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6.5.20

Innamorati al tempo del Covid 19, la bellezza di ritrovarsi

 Fonte: Città Nuova


Da quando è cominciata la Fase due dell'emergenza Covid 19 è possibile incontrare i fidanzati o comunque le persone amate che erano lontane. Ma, nel frattempo, qualcosa nel rapporto può essere cambiato...


Tipico degli innamorati è la frenesia e il desiderio di rincontrarsi. I minuti che tengono lontani sembrano ore e le ore sembrano giorni, interminabili fintanto che non si è vicini all’altro. Al contrario, quello trascorso insieme è un tempo che scorre veloce. Esso ha una espansione e una densità in cui non ci si riesce mai a spiegare come sia possibile aver fatto o condiviso così tanto in solo un pomeriggio insieme.

Fidanzati e amanti che per circa due mesi si sono ritrovati a rimanere obbligatoriamente separati a causa dell’emergenza coronavirus, per disposizione del decreto del premier Conte, per chiusure dei confini regionali o nazionali (pensiamo a chi vive in stati diversi), per minacce di perdita di lavoro o più semplicemente per non correre rischi se appartenenti o vicini a chi rientra nelle fasce a rischio, possono dal 4 maggio tirare un sospiro di sollievo. La fase due dell’emergenza è cominciata e si può finalmente tornare a vedersi dal vivo.

Questo tanto sospirato momento è capace di appagare il piacere del trovarsi finalmente vicini, ma può rappresentare anche una nuova sfida per la coppia. La tecnologia è stata di grande supporto per accorciare le distanze, per continuare a crescere e sentirsi emotivamente vicini, per abbattere la solitudine. Ritrovarsi vis-à-vis avrà però l’effetto di dirsi come si è cambiatidentro in questo tempo e tornare a sintonizzarsi su una percezione reale, e non filtrata da uno schermo, di come si sta passo passo diventando. Quali desideri, progetti e priorità sono maturati, per confermarsi o rivalutare il piacere del ritrovarsi e dello stare insieme. Anche per dirsi cosa è mancato di più.

Gli innamorati si sa sono campioni in promesse e all’amore spetta il ruolo di mantenerle. Alcune relazioni sono state interrotte in una fase iniziale, altre erano già consolidate, qualcuno era alle soglie del matrimonio che ha dovuto rimandare. Rinnovarsi intenzioni ed emozioni aiuta a fare il punto della situazione, a dirsi quanto si è continuato a camminare l’uno nella direzione dell’altro. Ci sono cose che ad esempio, per l’esperienza di questi mesi, sono passate sullo sfondo ed altre che sbalorditivamente sono venute in luce. Su cosa si fonda l’amore che l’uno prova per l’altro oggi?  

Queste rivalutazioni sono parte del percorso di crescita che le persone fanno come individui dentro alla relazione. Ci sarà qualcuno che vorrà spingere il piede sull’acceleratore per accorciare le distanze e velocizzare progetti come l’andare a vivere insieme o sposarsi. Progetti belli, ma che hanno bisogno di fondarsi sulla misura dell’amore reciproco piuttosto che sul bisogno di accorciare le distanze o di non sentirsi soli.

Poi ci sono le coppie che lontane lo erano già, fisicamente o emotivamente. Alcune di esse potrebbero aver approfittato dei ritmi di vita più lenti per accedere ciascuno al proprio personale mondo interno così da renderlo più accessibile anche all’altro e riscoprendo l’intimità emotivaMentre altre potrebbero aver vissuto male la propria solitudine e innalzato barriere ancora più alte. Ritrovandosi face to face tutto questo viene messo in condivisione con quanto vissuto dall’altro e solo nella dimensione relazionale potrà assumere un senso affinché la coppia se ne prenda cura e lo inglobi nella propria storia, decidendo che ruolo dargli.

Questo tempo di sospensione può essere stato anche un tempo di riflessione e ridecisioni per quelle coppie in cui la relazione non andava molto bene. La lontananza in questi casi è complice e permette quel certo distacco che aiuta a vedere più chiaramente gli aspetti che nella routine difficilmente vengono colti, sia che si tratti di aspetti da rivalutare positivamente sia che si tratti di caratteristiche da soppesare.

Come con tutti gli aspetti della vita a ben guardare l’esperienza del Covid-19, se vissuta cogliendone le occasioni intrinseche, aiuta anche in campo amoroso a mettere a nudo la verità e la profondità sia delle relazioni sia dell’animo umano. A noi ogni volta avere occhi ed orecchie per scorgerle e decidere cosa farne.



4.10.19

Ritrovarsi dopo la separazione

Un movimento di chiusura e uno di apertura per le coppie che vogliono riprendere una relazione dopo una separazione.

Fonte: Città Nuova


Ci sono due movimenti interni a mio avviso importanti che i membri di una coppia che vuole riprendere una relazione dopo una separazione o un divorzio devono tener presenti. Essi sono contrapposti ma ambedue necessari:
  • Il primo ha a che fare con il bisogno di proteggersi per non essere più feriti, e questo è un movimento di chiusura. Esso è naturale, fisiologico e in un’ottica di relazionalità esprime l’accortezza che i partner in una relazione intima devono avere quando si rivolgono l’uno all’altro su tematiche delicate, soprattutto se esse hanno a che fare con la fase precedente di separazione. Ciascuno ha i suoi tempi per curare e far cicatrizzare certe ferite. Come in un percorso graduale, mano a mano che i coniugi si sintonizzano empaticamente l’uno sulle modalità dell’altro, riescono a comprendersi e sostenersi, e la capacità di fidarsi e di ri-affidarsi cresce.
  • Il secondo movimento ha a che fare con la scoperta del nuovo, e questo è un movimento di apertura. Esso è in relazione profonda con la libertà interiore di essere in un ascolto dinamico di sé ed esprimersi con congruenza; con la capacità di esprimere i propri bisogni e vissuti senza strumentalizzarli; con la disponibilità a leggere il nuovo che c’è in sé e nell’altro e con la possibilità che ci si da e che si offre di lasciarsi stupire nel cambiamento. Se si è troppo attaccati all’idea pregressa dell’altro, questo meccanismo si inceppa ed occorre cambiare gli occhiali, o quantomeno pulirne le lenti.
Nel ricominciare la messa in gioco di sé è totale. Emozioni e vissuti riaffiorano quando meno ce lo si aspetta. Il pensiero laterale di cui come esseri umani siamo dotati, ed attraverso il quale possiamo osservare la medesima situazione da più angolazioni contemporaneamente, permette di osservare dalla propria visuale ma anche da quella dell’altro. Contemporaneamente convivono più consapevolezze, il vecchio ed il nuovo si sovrappongono e con essi la paura di un nuovo fallimento e la fiducia che questa volta sarà la volta buona. Districarsi tra esse non è semplice. E proprio per questo molti preferiscono investire in nuove relazioni per non affrontare queste zone d’ombra emotive interne.
L’atto del guardare a sé ed all’altro con categorie “nuove” o “obsolete” è un’attitudine e come tale si può allenare. Nel primo caso si rinforza il processo di cambiamento, nel secondo lo si nega.
Anche la fiducia cresce nella misura in cui si sceglie di farla crescere, essa non cresce da sé. Va da se che l’atto della scelta è un atto importante, che solo se fatto in libertà e consapevolezza può generare la determinazione e la tenacia necessarie a generare un nuovo rapporto ed una nuova empatia relazionale, in cui al contempo si vede nell’altro colui che un tempo ha ferito ma anche colui che oggi soffre.
La relazione che si genera conduce necessariamente ad un livello di relazionalità molto più profonda e dialogica della precedente relazione finita male. L’atto del riscegliersi, nonostante il fallimento precedente è un atto che ha in se un potere rigenerativo. Non a caso molte coppie che si accingono a ricominciare partono da una dimensione di perdono, e si lasciano sostenere in percorsi di psicoterapia di coppia o cammini di condivisione ed autosostegno in piccoli gruppi come Retrouvaille, soprattutto lì dove la ferita è stata più profonda. E si scopre che ciò che un tempo era solo teoria, può essere anche realtà: ovvero che si è in cammino e che sulla strada si è in due.
È interessante notare che tra le statistiche Istat di matrimoni, separazioni e divorzi, non esistano dati anche parziali su chi riprende la relazione precedente. Questo trend così poco indagato finisce (secondo le supposizioni degli avvocati matrimonialisti, di sociologi e psicologi) nel calderone di coloro che ci ripensano per convenienza economica o per la paura del cambiamento, la fatica del ricostruirsi una storia, la solitudine emozionale, una relazione collaterale che non ha mantenuto le sue promesse, ecc. In questo calderone le esperienze, i vissuti, gli intenti, il coraggio di chi sceglie di ricominciare si annullano dietro al bisogno o all’interesse di un tornaconto.
Il ritornare insieme puntando sulla relazione e sul riinnamoramento non può essere una scelta di comodo, anzi, emotivamente è altamente scomodo. È un atto libero di messa in discussione di sé e di ciò che ha portato al fallimento della prima fase della relazione. È un dirsi vogliamo ancora credere nel nostro amore, nella relazione e vicendevolmente in ciascuno di noi. È decidere di scommettere questa volta con l’esperienza e la maturità affinché le cose funzionino affinché si possa dire “Buona la seconda!”

25.7.19

Relazione finita, ma io non volevo (Parte II)



Subire una delusione d’amore o essere lasciati può essere doloroso, ma non è la fine del mondo. Una relazione può concludersi in modi diversi. In alcuni casi, addirittura, non riuscendo a chiuderla, qualcuno spera che sia l’altro a farlo.


I motivi per una chiusura possono essere scomodi da ascoltare e da accettare, non comprensibili sul momento o liberatori. Anche in questo caso il tipo di relazione instaurata, la maturità affettiva dei due, le modalità con cui si da luogo alla comunicazione, possono agevolarne l’accettazione e l’elaborazione.
Se chi lascia assume il peso di una decisione e della sua comunicazione, a chi è lasciato, soprattutto quando la notizia giunge inaspettata, spetta il compito di comprendere e accettare il vero senso di questo distacco.
La prima reazione è di ordine emozionale. Non c’è spiegazione o logica che tenga al dolore, alla delusione, alla sensazione di aver perso un’opportunità. È importante, anche in questo caso, darsi il tempo per esprimere emozioni e pensieri, essere pronti a convivere per un po’ con i propri sbalzi d’umore, prendersi appena possibile del tempo per sé stessi e per elaborare quanto è accaduto.
Atteggiamenti utili ma da dosare sono: l’autovalutazione di sé e della situazione, purché non sfoci in auto-rimprovero e pensieri rimuginanti; creare occasioni di svago con il sostegno di amici, purché non siano solo vie di fuga per non vivere le emozioni e poter maturare nuove consapevolezze; prendere del tempo per sé, purché non significhi evitare le relazioni emotivamente coinvolgenti per paura di soffrire di nuovo.
Ciò che aiuta davvero è rimanere sintonizzati su sé stessi, per vivere ogni fase senza sfociare nei possibili rischi ad essa connessi. Una buona alleata è la libertà interiore, intesa come genuina espressione di sé.
Quando le emozioni cominciano ad acquietarsi, si apre lo spazio-tempo per dare senso a ciò che è avvenuto e riflettere sul senso personale di una relazione d’amore. L’essere in relazione infatti si fonda su alcuni principi. Il primo è che esiste una “noità”, un essere a due e che questo “noi” deve poter funzionare, vicendevolmente.
Secondo la psicologa Grazia Attili le relazioni che funzionano si reggono su due presupposti che intervengono già nella fase di scelta del partner: la similitudine e/o la complementarietà. Ciò significa che non è importante trovare un fidanzato, è importante sapere chi e cosa si sta scegliendo, poiché ne va del proprio benessere e futuro.
Un secondo principio fondante le relazioni d’amore è quello della libertà. «Se ami qualcuno lascialo libero» recita una massima. Un’altra afferma: «Il contrario dell’amore non è l’odio, è il possesso».  In entrambe si ribadisce il ruolo importante che hanno l’azione dello “scegliere” e del lasciar andare.
Certo ci vuole tempo per digerire l’accaduto e per comprendere il vero senso di questo distacco.
Forse può aiutare pensare che nulla viene per nuocere. Piuttosto dal modo come si reagisce all’accaduto si possono scoprire nuovi aspetti di sé, alcuni da mettere in discussione, altri di cui essere fieri. Le relazioni non si chiudono solo perché non si è quella giusta per l’altro, ma anche perché l’altro non è quello giusto per te e viceversa.
Invece di vittimizzarsi per la “perdita subita”, occorrerebbe spostare l’asse su “cosa non ha funzionato?” Così facendo ci si sposta da un “non vado bene” alla comprensione delle differenze caratteriali e del ruolo che giocano, alla consapevolezza di non essersi incontrati nel tempo giusto (differenti livelli di maturità affettiva), o di avere una visione della vita e della progettualità che trova pochi o nulli punti di comunione.
Cosa si può apprendere da una delusione d’amore? Nulla se guardiamo alle cause esterne: “sono sempre sfortunato”, “capitano tutte a me”, “li incontro sempre tutti io quelli strani”. E nemmeno se ci si addossa tutte le colpe. Molto se ci si concentra su di sé e si cerca di essere obiettivi con sé stessi, di fare un bilancio del tipo: ho espresso il meglio di me? Ho ricercato la verità della relazione bandendo i sotterfugi? Che tipo di idea ho perseguito: una persona che colmasse la mia solitudine o insicurezza, un modello che mi facesse fare bella figura o una persona con pregi e difetti con la quale crescere, confrontarmi e progettare?
La risposta a queste domande rivela qualcosa di sé, del modo come si sceglie e della direzione verso cui le scelte orientano. Nel prossimo articolo vedremo come superare una delusione d’amore.

Dr.ssa Antonella Ritacco

Fonte Città Nuova  

4.7.19

Genitore e single




Prendersi dei momenti di riflessione personali perché la maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati.


I motivi per cui ci si ritrova ad essere genitori single possono essere i più svariati. Come per ogni cosa, esistono motivazioni ufficiali, quelle che vanno bene per tutti e ci sono motivazioni più intime e profonde, per nulla immediate, che solo gli interessati possono col tempo arrivare a comprendere.
Qualunque sia la situazione che conduce a crescere un figlio da soli, essa non è mai priva di sfide e di dolori bensì è di una costante rimessa in discussione di sé.
Sono sempre possibili cicliche rivalutazioni della scelta intrapresa o ricordi dei vissuti legati a come essa è avvenuta; si palesano gli effetti sulla relazione con i figli sia per chi è presente sia per chi li vede a ondate; si impongono le difficoltà della vita quotidiana e dei suoi costi, ove a volte anche i beni necessari come un tetto sulla testa diventano proibitivi. La propria ed altrui vita viene rivoluzionata. Come si trasformano le emozioni verso il precedente partner, come si reagisce ai tentativi di riavvicinamento, o quali possono essere i riflessi emozionali davanti alle richieste e velate minacce dei figli che cercano di estorcere un riavvicinamento? Come e quando sono stati innalzati i muri, e dove è iniziato il punto di non ritorno sulle proprie decisioni?
Ogni cuore ha certamente le sue ragioni. Quando si è in interazione con l’altro non è facile comprendere quale parte della persona si attiva, la relazione viene vissuta, non tanto meditata. Per questo è importante prendersi dei momenti di riflessione personale e di coppia per capire cosa succede e come si può attimo per attimo interagire e dialogare.
La maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati,ma questo è molto probabile che sia anche il vissuto speculare del proprio partner. Oppure ci si accusa di non valere o fare mai abbastanza, come nei casi in cui si sta amando l’altro ma non nel modo come lui ne avrebbe bisogno.
Il nostro mondo interno è variopinto e non ragiona ma associa. È facile dunque che alcune situazioni ne richiamino altre e senza che la persona se ne accorga si attivino i retaggi di vecchie ferite mai rimarginate del tutto. Se in quei momenti non si è in grado di riconoscere quanto sta avvenendo si genera confusione su sentimenti passati e situazioni attuali.
Per questi motivi prima di chiudere una relazione e prima di iniziarne una nuova è necessario avere chiaro cosa non ha funzionato e quale è la propria parte di responsabilità, quali campanelli d’allarme non sono stati ascoltati e avrebbero dovuto esserlo. Non ha senso ragionare su i “se” ed i “ma”, ha senso imparare a non ripetere gli stessi errori.
Un riavvicinamento è sempre possibile ma chiaramente solo se sono state elaborate e superate le cause che hanno portato alla precedente rottura esso potrà condurre ad esiti diversi.
Con le emozioni non risolte interferiscono anche le continue sollecitazioni, provocazioni o minacce dei figli che chiedono la vicinanza affettiva e fisica dell’altro genitore, che non comprendono i motivi dei “grandi” e che per ottenere i loro tornaconti molto spesso attivano sofisticate strategie di triangolazione.
Rimanere genitore neutro e intellettualmente onesto può non essere sempre facile. Occorre consapevolezza delle proprie decisioni e prontezza nell’assumersene gli effetti, ed avere chiari i limiti ed i confini del ruolo educativo per fare pienamente la propria parte e lasciare spazio all’altro genitore per come egli può esser presente.
Il muro che porta i due ad allontanarsi si costruisce mattoncino dopo mattoncino ogni giorno. Ci si sveglia un giorno che è già finito. Il tragico non è a mio avviso che il muro ora sia lì. Il tragico è che non si sappia neppure come è stato costruito, che si manchi della necessaria comprensione di come si è arrivati a quel punto senza la quale non si può intervenire. È per questo motivo che ritengo che oggi i percorsi di “alfabetizzazione all’amore” siano un abc importantissimo della relazione affettiva adulta e che le coppie dovrebbero rimanere in formazione continua. Due naturali conseguenze sono: la paura per le successive relazioni ed i copioni ripetitivi attraverso i quali si ricercano sempre gli stessi tipi di partner a conferma che «tutti gli uomini/ tutte le donne sono così» ed al fine di non cambiare nulla di sé.
Inoltre se non è facile essere genitore unico, non lo è neppure conciliare con esso il proprio ruolo di donna o di uomo.
Concludo con alcuni interrogativi aperti su cui ritengo sia necessario continuare a riflettere attentamente. Che fine fanno il maschile ed il femminile che c’è in ogni essere umano, in che modo trovano ancora spazio di espressione? Come fare in modo che questi cambiamenti non interferiscano con una nuova dimensione di sé né con il naturale processo di identificazione sessuale che si sviluppa tra genitori e figli? E quando l’altro genitore è veramente assente, chi può supplire alla mancanza della sua figura?

Dr.ssa Antonella Ritacco


Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Noidue, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/genitore-e-single/ 

15.4.19

Non solo primi incontri



Incontrando e ascoltando single, ho colto spesso la delusione di vivere tanti primi incontri a cui non seguivano altri inviti. Quali possono essere alcuni dei motivi e come reagire?

Quando dopo un incontro che non prosegue in una frequentazione si sperimenta una delusione, generalmente a monte c’è un’illusione. L’illusione in questo caso si riferisce a un’immaginazione precoce, anzitempo, di qualcosa che la persona vorrebbe si realizzasse e la cui realizzazione viene indebitamente o precocemente attribuita a chi sta dinnanzi. Se si prova a mettersi nei panni dell’altro, si può meglio comprendere come questo può risultare gravoso e ansiogeno. E non perché questo desiderio non debba esistere, capiamoci bene, piuttosto perché ancora nessuno dei due sa se è veramente quella la persona in cui vuole riporlo. Manca ancora da raggiungere il livello di conoscenza tale che può far generare una libera scelta dell’altro. Di conseguenza ciò che più frequentemente si sperimenta è la paura dell’abbandono da una parte, mentre dall’altra la pressione di dover scegliere e appagare un desiderio. Darsi il tempo per conoscere l’altro, non avere idee stereotipate su chi dovrà fare il primo passo sono due elementi da tenere in conto.
Un altro elemento che ricorre molto spesso nelle conoscenze precocemente interrotte sono i giudizi e i pre-giudizi. L’avere un’idea chiara di ciò che si vuole può condurre talvolta in un vicolo cieco, in cui non ci si dà vicendevolmente il tempo di conoscersi per come si è. È naturale che al primo incontro si voglia dare di sé la migliore impressione possibile, e proprio per questo è difficile essere rilassati come si vorrebbe. Quest’ultimo punto non è di per sé stesso un limite, poiché la componente emotiva rende più veri, più autentici. Il limite sta nel giudizio che si dà di se stessi fino a ritenersi inadeguati, o viceversa nel giudicare l’altro senza ancora ben conoscerlo. I giudizi e i pregiudizi, in amore, sono di norma uno strumento utilizzato per tenere lontano l’altro ed esprimono un’effettiva paura di conoscerlo fino in fondo. Avere un’idea chiara di ciò che si vuole può anche generare in sé degli standard molto elevati tali per cui la persona incontrata non è mai idealisticamente paragonabile a quella desiderata e pertanto allontanata.
La verità è che non gli piaci abbastanza titola una commedia statunitense e può anche essere che sia così. Le relazioni nascono per affinità o per complementarietà, dunque è naturale che non si possa creare lo stesso legame con tutti. La sofferenza potrebbe derivare dal vissuto di una mancata conferma, che per la persona si traduce in un “non vado bene”. Questa lettura della cosa in realtà è molto pregiudizievole e si rischia di farsi molto male per nulla. In amore ci si sceglie “nella libertà”, per questo è molto importante che questi incontri vengano vissuti nella serenità di potersi esprimere e nel rispetto dell’altro a partire dal modo come si comunica di non voler più proseguire nella frequentazione. Nella maggior parte dei casi è il modo che ferisce non il fatto in sé è per sé. Il modo con cui questa intenzione viene espressa, taciuta o recepita ha a che fare con la maturità affettiva del momento.
È importante ricordare che i primi incontri hanno la funzione di aprire un varco a una conoscenza più approfondita, per questo è importante non seguire schemi predefiniti ma rimanere il più possibile in contatto con sé stessi, esprimere ciò che si è e si pensa, essere sé stessi. Lasciare che il tempo e la comunicazione fluiscano, che ci sia spazio per entrambi per esprimersi, essere genuinamente interessati a ciò che interessa all’uno e all’altro.
Se hai deciso di non proseguire nella conoscenza dell’altro: occhio a che non sia una modalità per tenere lontano le persone e non doverti mai coinvolgere.
Se hai ricevuto un rifiuto (diretto o indiretto): non si può piacere a tutti, così come l’altro non può essere aprioristicamente la persona che fa per te, meglio scoprirlo per tempo.
Se man mano che avanza la crescita personale, è possibile che le circostanze che hanno guidato la chiusura precoce di una frequentazione divengano chiare, sul momento è importante accogliere la delusione che ne deriva senza lasciarsi sopraffare da essa. Ogni cosa ha un senso anche se sul momento non si ha ancora la possibilità di attribuirlo.
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https://www.cittanuova.it/non-solo-primi-incontri/


18.2.19

Le bugie che mi racconto



La bugia non è solo quella che raccontiamo agli altri, è anche quella che si racconta a sé stessi quando si crede a false verità su di sé, quando si temono così fortemente i giudizi propri ed altrui su di sé e si rinuncia a scoprire la propria forza interiore. Questo tipo di bugia è definito autoinganno



Ne abbiamo un esempio in letteratura nel romanzo spagnolo di don Chisciotte de la Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra. Convinto di essere un cavaliere errante genera in sé convinzioni che divengono ben presto ostinazioni che lo portano a deformare la realtà. Perso il dato reale, ogni cosa acquista senso in funzione di ciò di cui egli è convinto. Vede avversari che non esistono ed esce da queste battaglie sempre perdente, né riesce ad integrare nella sua esperienza i dati di realtà che seppur debolmente il suo scudiero, Sancho Panza gli rimanda. Sancho Panza gioca il ruolo di alter ego. Prova a farlo ragionare ma finisce sempre per essere complice e succube delle sue bizzarrie. Nella lotta tra razionalità e istintività i due personaggi si perdono, poiché nessuno dei due aspetti prende il sopravvento sull’altro non c’è una soluzione possibile.
Un analogo vissuto di combattere ogni giorno una battaglia contro qualcosa di inesistente attraversa coloro che sono vittime dei propri autoinganni. Esse vivono la sensazione di rimanere sospesi in una situazione di incertezza costante legata all’ostinazione di credere a false credenze su di sé. Nel loro intimo confermano e disconfermano alternativamente quegli aspetti di sé che desidererebbero ma temono, o meglio sono convinti, di non avere. Sono così intimamente convinti di sapere come sono che gli risulta molto difficile di integrare i feedback che ricevono (attraverso le esperienze o dalle persone) con le loro credenze aprioristiche su di sé. Questo accade sia quando la persona si svaluta eccessivamente sia quando al contrario ha di sé un’immagine eccessivamente positiva.
In un precedente articolo abbiamo visto come e perché si dicono le bugie e cosa accade quando si diventa dei bugiardi abitudinari.
L’autoinganno è una bugia un po’ diversa. Essa è detta due volte: prima a sé stessi e poi agli altri e funziona fintanto che una parte di sé vi crede veramente. Dietro di essa si nasconde una grande paura del giudizio, proprio ed altrui. La profonda convinzione di non essere abbastanza richiama al bisogno di riconoscimento ed attribuzione di valore. Si è in genere molto esigenti con sé stessi, poco empatici ed accoglienti. Si inseguono ideali (lavorativo, familiare, coniugale, amicale, di svincolo parentale, ecc.) e ci si circonda di persone rassicuranti che, come Sancho Panza, tendono a confermare l’immagine che si ha di sé senza mai sostenere una conoscenza più profonda di sé. Molte energie sono investite per affermare e confermare lo status quo che è molto più rassicurante rispetto all’incertezza del pensarsi in evoluzione.
A queste condizioni, generare ed inglobare in sé nuove consapevolezze è davvero difficile. Così come lo è l’attribuire qualità ad alcune parti di sé che possono essere genericamente e frettolosamente negate, svalutate o esaltate ma senza un riferimento contestuale. Ad esempio la genuinità e la ricchezza d’animo possono essere additate come segno di debolezza e le angherie come segno di un carattere forte.
Questi moderni don Chisciotte si sentono fragili e vivono una lotta interna per affermare sé stessi. Generalmente non si sono mai misurati fino in fondo con le proprie capacità reali ma le hanno sempre molto temute. Essere aiutati a misurarsi con esse, per quanto paura possa fare, è possibile e necessario per trovare una soluzione al proprio dilemma interiore: la ricerca di valore e la difficoltà a credere in esso.
Gli autoinganni possono essere di diverso tipo. Essi godono di quella zona franca del cervello di cui parla lo psicologo Daniel Goleman, entro cui si generano le cosiddette “bugie vitali”. La persona rileva la situazione e vi trova una giustificazione plausibile che non la costringe a dover mettere in dubbio aspetti di sé. Ne guadagna in serenità interiore e mantenimento dello status quo ma ne perde in capacità di crescita personale.
Esempi di autoinganni possono essere: i comportamenti stereotipati di chi dice bugie per migliorare la propria reputazione. Chi sostiene verità presunte: «Gli altri non mi parlano perché sono invidiosi di me». Le giustificazioni per l’altrui o il proprio comportamento: «È violento perché è un vero maschio» o «Sono fatto così!».
L’autoinganno è nocivo per la persona, lede le sue possibilità di crescita personale, maturazione psichica e miglioramento poiché blocca il cambiamento. Per essere superato è necessario riuscire ad uscire dalla trappola mentale di cui si è prigionieri e allearsi con quella parte di sé che opera sempre per lo sviluppo personale. Per quanto temerario e faticoso possa apparire è molto più avventuroso che lottare contro i propri mulini a vento, le proprie tautologiche autocredenze mai veramente confutate fino in fondo.

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https://www.cittanuova.it/le-bugie-mi-racconto/


17.1.19

Coppie, 7 motivi per non vivere coi familiari



Due giovani sposi dovrebbero ambire da subito alla propria indipendenza, per il proprio benessere e quello della famiglia d'origine



Avete deciso di sposarvi, ma le finanze sono ancora instabili e c’è un appartamento libero accanto ai genitori di uno dei due, o una stanza in più che non viene mai usata a casa loro. Ne parlate col partner, anche i vostri familiari sono d’accordo, forse non tutti. «Ma sì, forse per un po’, qualche mese, finché non si sistema la situazione di quel contratto, o non trovate un lavoro migliore. Così siamo tutti più tranquilli!». «E poi ci pensi, con i soldi che risparmiamo sicuramente potremo comprarci i mobili per casa nostra».
Argomentazioni che un tempo avrebbero retto e forse fatto anche la fortuna degli inizi di una giovane coppia che così poteva più velocemente acquistare una casa e “stabilizzarsi”, mentre oggi vengono guardate con diffidenza da amici, alcuni parenti, psicologi e guide spirituali. Perché?
I principali motivi per cui una giovane coppia dovrebbe ambire da subito a una propria indipendenza riguardano aspetti sia della coppia e del processo attraverso cui essa si definisce, sia i bisogni o criticità della relazione con la famiglia di origine. Vediamone 7:
  • Noi. Una giovane coppia ha bisogno del suo tempo per definire il personale modo di stare nella relazione. La funzione “noi” è un processo lento che necessita della giusta privacy, intimità e di un “vuoto fertile” per essere sviluppata.

  • La coppia ha suoi propri confini e non tutti i genitori sono pronti a rispettarli, né tutti i figli sono già allenati a insegnare ai propri genitori a tenerne conto. Nella relazione tra figlio e genitore arriva il momento in cui l’uno deve mostrare all’altro che è arrivato un nuovo tempo e che i modi di prima ora risultano intrusivi e lesivi della nuova realtà di coppia.

  • Intimità. L’intimità della coppia è un luogo sacro in cui nessun altro è autorizzato ad entrare. Essa è condivisione profonda della propria interiorità, è fare progetti insieme, è custodire le proprie scelte e motivazioni, è vivere la sessualità, è fare le cose con il proprio tempo e ritmo.

  • Vuoto fertile. La coppia necessità di quello spazio/tempo in cui la relazione può impastarsi, lievitare e trasformarsi in un rapporto sano ed equilibrato tra i partner e con le figure d’origine. È l’assenza, intesa come lontananza e subitanea indisponibilità, che permette di sviluppare la giusta distanza, che sarà così importante per fare spazio al “noi”.

  • Assumere e riconoscere ruoli e capacità di ciascuno. A livello psicoemotivo, convivere tutti insieme genera confusione tra i vari ruoli di figlio, adulto, genitore, amico e confidente da un lato e i concetti di indipendenza, maturità, autonomia e affettività dall’altro. Si vengono a creare facilmente ambiguità di questo tipo: 1) ritenere adulto e maturo un figlio quando non lo si ritiene ancora indipendente ed affettivamente pronto a formare una sua famiglia come nucleo a sé stante; 2) avere paura di autorizzarne lo svincolo per timore di perdere il legame affettivo privilegiato, o di soffrire della “sindrome del nido vuoto” legata all’uscita dei figli da casa, o di doversi nuovamente confrontare con il proprio partner a tu per tu, come ad es. nei casi in cui il figlio funge da mediatore nella comunicazione tra i genitori.

  • Autoregolazione e condizionamenti. L’autoregolazione è il meccanismo attraverso il quale la coppia giunge a definire le personali regole di comunicazione, di scelta, di confronto e disaccordo, di litigio, di riflessione, di mediazione e conciliazione. Attraverso di esse si attua la distribuzione del potere tra i partner, si definiscono equilibri e livelli di paritarietà. È importante notare come questi processi possono essere realmente liberi di esplicarsi e giungere all’autoregolazione allorquando sono liberi da condizionamenti, interni o esterni che siano. Un condizionamento importante da citare quando si vive con i genitori o a diretto e costante contatto con loro è che il figlio o la figlia in questione è in casa propria, ma il partner no e questo crea necessariamente un disequilibrio di potere nella coppia.

  • Desatellizzazione. È quel processo così definito dallo psicologo Giovanni Marini, tale per cui un giovane che si stacca dalla famiglia di origine deve poter rendersi indipendente ed autonomo non solo economicamente e strutturalmente, ma anche affettivamente. Il mancato svincolonuocerebbe a lungo andare sia alle persone che alla relazione di coppia, sia quella genitoriale che quella dei figli.

L’andare ad abitare insieme è per una giovane coppia una prova del 9 e insieme un trampolino di lancio verso la costruzione e il rafforzamento di quell’essere “noi” che sarà così importante negli anni a seguire. Questi primi tempi della vita insieme sono importantissimi e, se necessario, vanno tutelati anche a costo di non essere del tutto compresi o supportati.
Infatti, non c’è giusta distanza se non c’è liberta del cuore e autonomia di pensiero. Solo quando nella relazione sono possibili sia la vicinanza che l’allontanamento, la relazione può dirsi matura.

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20.12.18

Essere single a Natale

Cosa succede quando il Natale arriva in un tempo in cui in realtà si avrebbe bisogno di stare lontano dalla propria famiglia di origine e si stanno affrontando dei passaggi evolutivi importanti per la propria crescita personale? Il Natale ha molti volti vediamone alcuni.

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1.12.18

Non sono il mio personaggio

"Capita ad alcune persone di identificarsi con un modo di essere e di fare stereotipato, sempre identico a sé stessi. Una condizione in cui si sentono intrappolati e da cui vorrebbero uscire ma non sanno come. Anche quando intravvedono una possibilità di uscita non è facile imboccare questa strada. Mille paure, mille “se…ma…però” si fanno avanti e la persona resta bloccata in quello che possiamo chiamare un personaggio...."

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8.11.18

Il posto della coppia


"Avete mai pensato che l’essere partner è solo uno dei tanti ruoli che vivete nella vostra vita? Che è un ruolo con sue specifiche caratteristiche e che da come viene vissuto può dipendere anche il buon funzionamento degli altri ruoli che con esso sono in relazione?"....

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9.8.18

Siamo pronti a sposarci?

Per quanto intima, romantica e idilliaca possa essere una proposta di matrimonio non è mai un fatto individuale. Non lo è per varie ragioni. Non ci si sposa da sé. Si sposa un altro che si sta scegliendo di amare “come” se stessi e per tutta la vita. Non è solo l’emozione del momento, è un si che si rinnova ogni giorno e che si fa più forte proprio quando ce n’è più bisogno, quando la vita lo mette alla prova.
Non è un fatto solo privato, è un atto sociale.....
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11.8.17

Se si taglia il cordone con la famiglia

Le reazioni emotive interne. Le possibili difficoltà. Come accettare i propri bisogni senza sentirsi in colpa. L’importanza di riconoscere il valore del proprio impegno.


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