25.7.19

Relazione finita, ma io non volevo (Parte II)



Subire una delusione d’amore o essere lasciati può essere doloroso, ma non è la fine del mondo. Una relazione può concludersi in modi diversi. In alcuni casi, addirittura, non riuscendo a chiuderla, qualcuno spera che sia l’altro a farlo.


I motivi per una chiusura possono essere scomodi da ascoltare e da accettare, non comprensibili sul momento o liberatori. Anche in questo caso il tipo di relazione instaurata, la maturità affettiva dei due, le modalità con cui si da luogo alla comunicazione, possono agevolarne l’accettazione e l’elaborazione.
Se chi lascia assume il peso di una decisione e della sua comunicazione, a chi è lasciato, soprattutto quando la notizia giunge inaspettata, spetta il compito di comprendere e accettare il vero senso di questo distacco.
La prima reazione è di ordine emozionale. Non c’è spiegazione o logica che tenga al dolore, alla delusione, alla sensazione di aver perso un’opportunità. È importante, anche in questo caso, darsi il tempo per esprimere emozioni e pensieri, essere pronti a convivere per un po’ con i propri sbalzi d’umore, prendersi appena possibile del tempo per sé stessi e per elaborare quanto è accaduto.
Atteggiamenti utili ma da dosare sono: l’autovalutazione di sé e della situazione, purché non sfoci in auto-rimprovero e pensieri rimuginanti; creare occasioni di svago con il sostegno di amici, purché non siano solo vie di fuga per non vivere le emozioni e poter maturare nuove consapevolezze; prendere del tempo per sé, purché non significhi evitare le relazioni emotivamente coinvolgenti per paura di soffrire di nuovo.
Ciò che aiuta davvero è rimanere sintonizzati su sé stessi, per vivere ogni fase senza sfociare nei possibili rischi ad essa connessi. Una buona alleata è la libertà interiore, intesa come genuina espressione di sé.
Quando le emozioni cominciano ad acquietarsi, si apre lo spazio-tempo per dare senso a ciò che è avvenuto e riflettere sul senso personale di una relazione d’amore. L’essere in relazione infatti si fonda su alcuni principi. Il primo è che esiste una “noità”, un essere a due e che questo “noi” deve poter funzionare, vicendevolmente.
Secondo la psicologa Grazia Attili le relazioni che funzionano si reggono su due presupposti che intervengono già nella fase di scelta del partner: la similitudine e/o la complementarietà. Ciò significa che non è importante trovare un fidanzato, è importante sapere chi e cosa si sta scegliendo, poiché ne va del proprio benessere e futuro.
Un secondo principio fondante le relazioni d’amore è quello della libertà. «Se ami qualcuno lascialo libero» recita una massima. Un’altra afferma: «Il contrario dell’amore non è l’odio, è il possesso».  In entrambe si ribadisce il ruolo importante che hanno l’azione dello “scegliere” e del lasciar andare.
Certo ci vuole tempo per digerire l’accaduto e per comprendere il vero senso di questo distacco.
Forse può aiutare pensare che nulla viene per nuocere. Piuttosto dal modo come si reagisce all’accaduto si possono scoprire nuovi aspetti di sé, alcuni da mettere in discussione, altri di cui essere fieri. Le relazioni non si chiudono solo perché non si è quella giusta per l’altro, ma anche perché l’altro non è quello giusto per te e viceversa.
Invece di vittimizzarsi per la “perdita subita”, occorrerebbe spostare l’asse su “cosa non ha funzionato?” Così facendo ci si sposta da un “non vado bene” alla comprensione delle differenze caratteriali e del ruolo che giocano, alla consapevolezza di non essersi incontrati nel tempo giusto (differenti livelli di maturità affettiva), o di avere una visione della vita e della progettualità che trova pochi o nulli punti di comunione.
Cosa si può apprendere da una delusione d’amore? Nulla se guardiamo alle cause esterne: “sono sempre sfortunato”, “capitano tutte a me”, “li incontro sempre tutti io quelli strani”. E nemmeno se ci si addossa tutte le colpe. Molto se ci si concentra su di sé e si cerca di essere obiettivi con sé stessi, di fare un bilancio del tipo: ho espresso il meglio di me? Ho ricercato la verità della relazione bandendo i sotterfugi? Che tipo di idea ho perseguito: una persona che colmasse la mia solitudine o insicurezza, un modello che mi facesse fare bella figura o una persona con pregi e difetti con la quale crescere, confrontarmi e progettare?
La risposta a queste domande rivela qualcosa di sé, del modo come si sceglie e della direzione verso cui le scelte orientano. Nel prossimo articolo vedremo come superare una delusione d’amore.

Dr.ssa Antonella Ritacco

Fonte Città Nuova  

19.7.19

La chiusura di una relazione (Parte I)





Come può essere vissuta e superata la chiusura di un rapporto da parte di chi decide e di chi deve prendere atto della situazione.



Decidere di chiudere una relazione è una scelta importante. Se la decisione non è unanime assumerne o portarne il peso può essere gravoso. Inoltre ci sono motivi e modi diversi per porre fine ad una relazione d’amore. Essi dipendono dalla maturità affettiva dei partner e dalle loro modalità caratteriali, dalla profondità relazionale che i due avevano stabilito, dalla durata della relazione e dagli investimenti emotivi e di pensiero che su di essa erano stati riversati.
A riguardo, un aspetto non di poco conto è se la relazione ha seguito quei passaggi che possono far ritenere che effettivamente ci si è spesi per quella relazione e nonostante ciò essa non ha funzionato perché mancano le basi per una intesa comune, oppure se la decisione è presa sulla base di principi ritenuti importanti e che entrano in conflitto con il sentimento che si prova per l’altro.
In questo e nei prossimi articoli tratterò di come può essere vissuta la chiusura sia da parte di chi decide, sia di chi deve prendere atto della situazione, sia di come superare questa fase.
Chiudere una relazione non è mai indolore, anche quando apparentemente la persona sembra reagire bene, molti dei meccanismi che si attuano per sopravvivere emozionalmente al dolore hanno a che fare con la “fuga dal pensiero”. Si decide di investire tempo, energie ed interesse in attività che tengano occupati, cosicché lo spazio per i vissuti emotivi ed i ricordi è limitato. Si tratta di un comportamento del tutto sano e usuale purché non si finisca per annullarsi ed essere strapieno di impegni per non pensare e non provare emozioni. Un campanello d’allarme può essere il temere il tempo libero, temendo che le emozioni tornino a incombere.
È importante darsi il tempo per esprimere le proprie emozioni e pensieri, accogliere i propri sbalzi d’umore, avere del tempo per sé stessi e per comprendere ed elaborare quanto è accaduto. Il confronto con gli altri va bene ma è necessario anche saper dosare e mettere dei confini chiari quando non si ha voglia di parlarne ancora.
L’oscillazione emozionale è piuttosto comune nelle prime settimane dopo la chiusura di una relazione profonda o vissuta con intensità e possono perdurare anche per alcuni mesi. Se invece la relazione era agli esordi o non si era stabilito un rapporto profondo, è possibile supporre che il dolore che si prova abbia a che fare con l’idealizzazione della relazione oppure ad un livello più personale con una possibile ferita narcisistica che comporta un vissuto di fallimento.
Imparare a tollerare l’assenza dell’altro. In questo tempo di passaggio è naturale che si rievochino i ricordi e tra essi sia quelli brutti che quelli belli. Ricordarli entrambi è indice dell’importanza che la persona ha avuto nella propria vita, che si riesce a guardare alla relazione con una certa obiettività e che dunque si può ritenere di aver preso una decisione congruente con sé stessi.
Stoppare pensieri rimuginanti ove presenti. Quando si crea un rimuginio, esso nasconde in genere un’emozione o un bisogno non ancora svelato che sta cercando un modo per essere espresso. La mente ritorna sull’accaduto nel tentativo di chiudere un cerchio, di portare qualcosa a compimento. Può essere che la persona stia cercando ancora di comprendere come gestire il conflitto che si è creato tra un principio da salvaguardare ed il sentimento che prova verso l’altro oppure che sta cercando di fare chiarezza ancora su tutti i motivi che l’hanno condotta a prendere quella decisione.
Anche l’autorimprovero rientra nei pensieri rimuginanti. Le persone dovrebbero ricordare che ciascuno fa ciò che può con le capacità che ha nel preciso momento in cui si trova a vivere quella determinata situazione. Il dopo è un altro tempo ed è naturale vedere le cose con maggiore chiarezza “col senno di poi”. In realtà l’unica occasione che abbiamo da vivere è il tempo presente.
Lasciarsi sostenere nell’apprendere a gestire le proprie emozioni, può non essere sempre facile da accettare sebbene aiuta a recuperare più velocemente un proprio equilibrio. A qualunque figura ci si rivolga, un familiare, un amico o un professionista, la persona dovrebbe imparare a darsi perdono, mollare l’autocontrollo sulle proprie emozioni e ad essere meno perfezionista.
Inoltre sarebbe da tenere sempre presente che se si ravvedono motivi per cui la relazione non funziona, questi hanno la priorità di attenzione rispetto al bisogno/desiderio di essere in coppia.
La relazione ha bisogno di basi solide per poter funzionare nel tempo e la fase del fidanzamento è il momento giusto per sondarle. Pertanto, può essere importante, nei momenti di calo dell’umore, ricordarsi i motivi per cui ci si è separati e cosa veramente si cerca e si vuole da una relazione. Questo non toglie il dolore per l’assenza dell’altro, né valore alle caratteristiche che egli ha, aiuta invece ad autosostenersi nel cammino verso una più chiara definizione di ciò che si è e ciò che si vuole.

Dr.ssa Antonella Ritacco



Fonte Città Nuova


4.7.19

Genitore e single




Prendersi dei momenti di riflessione personali perché la maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati.


I motivi per cui ci si ritrova ad essere genitori single possono essere i più svariati. Come per ogni cosa, esistono motivazioni ufficiali, quelle che vanno bene per tutti e ci sono motivazioni più intime e profonde, per nulla immediate, che solo gli interessati possono col tempo arrivare a comprendere.
Qualunque sia la situazione che conduce a crescere un figlio da soli, essa non è mai priva di sfide e di dolori bensì è di una costante rimessa in discussione di sé.
Sono sempre possibili cicliche rivalutazioni della scelta intrapresa o ricordi dei vissuti legati a come essa è avvenuta; si palesano gli effetti sulla relazione con i figli sia per chi è presente sia per chi li vede a ondate; si impongono le difficoltà della vita quotidiana e dei suoi costi, ove a volte anche i beni necessari come un tetto sulla testa diventano proibitivi. La propria ed altrui vita viene rivoluzionata. Come si trasformano le emozioni verso il precedente partner, come si reagisce ai tentativi di riavvicinamento, o quali possono essere i riflessi emozionali davanti alle richieste e velate minacce dei figli che cercano di estorcere un riavvicinamento? Come e quando sono stati innalzati i muri, e dove è iniziato il punto di non ritorno sulle proprie decisioni?
Ogni cuore ha certamente le sue ragioni. Quando si è in interazione con l’altro non è facile comprendere quale parte della persona si attiva, la relazione viene vissuta, non tanto meditata. Per questo è importante prendersi dei momenti di riflessione personale e di coppia per capire cosa succede e come si può attimo per attimo interagire e dialogare.
La maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati,ma questo è molto probabile che sia anche il vissuto speculare del proprio partner. Oppure ci si accusa di non valere o fare mai abbastanza, come nei casi in cui si sta amando l’altro ma non nel modo come lui ne avrebbe bisogno.
Il nostro mondo interno è variopinto e non ragiona ma associa. È facile dunque che alcune situazioni ne richiamino altre e senza che la persona se ne accorga si attivino i retaggi di vecchie ferite mai rimarginate del tutto. Se in quei momenti non si è in grado di riconoscere quanto sta avvenendo si genera confusione su sentimenti passati e situazioni attuali.
Per questi motivi prima di chiudere una relazione e prima di iniziarne una nuova è necessario avere chiaro cosa non ha funzionato e quale è la propria parte di responsabilità, quali campanelli d’allarme non sono stati ascoltati e avrebbero dovuto esserlo. Non ha senso ragionare su i “se” ed i “ma”, ha senso imparare a non ripetere gli stessi errori.
Un riavvicinamento è sempre possibile ma chiaramente solo se sono state elaborate e superate le cause che hanno portato alla precedente rottura esso potrà condurre ad esiti diversi.
Con le emozioni non risolte interferiscono anche le continue sollecitazioni, provocazioni o minacce dei figli che chiedono la vicinanza affettiva e fisica dell’altro genitore, che non comprendono i motivi dei “grandi” e che per ottenere i loro tornaconti molto spesso attivano sofisticate strategie di triangolazione.
Rimanere genitore neutro e intellettualmente onesto può non essere sempre facile. Occorre consapevolezza delle proprie decisioni e prontezza nell’assumersene gli effetti, ed avere chiari i limiti ed i confini del ruolo educativo per fare pienamente la propria parte e lasciare spazio all’altro genitore per come egli può esser presente.
Il muro che porta i due ad allontanarsi si costruisce mattoncino dopo mattoncino ogni giorno. Ci si sveglia un giorno che è già finito. Il tragico non è a mio avviso che il muro ora sia lì. Il tragico è che non si sappia neppure come è stato costruito, che si manchi della necessaria comprensione di come si è arrivati a quel punto senza la quale non si può intervenire. È per questo motivo che ritengo che oggi i percorsi di “alfabetizzazione all’amore” siano un abc importantissimo della relazione affettiva adulta e che le coppie dovrebbero rimanere in formazione continua. Due naturali conseguenze sono: la paura per le successive relazioni ed i copioni ripetitivi attraverso i quali si ricercano sempre gli stessi tipi di partner a conferma che «tutti gli uomini/ tutte le donne sono così» ed al fine di non cambiare nulla di sé.
Inoltre se non è facile essere genitore unico, non lo è neppure conciliare con esso il proprio ruolo di donna o di uomo.
Concludo con alcuni interrogativi aperti su cui ritengo sia necessario continuare a riflettere attentamente. Che fine fanno il maschile ed il femminile che c’è in ogni essere umano, in che modo trovano ancora spazio di espressione? Come fare in modo che questi cambiamenti non interferiscano con una nuova dimensione di sé né con il naturale processo di identificazione sessuale che si sviluppa tra genitori e figli? E quando l’altro genitore è veramente assente, chi può supplire alla mancanza della sua figura?

Dr.ssa Antonella Ritacco


Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Noidue, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/genitore-e-single/