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23.10.20

Esec: 10 anni con voi!



Cosa è ESEC?


Esec è un percorso di crescita personale per supportare l’affettività adulta che mira a fornire conoscenze e competenze affinché le persone possano orientarsi verso relazioni sane e nutrienti. Il presupposto di base è che occorre credere nell’amore affinché una relazione possa essere duratura e rendere felici. Molti nel tempo hanno collezionato esperienze deludenti su di sé, con l’altro e della relazione. Esec vuole aiutare a svelare gli inganni della nostra mente ai quali finiamo per credere e propone spunti per mettersi in cammino lì dove serve.


Si occupa dei single che classicamente ci sono sempre stati ma anche dei nuovi single che senza accorgersene pagano lo scotto della coesistenza e del passaggio da vecchie a nuove culture, di quelli che hanno smesso di credere nell’amore perché delusi da esperienze dirette o indirette ma che continuano a desiderarlo. Tutto questo crea uno spaccato tra la relazione desiderata e quella possibile e rende più difficoltoso l’incontro.


Esec vuole creare le basi per una relazionalità sana partendo prima di tutto da se stessi, aprendosi agli altri ed al partner. I temi sono vari e ci sono anche aspetti che riguardano più da vicino le coppie, proprio per dare strumenti utili per il futuro insieme.







Quando, come e perché nasce ESEC? 


Esec nasce 10 anni fa a Roma da un piccolo gruppo di persone che si sono riunite accomunate dal comune desiderio di generare una riflessione su come avviene la scelta del partner e come essa sia influenzata da diversi sistemi. 

Il primo impulso fu quello di condividere quanto avevo appreso lavorando sulla mia personale esperienza di single adulta e dalla voglia di mettermi a disposizione di quanti stavano attraversando la mia stessa situazione. Gradualmente osservai che il fenomeno riguardava anche molti dei miei amici di cui apprezzavo la bellezza d’animo e per i quali non potevo capacitarmi del perché fossero ancora single. E ancora oltre, aveva un’espansione mondiale. Era divenuto un fenomeno culturale. E cominciai a studiarlo e ad implementarlo. 

Dopo quel primo incontro le persone chiesero di sviluppare altri punti e dalla condivisione di esperienze, stimoli, materiale e soprattutto interrogativi esistenziali venne fuori la prima bozza di questo percorso. 


Esec nasce in definitiva dal bisogno di rispondere ad alcune domande: 

·      Perché si è ancora single e come uscire dalla singolitudine? 
·      Come favorire l’incontro e mantenere la relazione?
·      Quali assunti di base su cui si fonda una relazione d’amore è necessario conoscere?
·      Inoltre si può, attraverso una scelta consapevole del partner ed una conoscenza più approfondita dei meccanismi e degli strumenti che connaturano la relazione intima, sostenere la relazione di coppia e tutelarla da una separazione precoce?

 

 

A chi si rivolge ESEC?


Esec si rivolge a quanti hanno voglia di mettere mano alla loro vita di relazione, prima di tutto quella con se stessi e poi quella con gli altri. Scopo di base è raggiungere l’armonia e la bellezza dentro di sé per poterla poi utilizzare nell’incontro con l’altro. 

Incontro che solo la vita in sé può garantire. Con Esec si lavora affinché si possa collaborare con le situazioni che la vita propone. 

Questo richiede una decisione personale ed un atteggiamento proattivo che nella maggior parte dei casi si sviluppa o rafforza durante il percorso stesso. 



Tre strategie vincenti per uscire dalla singolitudine?

 

1.     Imparare a scegliere. Non si tratta di rinuncia ma di un avanzamento nella crescita e di un modo nuovo di stare nella relazione con ciò e chi ci circonda.

2.     Imparare ad amarsi. Guardarsi dentro e tirare fuori la bellezza dell’unicità che si è.

3.     Essere liberi di accogliere l’incontro “propizio” e l’altro. Liberi da ansie e frettolosità, liberi dalle scorie del passato, liberi da giudizi e pregiudizi, liberi dalle fantasie sul futuro e di determinazione.








  

La cosa più bella e la cosa meno piacevo di questi 10 anni?


La cosa più bella è la ricchezza umana che le persone portano e la possibilità di osservare all’interno del percorso la loro rifioritura. Il viso con cui entrano non è lo stesso con cui vanno via. Ed in tanti continuano anche nel tempo a renderci partecipi dei loro traguardi. Di questo gliene siamo veramente grati.


La cosa più dura è stata accettare durante questi 4 anni, del mio trasferimento in Germania, di mettere in pausa il percorso senza mai abbandonarlo del tutto e con l’intenzione di continuare a rispondere alla richiesta di chi ha chiesto di non smettere di occuparmi di loro. In questi anni ho continuato a scrivere di e per i single attraverso le pagine di Città Nuova online nelle rubriche #Noidue e #Felicemente, ed anche questo è stato un modo per rimanere in contatto con loro.


Molto di ciò che ho scritto può essere rintracciato attraverso gli Hashtag 

#Esec

#Mondoesec

#atupertuconlospecchio

#facciamoacapirci

#labellezzadellavitaèneltragitto

#labellezzadellebuonerelazionivincesempre

#Noidue

#Felicemente

#drssaantonellaritacco


 

 

Esec nel futuro


Continuo ad approfondire il tema e non posso ancora dire in che modo né quando ma so che Esec non è ancora finito. Accanto alla revisione del percorso italiano e nel mentre del mio inserimento nel mondo lavorativo tedesco, lavoro all’adattamento tedesco di ESEC che tenga conto anche del fenomeno dell’inculturazione. Per questo c’è bisogno di più tempo perché ritengo sia importante padroneggiare la componente culturale del paese in cui viene proposto. Essa è parte integrante del percorso originario. Anche il tema delle collaborazioni con altri professionisti, come in parte già avvenuto in passato, è un tema oggetto di riflessione per rendere il percorso sempre ricco e partecipato.


Diciamo quindi che Esec sta vivendo il suo periodo di latenza (secondo Freud appunto quello che va dai 6 agli 11-12 anni), in cui anche se fa meno rumore, continua ad esserci nelle forme concretamente possibili del qui e ora. Forme in cui silenziosamente si prepara per ciò che diventerà. 

D'altronde Esec propone un percorso di crescita personale ai partecipanti, sarebbe un controsenso se non si evolvesse lui stesso con l’esperienza maturata, le interazioni avute con i collaboratori, il feedback dei partecipanti e con l’arricchimento del confronto con una nuova cultura. Il modo in cui si svilupperà dovrà contemplare tutta questa ricchezza. 

 

Chi vuole rimanere aggiornato può contattarmi per mail info@antonellaritacco.it o consultare il blog dedicato www.esseresingleessereincoppia.blogspot.com

 

 

Che messaggio lasciare ai single?


Imparate a stare nella vostra solitudine ma non siate soli, 

imparate ad accettare la vostra situazione ma non chiudetevi alla vita,

andate incontro agli altri con lo zaino più leggero possibile, 

gioite, divertitevi, condividete, non giudicate,

e soprattutto amatevi. 

 


Gengenbach, 23.10.2020

Dr.ssa Antonella Ritacco




27.2.20

Essere di sostegno al partner

 Fonte: Città Nuova


Momenti difficili ce ne sono per tutti. Critico è viverli in contemporanea. Per fortuna non è sempre così


Saper stare al fianco senza pretese e senza interferenze è un’arte che si può apprendere. Fermarsi a chiedersi: «Come gli sto vicino quando ha bisogno di me?» è un buon allenamento per prestare attenzione alla relazione e imparare a camminare insieme nella vita.

Per natura si è egocentrici, ed anziché chiedersi come si sta accanto all’altro, risulta più facile chiedersi «Come mi sta accanto?». Se si soffre di questa sorta di miopia relazionale vien da sé che difficilmente verrà spontaneo inquadrare la situazione nel suo contesto: «Che cosa sta attraversando l’altro? L’attenzione che mi aspettavo è realistica? In che modo mi do personalmente attenzioni ed in che modo le chiedo o le pretendo?»
Se si è concentrati sul proprio bisogno, proprio come i miopi, l’altro ed i suoi bisogni tenderanno a rimanere sullo sfondo. La situazione peggiora se noncuranti del difetto di vista si cerca di far sentire l’altro carente di cure e di attenzione.
Viceversa se si soffre di ipermetropia relazionale si tenderà a tenere in considerazione i bisogni e le argomentazioni reali e plausibili dell’altro ed a trascurare i propri. Anche in questo caso è facile sbilanciarsi e finire per sentirsi inadatti.

Come fare a tenere conto delle proprie ed altrui esigenze contemporaneamente?
Ci sono di supporto alcune funzioni. Primo: l’empatia, questa capacità di uscire da sé e dal proprio campo visivo per osservare la situazione anche dall’angolazione dell’altro. È una competenza emotiva che cresce insieme alla considerazione ed al desiderio di vicinanza dell’altro.
Secondo: il dialogo. Nessuno nasce indovino, ed anche se crediamo di essere delle persone empatiche a volte possiamo essere indotte in errore e capire fischi per fiaschi. In fondo se ci si pone in due angoli di una medesima stanza, la stanza è la stessa, ma la prospettiva di visuale è necessariamente diversa.
Terzo: la valutazione obiettiva delle proprie condizioni attuali e la loro comunicazione sincera. Se vi trovate in un momento critico, meglio parteciparlo, piuttosto che far finta di niente. Le risorse energetiche sono per natura limitate, questo è un dato di fatto da accettare. Ignorare o sottovalutare questo dato di fatto porta confusione, rammarico e insoddisfazione. In queste circostanze le donne si sentono in genere deluse e gli uomini squalificati. Mentre l’informazione chiara aiuta a costruite contesti mentali comuni e facilita sia la comprensione dei reciproci bisogni sia l’accettazione di essi. Ne consegue lo sviluppo di sane ed adeguate capacità di autosostegno.

L’autosostegno: una risorsa o un limite? Come in ogni cosa l’equilibrio sta nel mezzo. Atteggiamenti come: «faccio da me, non ho bisogno di te», suonano di per sé distanzianti e qualche volta possono essere persino rancorosi. Mentre ascoltare e comprendere che l’altro in questo momento, e non in generale, non può essere al fianco per ovvi motivi, lascia spazio alla fiducia ed alla vicinanza emotiva: «So che vorresti aiutarmi e che mi sei accanto col cuore, ma stavolta faccio io».
Inoltre quando ci si trova a vivere contemporaneamente delle situazioni difficili, già il sapere che l’altro è in grado di gestire quella situazione, alleggerisce il partner di una responsabilità che soprattutto gli uomini sentono sull’altra. In questi casi l’autosostegno è una risorsa fondamentale della unione di coppia.

Lasciarsi sostenere ha a che fare sia con la capacità di lasciarsi sostenere senza sentir messo in discussione il proprio valore, sia con il permesso che si da all’altro di fare qualcosa di bello per voi, riconoscendovene degni. È importante parlare nella coppia di questi aspetti per trovare il modo comune di conviverci. Si proviene da diverse esperienze e qualche volta da diverse culture, si sono maturate negli anni abitudini, convinzioni e bisogni e qualche volta anche delle insicurezze. La conoscenza vicendevole e l’integrazione delle reciproche modalità arriva per gradi e matura con gli anni.

Concludendo possiamo dire che tante cose si possono fare da soli, e seppure in coppia continuare a farle da soli. E tante cose si possono fare insieme o per l’altro senza né delegare né sostituirsi. Occorre solo essere consapevoli che nel mentre si sceglie che veste darsi nel mutuo sostegno come partner, si definisce anche la strategia che con i propri temperamenti permette meglio di coabitare la relazione che si va via via costruendo.



29.11.19

Tornare a credere nell’amore



Fonte Città Nuova 
Quando dopo alcune esperienze deludenti la fiducia nell'amore crolla, si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore pur non credendoci fino in fondo? È giusto accontentarsi? Una riflessione



Crescere in un ambiente in cui l’amore viene espresso permette di ricevere un modello di quello che è la relazione amorosa a cui attingere negli anni a seguire. Ma cosa accade quando non è stato possibile cogliere la bellezza di questa relazione? Cosa succede quando a seguito di esperienze deludenti questa fiducia nell’amore crolla? Si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore, come trascinati dalla corrente, pur non credendoci fino in fondo? E questa forsennata e dolorosa corsa è forse una sfida per dimostrare che l’amore non esiste, o peggio ancora che non lo si merita, finendo per accontentarsi?
Il tema è alquanto ricco e delicato poiché chiama in causa più fattori di tipo interno, esterno e generazionali. Ed è anche uno dei temi su cui pazienti, lettori e partecipanti ai seminari sull’affettività mi interrogano. Proviamo ad aprire qualche spazio di riflessione.
Cos’è amore? Esistono varie forme e definizioni di amore, ma non tutte portano alla stessa relazione poiché parlano di legami diversi. Lo spiega bene lo psicologo statunitense Robert Sternberg quando definisce i tre pilastri dell’amore: intimità, passione e impegno. È l’unione di questi tre elementi che porta all’amore duraturo di una relazione sana e felice.
Fare i conti con l’esperienza passata. Sia la propria che quella indirettamente vissuta o ascoltata dagli altri attiva paure e porta troppo spesso a false convinzioni quando si cerca di assolutizzarla. Viceversa, contestualizzandola se ne possono cogliere stimoli e lezioni per il futuro.
Assumere una decisioneDecidere vuol dire anche tagliare, scegliere. Vuol dire che qualcosa viene perseguito e qualcosa resta fuori. Senza l’accettazione di questa conseguenza, si rischia di rimanere confusi e smarrire l’obiettivo: una relazione sana, duratura e felice in cui si è felici in due. Si vivono molte belle avventure, e qualche volta, come in una lotteria, si vince pure, ma molte volte si rimane delusi e sofferenti.
Prepararsi all’incontro. L’amore non si cerca, lo si incontra. Ed è possibile a determinate condizioni: essere disponibili ed essere nel tempo giusto.
La disponibilità è prima di tutto una disponibilità ad incontrare se stessi, a conoscersi fin nel profondo, a visitare i propri luoghi bui e temuti, a chiamare col nome le proprie difficoltà senza giudicarsi, a donarsi e donare perdono a chi ha avuto un ruolo nelle proprie ferite, a farsi accompagnare in questo viaggio così scomodo da chi è esperto e l’ha già sperimentato. È imparando ad amarsi che si pongono le fondamenta per un incontro autentico con l’altro.
Il tempo giusto. È il tempo che è stato preparato dall’attesa, un tempo che ha incontrato il vuoto e ne ha fatto l’occasione di un rapporto profondo con se stessi, senza più bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno né di confondere l’amore con la soddisfazione dei bisogni. È il tempo in cui si può finalmente apprezzare l’altro nella sua totalità, per assurdo anche nei suoi lati bui. È il tempo in cui le reciproche libertà si incontrano. E le confusioni sono dissipate, tutto è chiaro.
Credere ancora. Tornare a credere è una scelta. Essa consegue all’elaborazione dell’esperienza maturata, che rappresenta nell’oggi una grande risorsa per non ripetere eventuali errori passati. Ed è anche un moto di accoglienza per il nuovo che arriva.
Come si fa dunque a tornare a credere nell’amore dopo le esperienze deludenti che una persona ha avuto? La risposta è nel percorso personale di vita che ciascuno sceglie di fare, nella consapevolezza che ognuno ha il suo tempo per camminarci dentro e che alcuni strumenti possono sostenere lungo il cammino.

19.7.19

La chiusura di una relazione (Parte I)





Come può essere vissuta e superata la chiusura di un rapporto da parte di chi decide e di chi deve prendere atto della situazione.



Decidere di chiudere una relazione è una scelta importante. Se la decisione non è unanime assumerne o portarne il peso può essere gravoso. Inoltre ci sono motivi e modi diversi per porre fine ad una relazione d’amore. Essi dipendono dalla maturità affettiva dei partner e dalle loro modalità caratteriali, dalla profondità relazionale che i due avevano stabilito, dalla durata della relazione e dagli investimenti emotivi e di pensiero che su di essa erano stati riversati.
A riguardo, un aspetto non di poco conto è se la relazione ha seguito quei passaggi che possono far ritenere che effettivamente ci si è spesi per quella relazione e nonostante ciò essa non ha funzionato perché mancano le basi per una intesa comune, oppure se la decisione è presa sulla base di principi ritenuti importanti e che entrano in conflitto con il sentimento che si prova per l’altro.
In questo e nei prossimi articoli tratterò di come può essere vissuta la chiusura sia da parte di chi decide, sia di chi deve prendere atto della situazione, sia di come superare questa fase.
Chiudere una relazione non è mai indolore, anche quando apparentemente la persona sembra reagire bene, molti dei meccanismi che si attuano per sopravvivere emozionalmente al dolore hanno a che fare con la “fuga dal pensiero”. Si decide di investire tempo, energie ed interesse in attività che tengano occupati, cosicché lo spazio per i vissuti emotivi ed i ricordi è limitato. Si tratta di un comportamento del tutto sano e usuale purché non si finisca per annullarsi ed essere strapieno di impegni per non pensare e non provare emozioni. Un campanello d’allarme può essere il temere il tempo libero, temendo che le emozioni tornino a incombere.
È importante darsi il tempo per esprimere le proprie emozioni e pensieri, accogliere i propri sbalzi d’umore, avere del tempo per sé stessi e per comprendere ed elaborare quanto è accaduto. Il confronto con gli altri va bene ma è necessario anche saper dosare e mettere dei confini chiari quando non si ha voglia di parlarne ancora.
L’oscillazione emozionale è piuttosto comune nelle prime settimane dopo la chiusura di una relazione profonda o vissuta con intensità e possono perdurare anche per alcuni mesi. Se invece la relazione era agli esordi o non si era stabilito un rapporto profondo, è possibile supporre che il dolore che si prova abbia a che fare con l’idealizzazione della relazione oppure ad un livello più personale con una possibile ferita narcisistica che comporta un vissuto di fallimento.
Imparare a tollerare l’assenza dell’altro. In questo tempo di passaggio è naturale che si rievochino i ricordi e tra essi sia quelli brutti che quelli belli. Ricordarli entrambi è indice dell’importanza che la persona ha avuto nella propria vita, che si riesce a guardare alla relazione con una certa obiettività e che dunque si può ritenere di aver preso una decisione congruente con sé stessi.
Stoppare pensieri rimuginanti ove presenti. Quando si crea un rimuginio, esso nasconde in genere un’emozione o un bisogno non ancora svelato che sta cercando un modo per essere espresso. La mente ritorna sull’accaduto nel tentativo di chiudere un cerchio, di portare qualcosa a compimento. Può essere che la persona stia cercando ancora di comprendere come gestire il conflitto che si è creato tra un principio da salvaguardare ed il sentimento che prova verso l’altro oppure che sta cercando di fare chiarezza ancora su tutti i motivi che l’hanno condotta a prendere quella decisione.
Anche l’autorimprovero rientra nei pensieri rimuginanti. Le persone dovrebbero ricordare che ciascuno fa ciò che può con le capacità che ha nel preciso momento in cui si trova a vivere quella determinata situazione. Il dopo è un altro tempo ed è naturale vedere le cose con maggiore chiarezza “col senno di poi”. In realtà l’unica occasione che abbiamo da vivere è il tempo presente.
Lasciarsi sostenere nell’apprendere a gestire le proprie emozioni, può non essere sempre facile da accettare sebbene aiuta a recuperare più velocemente un proprio equilibrio. A qualunque figura ci si rivolga, un familiare, un amico o un professionista, la persona dovrebbe imparare a darsi perdono, mollare l’autocontrollo sulle proprie emozioni e ad essere meno perfezionista.
Inoltre sarebbe da tenere sempre presente che se si ravvedono motivi per cui la relazione non funziona, questi hanno la priorità di attenzione rispetto al bisogno/desiderio di essere in coppia.
La relazione ha bisogno di basi solide per poter funzionare nel tempo e la fase del fidanzamento è il momento giusto per sondarle. Pertanto, può essere importante, nei momenti di calo dell’umore, ricordarsi i motivi per cui ci si è separati e cosa veramente si cerca e si vuole da una relazione. Questo non toglie il dolore per l’assenza dell’altro, né valore alle caratteristiche che egli ha, aiuta invece ad autosostenersi nel cammino verso una più chiara definizione di ciò che si è e ciò che si vuole.

Dr.ssa Antonella Ritacco



Fonte Città Nuova


4.7.19

Genitore e single




Prendersi dei momenti di riflessione personali perché la maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati.


I motivi per cui ci si ritrova ad essere genitori single possono essere i più svariati. Come per ogni cosa, esistono motivazioni ufficiali, quelle che vanno bene per tutti e ci sono motivazioni più intime e profonde, per nulla immediate, che solo gli interessati possono col tempo arrivare a comprendere.
Qualunque sia la situazione che conduce a crescere un figlio da soli, essa non è mai priva di sfide e di dolori bensì è di una costante rimessa in discussione di sé.
Sono sempre possibili cicliche rivalutazioni della scelta intrapresa o ricordi dei vissuti legati a come essa è avvenuta; si palesano gli effetti sulla relazione con i figli sia per chi è presente sia per chi li vede a ondate; si impongono le difficoltà della vita quotidiana e dei suoi costi, ove a volte anche i beni necessari come un tetto sulla testa diventano proibitivi. La propria ed altrui vita viene rivoluzionata. Come si trasformano le emozioni verso il precedente partner, come si reagisce ai tentativi di riavvicinamento, o quali possono essere i riflessi emozionali davanti alle richieste e velate minacce dei figli che cercano di estorcere un riavvicinamento? Come e quando sono stati innalzati i muri, e dove è iniziato il punto di non ritorno sulle proprie decisioni?
Ogni cuore ha certamente le sue ragioni. Quando si è in interazione con l’altro non è facile comprendere quale parte della persona si attiva, la relazione viene vissuta, non tanto meditata. Per questo è importante prendersi dei momenti di riflessione personale e di coppia per capire cosa succede e come si può attimo per attimo interagire e dialogare.
La maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati,ma questo è molto probabile che sia anche il vissuto speculare del proprio partner. Oppure ci si accusa di non valere o fare mai abbastanza, come nei casi in cui si sta amando l’altro ma non nel modo come lui ne avrebbe bisogno.
Il nostro mondo interno è variopinto e non ragiona ma associa. È facile dunque che alcune situazioni ne richiamino altre e senza che la persona se ne accorga si attivino i retaggi di vecchie ferite mai rimarginate del tutto. Se in quei momenti non si è in grado di riconoscere quanto sta avvenendo si genera confusione su sentimenti passati e situazioni attuali.
Per questi motivi prima di chiudere una relazione e prima di iniziarne una nuova è necessario avere chiaro cosa non ha funzionato e quale è la propria parte di responsabilità, quali campanelli d’allarme non sono stati ascoltati e avrebbero dovuto esserlo. Non ha senso ragionare su i “se” ed i “ma”, ha senso imparare a non ripetere gli stessi errori.
Un riavvicinamento è sempre possibile ma chiaramente solo se sono state elaborate e superate le cause che hanno portato alla precedente rottura esso potrà condurre ad esiti diversi.
Con le emozioni non risolte interferiscono anche le continue sollecitazioni, provocazioni o minacce dei figli che chiedono la vicinanza affettiva e fisica dell’altro genitore, che non comprendono i motivi dei “grandi” e che per ottenere i loro tornaconti molto spesso attivano sofisticate strategie di triangolazione.
Rimanere genitore neutro e intellettualmente onesto può non essere sempre facile. Occorre consapevolezza delle proprie decisioni e prontezza nell’assumersene gli effetti, ed avere chiari i limiti ed i confini del ruolo educativo per fare pienamente la propria parte e lasciare spazio all’altro genitore per come egli può esser presente.
Il muro che porta i due ad allontanarsi si costruisce mattoncino dopo mattoncino ogni giorno. Ci si sveglia un giorno che è già finito. Il tragico non è a mio avviso che il muro ora sia lì. Il tragico è che non si sappia neppure come è stato costruito, che si manchi della necessaria comprensione di come si è arrivati a quel punto senza la quale non si può intervenire. È per questo motivo che ritengo che oggi i percorsi di “alfabetizzazione all’amore” siano un abc importantissimo della relazione affettiva adulta e che le coppie dovrebbero rimanere in formazione continua. Due naturali conseguenze sono: la paura per le successive relazioni ed i copioni ripetitivi attraverso i quali si ricercano sempre gli stessi tipi di partner a conferma che «tutti gli uomini/ tutte le donne sono così» ed al fine di non cambiare nulla di sé.
Inoltre se non è facile essere genitore unico, non lo è neppure conciliare con esso il proprio ruolo di donna o di uomo.
Concludo con alcuni interrogativi aperti su cui ritengo sia necessario continuare a riflettere attentamente. Che fine fanno il maschile ed il femminile che c’è in ogni essere umano, in che modo trovano ancora spazio di espressione? Come fare in modo che questi cambiamenti non interferiscano con una nuova dimensione di sé né con il naturale processo di identificazione sessuale che si sviluppa tra genitori e figli? E quando l’altro genitore è veramente assente, chi può supplire alla mancanza della sua figura?

Dr.ssa Antonella Ritacco


Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Noidue, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/genitore-e-single/ 

4.4.19

L’importanza di essere visti



Come ricercare e trovare quei momenti in cui, nella coppia, ciascuno può allenare qualche aspetto di sé come ad esempio l’ascolto, la fiducia, la pazienza, la tenacia, la compartecipazione, il gioco di squadra, l’introspezione, e così via. 


Nella vita di coppia si attraversano varie fasi e si condividono successi e insuccessi, sfide e traguardi. Talvolta sono frutto di scelte consapevoli e comuni e riguardano obiettivi che la coppia si è prefissata, altre volte sono situazioni che la vita riserva con grande generosità sia in positivo che in negativo.
Si tratta in ogni caso di occasioni in cui ciascuno può allenare qualche aspetto di sé come ad esempio l’ascolto, la fiducia, la pazienza, la tenacia, la compartecipazione, il gioco di squadra, l’introspezione, e così via.
Potrebbe in ogni caso accadere di non essere nelle condizioni di poter dare la dovuta considerazione all’altro oppure che quello che il partner si vive sia in antitesi a ciò che l’altro si sta vivendo e che nella condivisione si generino fatica, invidia, incomprensioni e conflitti.
Cosa significa e cosa fare?
Una facile deduzione potrebbe essere quella di colpevolizzare sé stesso o l’altro per non saper amare, stare accanto, condividere, sostenere e tutto quello che viene indicato essere aspetti dell’amore e della relazione di coppia.
Per chi giunge a questa deduzione non esistono molte vie di uscita: o adeguarsi mascherando i propri sentimenti e comportamenti oppure chiudere la relazione “per incompatibilità di carattere”.
E se invece la difficoltà fosse solo un’occasione per crescere come individui e nella relazione di coppia? E come?
Per prima cosa non cercare facili vie di fuga del tipo “non siamo fatti l’uno per l’altro”. È nello stare nella situazione che si può comprendere fino in fondo cosa genera, in che modo, perché e cosa invece potrebbe aiutare.
In secondo luogo guardarsi dentro in una condizione di ascolto di sé, privo di giudizio. Ogni emozione ha un suo perché, esprime un bisogno o un diritto e come tale va accolta, guardarsi nel profondo può non essere facile all’inizio ma piano piano può divenire una grande risorsa sia per l’individuo che per la coppia.
In terzo luogo chiedere all’altro di ascoltare quanto si è compreso e si vuole condividere. Questo punto è un passaggio delicato in quanto occorre tener conto del Timing, il giusto momento in cui chiederlo e nello stesso tempo essere disponibili a concordare con l’altro quando questo dialogo potrà avvenire.
Perché abbia successo è importante avere tempo e privacy anche se questo significa dover attendere. Per questo motivo agenda in mano, si fissa una data con l’intento di rispettarla. Un luogo neutro come ad esempio uno spazio aperto in genere funziona molto bene, ma può andare bene anche il comodo divano di casa purché senza fonti di disturbo.
In quarto luogo, lasciare all’altro l’occasione di poter esprimere il proprio vissuto, oppure aggiungere qualche aspetto che a suo parere non è stato tenuto in conto. Il partner potrebbe ad esempio non avere la stessa percezione del vissuto dell’altro. Pertanto è importante che gli esempi siano contestualizzati.
È inoltre importante che questa fase del dialogo non si trasformi in un contraddittorio e che le personali visioni della situazione possano essere entrambe esplicitate e riconosciute.
Solo quando le cause che impediscono di gioire della gioia dell’altro o di camminare al fianco dell’altro, sono state identificate allora si può, con il dovuto tempo che ciascuna situazione di vita richiede, decidere e fare qualcosa.
La possibilità di essere visti e riconosciuti nel proprio impegno, nei propri piccoli quotidiani traguardi non passa sempre per il successo immediato.
Pertanto sentire che il partner è al fianco e nota l’impegno quotidiano, al di là del successo generale, permette di sentirsi più forti di questa vicinanza e motiva a rigenerare in sé la forza e la determinazione per arrivare alla meta. Questo vale vicendevolmente per entrambi i membri della coppia ed è proprio questa alternanza che fa percepire che si è una squadra e che si è in cammino, senza ruoli designati e statici.

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