (rimanere nella regola) e di perdere l’uso di una o entrambe le funzioni del genitore e dell’adulto. Sebbene questo rischio esista, ve ne è uno altrettanto grave: smettere di divertirsi e di emozionarsi non lasciandosi coinvolgere.
È l’integrazione dei tre status che permette di vivere la vita appieno in tutti i suoi aspetti: doveri, compiti e felicitàLa cosa più importante che un bambino ci insegna è, dunque, di non rinunciare alla gioia. E per farlo egli suggerisce di passare attraverso l’esperienza di ciò che la produce. Il bambino, interno o reale che sia, indica a ciascuno di cercare la propria via per la felicità.


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9.8.18

Siamo pronti a sposarci?

Per quanto intima, romantica e idilliaca possa essere una proposta di matrimonio non è mai un fatto individuale. Non lo è per varie ragioni. Non ci si sposa da sé. Si sposa un altro che si sta scegliendo di amare “come” se stessi e per tutta la vita. Non è solo l’emozione del momento, è un si che si rinnova ogni giorno e che si fa più forte proprio quando ce n’è più bisogno, quando la vita lo mette alla prova.
Non è un fatto solo privato, è un atto sociale.....
Per leggere l'articolo per intero, edito su Città Nuova online nella rubrica #Noidue, cliccare su siamo-pronti-a-sposarci

4.6.18

Innamorarsi in primavera

Quali sono i fattori che favoriscono e incoraggiano lo sbocciare di nuovi amori? Veramente il tempo e le stagioni possono influenzare la nascita di nuove relazioni. Quali altri elementi sono indispensabili?
Vediamo alcuni spunti in questo articolo.

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11.8.17

Se si taglia il cordone con la famiglia

Le reazioni emotive interne. Le possibili difficoltà. Come accettare i propri bisogni senza sentirsi in colpa. L’importanza di riconoscere il valore del proprio impegno.


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14.7.17

In vacanza ti stressi o ti riposi? Ecco come capirlo

Vacanza e riposo sono due facce della stessa medaglia, intimamente legati ma fortemente differenti. Sono un tempo dedicato allo svago ed alla rigenerazione psicofisica. Tu come lo usi?


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9.11.16

Quel sottile gioco tra controllo e dipendenza


Quante volte sei parte o assisti a litigi in cui uno dei due partner si lamenta che l'altro non è autonomo, non fa le cose per conto suo, in cui uno dei due finisce lo sfogo del momento con un 'Sono stufo/a che DEVO sempre pensare io a tutto!'?
Quante volte in quel ruolo aggredisci l'altro fino a essere anche violento/a verbalmente perché a tuo avviso è un incompetente 'Possibile che non ti sei accorto che', 'Ti DEVO dire sempre tutto io?', 'Diamine, lo sanno anche i bambini!', 'Ma non ci arrivi col cervello?'.


Dall'altra parte il partner di turno.'Ecco, lo sapevo. Non mi lasci mai spazio non mi fai fare mai come dico io e ti lamenti sempre. Stai un pò fermo/a, sta un po' zitto/a! Mi DEVI lasciare fare a modo mio.' E dentro di sé continua a borbottare <<Non sono un/a bambino/a, smettila di dirmi come DEVO fare le cose. Sarò pure libero/a di sbagliare sì o no?! Tanto poi alla fine i fatti dimostrano che il più delle volte ho ragione io>>.

Scene classiche in cui tutte le espressioni escono di getto, sono fuori dal raziocinio della persona e nulla hanno a che vedere con il bene e l'amore che l'uno vuole all'altro mentre tanto hanno a che vedere con i ruoli che ci si è scelti nella coppia. Eppure ciascuno se la prende sul personale spesso covando risentimento, perché?

La dinamica dei due partner richiama un sottile gioco, quello del Gatto e Topo, di Guardia e Ladri, ed in definitiva del controllo e delle dipendenze. E' come dire: "Non lo faccio perché lo fai sempre tu/Lo farei volentieri se mi lasciassi tempo e spazio/Voglio farlo come e quando dico io" e dall'altra parte "Devo farlo perché tu non ti muovi/Deve essere fatto per tempo se no poi.../Per la mia organizzazione delle cose a me serve proprio ora, non posso aspettare i tuoi comodi".

In questo modo di comunicare ciascun partner, per poter essere confermato come persona, ha bisogno di evidenziare quello che fa o che è capace di fare, cosa che è messa maggiormente in risalto nel confronto con l'altro. Certo nessuno dei due in quel momento si sta accorgendo che per dare enfasi a sé stesso sta penalizzando l'immagine dell'altro e così facendo perde un alleato per la discussione successiva in cui anche l'altro a sua volta avrà bisogno di fare una rimonta al fine di gestire un suo equilibrio interno. E il processo oramai innescato può continuare a vita.
Ne pagano le spese amici, parenti, figli che nel tentativo di far dialogare i due impiegano anni, energie, a volte sacrificano aspetti della loro stessa vita, sogni e speranze che una relazione di coppia possa funzionare.

Allorquando questa dinamica evolve in toni aggressivi pian piano le persone attorno alla coppia cominciano a diradarsi fino a sparire. Qualcuno di fronte ai vari tentativi senza successo comprende che la situazione è tale perché 1) nessuno dall'esterno può modificare lo stato di cose tra i due partner, solo loro ne hanno il potere 2) che questo sottile gioco è diventato negli anni il collante tra i due, senza di esso con molta probabilità non avrebbero più nulla da dirsi. Allontanarsi per gli altri e per i figli diventa un esigenza di sopravvivenza interiore. Restare può finire per essere molto dannoso per se stessi se non si dosano bene le energie e gli spazi di realizzazione personale.

E' importante sapere che questo modo di comunicare si nutre dell'insicurezza della persona a cui alla stessa cerca di reagire trasformandola in un bisogno, quello di gestire, controllare, fare, tutto sempre direzionato verso qualcun altro se non verso la vita stessa. Occuparsi di sé è piuttosto difficile per questo tipo di persone e così vivono nel rammarico di non essere state, di non aver potuto, di non aver avuto l'occasione...ecc. ecc.

E il partner? L'altro/a si appiattisce, si accomoda, si adagia, almeno all'inizio, fino a pretendere sempre di più? In realtà no, solo fino a credere che tutto questo Eden paradisiaco sia sempre dovuto e scontato, fino a volerselo difendere, a non volerci rinunciare, a sentirlo come dovuto.

Solo a questo punto il partner che per primo ha contribuito a creare questa situazione si accorge che l'altro/a è in una posizione di comodo. Il più delle volte lo realizza quando si accorge di non avere più tempo per sé, né spazio, nessuna libertà di espressione e di azione. Solo a questo punto, avvertendo le proprie ristrettezze, emerge il fastidio e poi la rabbia. La persona comincia a ribellarsi ed a prendersela con chi "semplicemente" ha creduto alle sue promesse lusinghevoli (il partner che ha beneficiato per anni di tante e devote attenzioni). Troppo di rado queste persone si accorgono che hanno una funzione importante sia nella genesi che nel mantenimento di questa situazione mentre più sovente continuano a recriminare colpe all'altro/a. E a sentirli sembra davvero che siano i primi a voler cambiare lo stato delle cose.
Il fatto è che questa è una di quelle situazione dove la volontà da sola non è sufficiente. Occorre anche sapere cosa e come farlo.


E allora cosa e come si può fare?

Innanzi tutto rendersi conto che c'è un io e un tu; che esiste una complicità su cui regge la dinamica e di conseguenza un 50% e 50% di corresponsabilità; che c'è un circuito che occorre disinnescare facendo qualcosa di profondamente diverso da quello che spontaneamente verrebbe da fare e che proprio per questo l'aiuto di un professionista, come un terapeuta di coppia, può essere determinante.

Riconoscersi valore è sicuramente un passo importante ma non l'unico e neppure quello più importante (lascerebbe intrappolati in una rabbia che si trasformerebbe con grosse possibilità in egoismo e rivalsa); accettare di essere stati compartecipi se non addirittura i promotori della situazione che si è andata via via consolidando (assumersi la propria parte di responsabilità è determinante per attivare il processo di cambiamento); ricordarsi il modo in cui le persone si scelgono che quasi mai consapevolmente, più spesso inconsapevolmente attraverso modalità di compatibilità sana (ovvero sulle aree di potenzialità) o insana (ovvero in base alle proprie ferite e insicurezze da colmare) di funzionamento ed in definitiva in base al livello di crescita personale che hanno raggiunto.

La mania di controllo è una trappola in cui ci la persona che si sente risucchiata cerca di risucchiare anche l'altro. Se l'altro/a è uno spettatore inerme, passivo, facilmente ciò può accadere. Se viceversa ha carattere, forza, temperamento, consapevolezza di sé e di ciò che vuole per se, capacità di scelta per (ac)cogliere quando c'è da accettare o opporsi quando c'è da rifiutare o di ridefinire quando c'è da intendersi, o di dire la sua e di rispettare i suoi tempi ed i suoi spazi quando c'è da condividere, allora sarà in grado di "tener testa" a una persona che in fondo in fondo sta cercando i suoi stessi confini, il suo stesso limite.


Dott.ssa Antonella Ritacco

17.4.16

Come vivere l'attesa del partner alla ricerca della propria voc-azione


L'attesa è camminare, è prepararsi, è fare pace con il proprio passato, è ricominciare, è scoprire la propria strada passo dopo passo sgravandosi di idee, preconcetti e sovrastrutture. E' aprirsi all'incertezza del nuovo e dell'incontro.
E' ricordarsi che si è in cerca ma si è anche ricercati, che si è al contempo chi attende e chi è atteso.

Senza queste premesse l'attesa resta un tempo arido in cui rimanere fermi e immobili, sempre identici a se stessi. E questo genera l'angoscia che nasce dal dolore e dalla rabbia. Il dolore delle sconfitte passate e la rabbia di non sapere come uscirne insieme ad un pensiero nocivo "di avere ancora più bisogno di difendersi". Mentre invece la Vita che è maestra ci offre sempre occasioni per riscoprire un aspetto interessante di noi esseri umani: che siamo sempre in cammino, qualunque età abbiamo e che siamo chiamati ad una crescita personale costante qualunque età abbiamo.
Se noi analizziamo i nostri due atteggiamenti di base nella vita ci comprenderemo meglio.
Possiamo essere reattivi e reagire agli stimoli che la vita ci offre, non saremo mai noi i primi a fare un passo, avremo una concezione dell'essere umano statico che non cambia ed anche la nostra crescita personale ne risentirà. Tenderemo dunque ad essere sempre "in risposta a". Certamente tante volte nella vita è importante che reagiamo ma non possiamo sempre e solo essere in reazione. Talvolta ci viene chiesto di essere pro-attivi.
Siamo proattivi quando non ci aspettiamo che siano gli altri a prendesi cura dei nostri bisogni, quando siamo noi a dire o fare dopo aver preso in considerazione la situazione, le nostre forze e di che supporti ci possiamo dotare imparando a chiedere collaborazione a chi pensiamo possa essere in grado di offrircela, siamo proattivi quando impegniamo il nostro tempo mettendolo a disposizione, quando facciamo scelte di Amore come sono ad esempio le attività in comunità o di volontariato nelle associazioni. Ogni volta che ci prendiamo cura del nostro bisogno di stare in mezzo agli altri e di tutti gli altri bisogni che abbiamo generando del bene.
L'energia che si sviluppa in noi e negli altri diventa fonte inesauribile di benessere per tutti ed in noi genera senso di utilità e di poter incidere sulle emozioni, i pensieri, le azioni che compongono la nostra vita.
Vivere l'attesa significa fidarsi che c'è un progetto bello sulla propria vita e non scordarselo mai, neppure quando le avversità sembrano sopraffare. La parte più difficile talvolta è scoprire quale è questo progetto bello su di noi, qualcuno lo chiamerà lo scopo della propria vita, la missione, altri vocazione ovvero l'azione a cui siamo vocati=chiamati.E per fare questo occorre fare silenzio dentro di sè, abbandonare tutti i rumori di fondo, le verità che altri hanno bonariamente riposto in noi, esser disposti ad essere onesti ed andare fino in fondo anche nei pezzi della nostra storia che ci fanno stare male con la consapevolezza che è attraversandolo quel dolore che ne usciamo (e non chiudendolo nello scantinato) e che tutto ciò che ci appartiene è nostro e nessuno ce lo toglie (dunque quello che non è stato vuol dire che non era per noi).
Allora l'attesa ha un senso che è camminare, fare pulizia di pensieri e retaggi, accogliere la propria storia, scoprire o sottoporre a verifica le proprie aspirazioni, abbandonare la rabbia per ciò che non è stato come grande atto liberatorio di perdono a se stessi, restare saldi su ciò che di sè si è autenticamente scoperto anche quando tutto non è ancora compiuto ovvero saper vivere la sospensione nella certezza che tutto ha un senso ed un compimento. Dire che è un cammino significa dire che è un processo e per essere sostenuti nel processo a volte può essere utile anche lasciarsi accompagnare da figure guida esperte.


Buon cammino nella vita a tutti
Dott.ssa Antonella Ritacco



19.2.16

Ho un idea-le nella testa e non se ne va...che fare?

Sin da bambina ti ho sognato, ferma alla finestra immaginavo come saresti stato, cosa avresti fatto e che tutto sarebbe stato magicamente perfetto. Ora sono grande, ho 40 anni e continuo ad attendere alla finestra che tu arrivi. Nel mentre faccio tante cose tranne che crescere. Tante azioni da grande perché nessuno si accorga che sono ancora ferma ai miei 20 anni. Se crescessi....


Io non ti ho mai sognato ne cercato, tutti mi dicevano che saresti arrivato e mi avresti stravolto la vita ed io pensavo: ho veramente bisogno di lui? Mi basto da me. Posso farcela senza un uomo. Mio papà sarà contento di sapere che ho le spalle forti e così ho messo tra me e te kili di distanza, una bella barriera perché tu mi restassi solo amico e potessimo condividere ogni interesse. In questo modo non avrei corso il rischio di perderti.


Io ti aspetto e ti cerco da sempre e mi accanisco a cercarti e desiderarti mentre tu mi scappi, fuggi ed io non capisco cosa c'è. Tu non mi dici fino in fondo cosa pensi ed io mi aggrappo al fatto che non sono laureato, che non ho un ruolo sociale elevato e le mie insicurezze finiscono per rendermi sempre più debole non più ai tuoi occhi ma agli occhi di tutti, anche di me stesso. Mi avesse detto mai qualcuna qualcosa di più per potermi mettere in discussione veramente e senza vittimizzarmi. Mettermi in discussione...non è cosa facile in realtà!


Io ti aspetto da tempo e non ti ho ancora trovata. Vorrei averti qui tra le mie braccia e potermi prendere cura di te. Ho nostalgia di te senza neppure conoscerti. So che da qualche parte anche tu mi cerchi e mi attendi e ci sarà un tempo e un luogo quando meno ce lo aspettiamo. E sarà bello e certamente ti riconoscerò. Cosa sarà poi quello non lo so ma è certo che dipendesse da me non ti lascerei.


Ora basta. Ti ho atteso per 40 anni e non voglio più aspettare. Ora comincio a vivere finalmente in funzione di me e non più per te. Forse rischio di rimanere poco vigile e non aperta all'incontro con te, forse mi sto corazzando. Che dire. Sono stanca di storie sempre uguali di non riuscire a conoscerti in campo neutro e di dover cominciare a sentirmi in relazione con te senza poterlo essere perché sistematicamente dopo due mesi mi accorgo che sei un immaturo che continua a cercare in me la mamma. ??? Sarà forse questo ciò che continuo a rimandare di me? Ed ecco che mi ritorna un pensiero: forse ancora il mio cambiamento non è concluso e ho ancora qualche aspetto di me da lavorare. 


Basta! Io vado bene così come sono. Ci ho provato ma ogni volta vedo che le cose non vanno e mi scoraggio. Sono stanca, forse per me è meglio così. Ma poi ritorno a pensare e ad interrogarmi. Che fare? Quale è lo scopo della mia vita?


Vorrei una donna con caratteristiche precise. Nessuna va veramente bene. Ci sarà un motivo o è solo che non ti trovo? La mia storia passata mi pesa ancora ma sto decidendo di smettere di lasciarmi influenzare da essa, voglio riprendermi il senso di potere che ho, voglio riprendere in mano la mia vita. Solo che non so come fare.


Ho un ideale nella testa e non se ne va...che fare?


Storie di uomini e donne che con perseveranza cercano, talvolta si aggrappano quasi con disperazione e che vorrebbero tornare a vivere in sintonia con il loro Essere smettendo di ridurlo: a sogni (non c'era entusiasmo), a pensieri (se mi avesse amato avrebbe dovuto fare questo questo e questo...), ad emozioni (non provavo con lei nessuna passionalità), ad azioni (non ha mai fatto un gesto).
Il fatto è che l'amore e la relazione non è un singolo elemento tra questi e gli slogan che vanno bene per descrivere ad un amica il perché succinto del fatto che la storia non è andata non va bene quando la devi raccontare a te o all'altro che necessariamente ha diritto di essere aiutato a capire (con una risposta onesta) perché la conoscenza tra voi non può più andare avanti.
Il tuo stesso Io, quando ti guardi allo specchio, ha diritto di sentirti affermare cosa c'è che non va in quella donna appena conosciuta, in quell'uomo che non ti ha colpito al primo sguardo o che ti ha deluso perché non ha agito come tu avevi pensato, quale è la verità. Hai bisogno di sapere perché l'operazione cestino ha colpito ancora, quale antico bisogno si nasconde dietro di essa. Questo bisogno di verità interiore è quello che non ti lascia la pace che vorresti.


Proviamo a scoprirne di più.
L'ideale nella testa è come un box di sicurezza ed ha la sua funzione: serve a proteggerti. E' come dire "So già io cosa voglio e cerco e finché è così nessuno che è diverso da questo può avvicinarsi. In questo modo io sarò sempre al sicuro". 
Quello che troppo spesso accade è che quando cammini e incontri le persone finisce che se in uno/a di loro cogli una meraviglia potresti non essere in grado tu di uscire dal box. Oppure per non stare solo nel box potresti volerlo/a invitare dentro al ma non è detto che quella persona abbia le caratteristiche per stare nel box e il tuo sarebbe un tentativo disperato di chiedergli di entrare nel box per come tu lo vuoi, conformandosi alla tua idea, alla forma che gli vuoi dare. O ancora che quel box è diventato così bello e protettivo che fare spazio a qualcuno sarebbe così difficile che è meglio se da te stesso ti dici "in fondo cosa mi manca, Ho già tutto quello che mi serve" e giù con le scuse "Non mi piace perché è mora" "Non va bene perché non è laureato...." e così via dicendo. Ogni scusa è buona. 
Ma poi c'è un antico ritornello "Non sono io che non la voglio è che è l'altro che non va bene" che come la storiella dell'uva e della volpe di esopiana memoria ci mostra come per salvare la nostra immagine (sociale) svalutiamo quello che non abbiamo potuto avere.

Vivere le relazioni in questo modo è stancante da qualunque parte ci si trovi, sia nella parte di chi seleziona che di chi avverte di essere valutato. Se ne esce sempre sconfitti, disillusi, feriti ed anche arrabbiati (come la volpe). Le forze dopo un pò cominciano a vacillare ed anche la fiducia in te stesso. Riossigenarsi con un pò di coraggio è possibile a patto di essere disposto ad essere onesto con te stesso.
Capire come è nato l'ideale, da quali paure profonde è mosso, allenare il tuo potenziale per riscoprire la forza e l'audacia che sono in te, lasciarti aiutare da figure di fiducia (testimoni autentici) a togliere tutti i rumori di fondo, le voci che da sempre ti ripeti nella testa e che ti guidano. E' un operazione di pulizia interiore come quelle che si fanno di tanto in tanto in casa, nel giardino o nell'armadio o sulla scrivania, senza tanta gioia ma consapevoli che dopo di essa, in quel luogo a noi così caro della nostra interiorità, ci vivremo molto meglio.
Solo dopo esserti ritrovato sarà possibile riaprirti alla libertà, alla speranza ed alla fiducia in te e negli altri.


Buon cammino nella vita
Dott.ssa Antonella Ritacco 



13.1.15

I sogni son desideri....e vanno trasformati in realtà!

"Caro Babbo Natale, trova un uomo alla mia amica Linda che se no fa altro che lamentarsi. E una donna a me possibilmente di nome Francesca."


Nei giorni di Natale ecco in cosa mi sono imbattuta tra i messaggi che i viandanti lasciano sui giganteschi alberi delle due stazioni principali di Roma. Ho bonariamente sorriso davanti alla semplicità di un tale messaggio. Ho provato a pensare a chi possa averla scritta: un adolescente che probabilmente ha già una cotta per una certa Francesca e che non vuole lasciare indietro la sua amica Linda, o forse Francesca è il nome della prima fidanzatina tra i banchi di scuola o di un amore mai dichiarato e tenuto caro nei sogni. Ho visto il gesto altruistico di presentare prima una richiesta per l'amica e poi per sè.
Poi ho pensato "Ma questo adolescente quanti anni potrebbe avere?" Eh sì, perchè le cose cambiano se ha fino a 22-23 anni o se ne ha 28-30. In questo secondo caso egli dovrebbe essere ormai certo che Nessuno può trovare Alcuno per l'Altro. E allora il mio sorriso bonario si è un pò rabbuiato pensando a quanti l'adolescenza se la trascinano dietro. E ci sono così attaccati che c'è sempre una giustificazione pronta, c'è sempre qualcuno che può porre rimedio per loro, c'è sempre qualcuno con cui prendersela se nella vita non è andata bene. 
"..possibilmente di nome Francesca". Già, Francesca è un bel nome, ma cosa renderà bella ed unica ai tuoi occhi caro amico, qualunque età tu abbia, la ragazza che un giorno avrai al fianco? Il suo nome ti colpirà subito, ma conoscendola meglio e soprattutto vivendoci se la vostra storia avrà un seguito, quello che ti interesserà veramente sarà come si relaziona a te, in che modo prenderete e porterete avanti le vostre scelte, come supererete tutte le situazioni, che tipo di comunicazioni ti farà, che tempo ti dedicherà, in che modo abiterà il tuo spazio esistenziale ed a questo punto che si chiami Francesca o meno sarà solo una cornice di sfondo.

Allora caro simpatico scrittore: a te ed alla tua amica Linda un augurio speciale per questo nuovo anno. La vostra vita è nelle vostre mani. Molte cose non ci è dato sapere ma di ciò che ci è dato sapere fatene buon uso! L'amore vi verrà incontro certamente, voi non lasciatelo sfuggire, sappiatelo riconoscere, accogliere, coltivare e custodire. Perchè gli attori siete voi e i vostri rispettivi partner ed il palcoscenico è quello della vita.

Buon 2015 a tutti coloro che hanno tanta voglia di innamorarsi!