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23.10.20

Esec: 10 anni con voi!



Cosa è ESEC?


Esec è un percorso di crescita personale per supportare l’affettività adulta che mira a fornire conoscenze e competenze affinché le persone possano orientarsi verso relazioni sane e nutrienti. Il presupposto di base è che occorre credere nell’amore affinché una relazione possa essere duratura e rendere felici. Molti nel tempo hanno collezionato esperienze deludenti su di sé, con l’altro e della relazione. Esec vuole aiutare a svelare gli inganni della nostra mente ai quali finiamo per credere e propone spunti per mettersi in cammino lì dove serve.


Si occupa dei single che classicamente ci sono sempre stati ma anche dei nuovi single che senza accorgersene pagano lo scotto della coesistenza e del passaggio da vecchie a nuove culture, di quelli che hanno smesso di credere nell’amore perché delusi da esperienze dirette o indirette ma che continuano a desiderarlo. Tutto questo crea uno spaccato tra la relazione desiderata e quella possibile e rende più difficoltoso l’incontro.


Esec vuole creare le basi per una relazionalità sana partendo prima di tutto da se stessi, aprendosi agli altri ed al partner. I temi sono vari e ci sono anche aspetti che riguardano più da vicino le coppie, proprio per dare strumenti utili per il futuro insieme.







Quando, come e perché nasce ESEC? 


Esec nasce 10 anni fa a Roma da un piccolo gruppo di persone che si sono riunite accomunate dal comune desiderio di generare una riflessione su come avviene la scelta del partner e come essa sia influenzata da diversi sistemi. 

Il primo impulso fu quello di condividere quanto avevo appreso lavorando sulla mia personale esperienza di single adulta e dalla voglia di mettermi a disposizione di quanti stavano attraversando la mia stessa situazione. Gradualmente osservai che il fenomeno riguardava anche molti dei miei amici di cui apprezzavo la bellezza d’animo e per i quali non potevo capacitarmi del perché fossero ancora single. E ancora oltre, aveva un’espansione mondiale. Era divenuto un fenomeno culturale. E cominciai a studiarlo e ad implementarlo. 

Dopo quel primo incontro le persone chiesero di sviluppare altri punti e dalla condivisione di esperienze, stimoli, materiale e soprattutto interrogativi esistenziali venne fuori la prima bozza di questo percorso. 


Esec nasce in definitiva dal bisogno di rispondere ad alcune domande: 

·      Perché si è ancora single e come uscire dalla singolitudine? 
·      Come favorire l’incontro e mantenere la relazione?
·      Quali assunti di base su cui si fonda una relazione d’amore è necessario conoscere?
·      Inoltre si può, attraverso una scelta consapevole del partner ed una conoscenza più approfondita dei meccanismi e degli strumenti che connaturano la relazione intima, sostenere la relazione di coppia e tutelarla da una separazione precoce?

 

 

A chi si rivolge ESEC?


Esec si rivolge a quanti hanno voglia di mettere mano alla loro vita di relazione, prima di tutto quella con se stessi e poi quella con gli altri. Scopo di base è raggiungere l’armonia e la bellezza dentro di sé per poterla poi utilizzare nell’incontro con l’altro. 

Incontro che solo la vita in sé può garantire. Con Esec si lavora affinché si possa collaborare con le situazioni che la vita propone. 

Questo richiede una decisione personale ed un atteggiamento proattivo che nella maggior parte dei casi si sviluppa o rafforza durante il percorso stesso. 



Tre strategie vincenti per uscire dalla singolitudine?

 

1.     Imparare a scegliere. Non si tratta di rinuncia ma di un avanzamento nella crescita e di un modo nuovo di stare nella relazione con ciò e chi ci circonda.

2.     Imparare ad amarsi. Guardarsi dentro e tirare fuori la bellezza dell’unicità che si è.

3.     Essere liberi di accogliere l’incontro “propizio” e l’altro. Liberi da ansie e frettolosità, liberi dalle scorie del passato, liberi da giudizi e pregiudizi, liberi dalle fantasie sul futuro e di determinazione.








  

La cosa più bella e la cosa meno piacevo di questi 10 anni?


La cosa più bella è la ricchezza umana che le persone portano e la possibilità di osservare all’interno del percorso la loro rifioritura. Il viso con cui entrano non è lo stesso con cui vanno via. Ed in tanti continuano anche nel tempo a renderci partecipi dei loro traguardi. Di questo gliene siamo veramente grati.


La cosa più dura è stata accettare durante questi 4 anni, del mio trasferimento in Germania, di mettere in pausa il percorso senza mai abbandonarlo del tutto e con l’intenzione di continuare a rispondere alla richiesta di chi ha chiesto di non smettere di occuparmi di loro. In questi anni ho continuato a scrivere di e per i single attraverso le pagine di Città Nuova online nelle rubriche #Noidue e #Felicemente, ed anche questo è stato un modo per rimanere in contatto con loro.


Molto di ciò che ho scritto può essere rintracciato attraverso gli Hashtag 

#Esec

#Mondoesec

#atupertuconlospecchio

#facciamoacapirci

#labellezzadellavitaèneltragitto

#labellezzadellebuonerelazionivincesempre

#Noidue

#Felicemente

#drssaantonellaritacco


 

 

Esec nel futuro


Continuo ad approfondire il tema e non posso ancora dire in che modo né quando ma so che Esec non è ancora finito. Accanto alla revisione del percorso italiano e nel mentre del mio inserimento nel mondo lavorativo tedesco, lavoro all’adattamento tedesco di ESEC che tenga conto anche del fenomeno dell’inculturazione. Per questo c’è bisogno di più tempo perché ritengo sia importante padroneggiare la componente culturale del paese in cui viene proposto. Essa è parte integrante del percorso originario. Anche il tema delle collaborazioni con altri professionisti, come in parte già avvenuto in passato, è un tema oggetto di riflessione per rendere il percorso sempre ricco e partecipato.


Diciamo quindi che Esec sta vivendo il suo periodo di latenza (secondo Freud appunto quello che va dai 6 agli 11-12 anni), in cui anche se fa meno rumore, continua ad esserci nelle forme concretamente possibili del qui e ora. Forme in cui silenziosamente si prepara per ciò che diventerà. 

D'altronde Esec propone un percorso di crescita personale ai partecipanti, sarebbe un controsenso se non si evolvesse lui stesso con l’esperienza maturata, le interazioni avute con i collaboratori, il feedback dei partecipanti e con l’arricchimento del confronto con una nuova cultura. Il modo in cui si svilupperà dovrà contemplare tutta questa ricchezza. 

 

Chi vuole rimanere aggiornato può contattarmi per mail info@antonellaritacco.it o consultare il blog dedicato www.esseresingleessereincoppia.blogspot.com

 

 

Che messaggio lasciare ai single?


Imparate a stare nella vostra solitudine ma non siate soli, 

imparate ad accettare la vostra situazione ma non chiudetevi alla vita,

andate incontro agli altri con lo zaino più leggero possibile, 

gioite, divertitevi, condividete, non giudicate,

e soprattutto amatevi. 

 


Gengenbach, 23.10.2020

Dr.ssa Antonella Ritacco




18.1.20

L’amore in provincia

 Fonte: Città Nuova


Ci sono differenze culturali in amore? E vivere l’amore in città o in provincia può essere la stessa cosa?


Durante una conferenza sul corteggiamento, un partecipante solleva una questione: «Quando si parla del corteggiamento e delle fasi di una relazione non si parla mai della realtà dei piccoli paesi dove la libertà di incontrarsi e conoscersi è ancora limitata alle possibilità di intrattenimento dell’hinterland, al permesso/autorizzazione di uscire e di rientrare in una certa ora, alla disponibilità di un’auto con cui spostarsi, alla complicità di questa o quella figura che fa da spalla. Che fare in questi casi?».

La realtà descritta da questo partecipante per alcuni è lontanissima, per altri è storia quotidiana. Può appartenere ai piccoli paesi così come alla periferia cittadina.

In questi contesti le coppie nascono velocemente, ci si conosce frettolosamente e frettolosamente si maturano decisioni. Pazienza, tenacia e risolutezza vengono allenate, da quei limiti imposti che in ogni caso rappresentano un ostacolo alla conoscenza tra le persone. Affidabilità, premura, e capacità di donarsi possono trovare mille modi per essere espressi anche a queste condizioni. La possibilità di maturare decisioni insieme, di autoregolarsi, di conoscere i propri limiti, lo scoprire le reazioni trovandosi di fronte a contesti nuovi sono limitate. Per non parlare poi delle possibilità di trascorrere insieme una vacanza. Il controllo è esterno, non solo genitoriale, spesso anche sociale.

Per tante generazioni l’amore è sbocciato anche in queste condizioni. E queste rappresentavano a volte parte del rito di passaggio all’età matura e in parte un test per valutare caratteristiche personali ed intenzioni del pretendente.

La relazione amorosa, dal suo sorgere e fino a tutto il suo svolgimento segue a mio avviso le stesse regole ovunque. Ciò che muta sono i modi attraverso cui culturalmente le emozioni e l’interazione si esprimono, ad esempio nei gesti.

Ci si innamora o per somiglianza o per complementarietà. Nel primo caso ci si basa su di un reciproco riconoscimento, sia per le caratteristiche personali sia per quelle culturali. Nel secondo caso si anela a qualcosa che non si ha ma che l’altro ha, ci si basa sul desiderio di lasciarsi completare dalle caratteristiche personali o culturali dell’altro.

La difficoltà principale per chi vive in questi contesti può essere dunque più semplicemente il doversi confrontare con un modo di fare a cui non sente di appartenere più o a cui non si è mai appartenuti. O il desiderio di poter vivere la relazione in libertà e secondo i propri schemi sin dal suo nascere.

Il passaggio sociale che va dal controllo esterno sulla persona, proprio della cultura del noi delle generazioni precedenti, al controllo interno ed al bisogno di conoscere e sperimentare i propri limiti e di autodeterminarsi, proprio della cultura contemporanea detta dell’Io, spiega la difficoltà vissuta lì dove la relazione nel suo nascere e nella sua evoluzione è supervisionata.

Pensiamo non solo ai contesti rurali o delle periferie italiane ma anche a quelle culture dove i partner continuano ad essere scelti o almeno proposti dai genitori, e per eccesso quelle culture dove è il legame stesso ad essere rifiutato. In ogni caso l’uno o l’altro comportamento è reso possibile da una accettazione di base del contesto da parte di entrambe le persone.

Lì dove questa accettazione di base manca ed è impossibile contestare o ribaltare le condizioni dettate dal contesto, questo diventa di per se stesso un dato di fatto da tenere in considerazione per assumere la propria personale decisione sul corteggiamento e sulla relazione.



15.4.19

Non solo primi incontri



Incontrando e ascoltando single, ho colto spesso la delusione di vivere tanti primi incontri a cui non seguivano altri inviti. Quali possono essere alcuni dei motivi e come reagire?

Quando dopo un incontro che non prosegue in una frequentazione si sperimenta una delusione, generalmente a monte c’è un’illusione. L’illusione in questo caso si riferisce a un’immaginazione precoce, anzitempo, di qualcosa che la persona vorrebbe si realizzasse e la cui realizzazione viene indebitamente o precocemente attribuita a chi sta dinnanzi. Se si prova a mettersi nei panni dell’altro, si può meglio comprendere come questo può risultare gravoso e ansiogeno. E non perché questo desiderio non debba esistere, capiamoci bene, piuttosto perché ancora nessuno dei due sa se è veramente quella la persona in cui vuole riporlo. Manca ancora da raggiungere il livello di conoscenza tale che può far generare una libera scelta dell’altro. Di conseguenza ciò che più frequentemente si sperimenta è la paura dell’abbandono da una parte, mentre dall’altra la pressione di dover scegliere e appagare un desiderio. Darsi il tempo per conoscere l’altro, non avere idee stereotipate su chi dovrà fare il primo passo sono due elementi da tenere in conto.
Un altro elemento che ricorre molto spesso nelle conoscenze precocemente interrotte sono i giudizi e i pre-giudizi. L’avere un’idea chiara di ciò che si vuole può condurre talvolta in un vicolo cieco, in cui non ci si dà vicendevolmente il tempo di conoscersi per come si è. È naturale che al primo incontro si voglia dare di sé la migliore impressione possibile, e proprio per questo è difficile essere rilassati come si vorrebbe. Quest’ultimo punto non è di per sé stesso un limite, poiché la componente emotiva rende più veri, più autentici. Il limite sta nel giudizio che si dà di se stessi fino a ritenersi inadeguati, o viceversa nel giudicare l’altro senza ancora ben conoscerlo. I giudizi e i pregiudizi, in amore, sono di norma uno strumento utilizzato per tenere lontano l’altro ed esprimono un’effettiva paura di conoscerlo fino in fondo. Avere un’idea chiara di ciò che si vuole può anche generare in sé degli standard molto elevati tali per cui la persona incontrata non è mai idealisticamente paragonabile a quella desiderata e pertanto allontanata.
La verità è che non gli piaci abbastanza titola una commedia statunitense e può anche essere che sia così. Le relazioni nascono per affinità o per complementarietà, dunque è naturale che non si possa creare lo stesso legame con tutti. La sofferenza potrebbe derivare dal vissuto di una mancata conferma, che per la persona si traduce in un “non vado bene”. Questa lettura della cosa in realtà è molto pregiudizievole e si rischia di farsi molto male per nulla. In amore ci si sceglie “nella libertà”, per questo è molto importante che questi incontri vengano vissuti nella serenità di potersi esprimere e nel rispetto dell’altro a partire dal modo come si comunica di non voler più proseguire nella frequentazione. Nella maggior parte dei casi è il modo che ferisce non il fatto in sé è per sé. Il modo con cui questa intenzione viene espressa, taciuta o recepita ha a che fare con la maturità affettiva del momento.
È importante ricordare che i primi incontri hanno la funzione di aprire un varco a una conoscenza più approfondita, per questo è importante non seguire schemi predefiniti ma rimanere il più possibile in contatto con sé stessi, esprimere ciò che si è e si pensa, essere sé stessi. Lasciare che il tempo e la comunicazione fluiscano, che ci sia spazio per entrambi per esprimersi, essere genuinamente interessati a ciò che interessa all’uno e all’altro.
Se hai deciso di non proseguire nella conoscenza dell’altro: occhio a che non sia una modalità per tenere lontano le persone e non doverti mai coinvolgere.
Se hai ricevuto un rifiuto (diretto o indiretto): non si può piacere a tutti, così come l’altro non può essere aprioristicamente la persona che fa per te, meglio scoprirlo per tempo.
Se man mano che avanza la crescita personale, è possibile che le circostanze che hanno guidato la chiusura precoce di una frequentazione divengano chiare, sul momento è importante accogliere la delusione che ne deriva senza lasciarsi sopraffare da essa. Ogni cosa ha un senso anche se sul momento non si ha ancora la possibilità di attribuirlo.
Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Felicemente, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/non-solo-primi-incontri/


29.12.18

Cosa può insegnarmi un bambino?



Con la loro spontaneità, la creatività e la mancanza di pregiudizi, i più piccoli ci aiutano a ritrovare la strada verso la felicità.


Sono numerosi i colleghi che da anni lo sottolineano, ma spontaneamente continuiamo a pensare che sono gli adulti ad insegnare ai bambini. Eppure giornalmente facciamo esperienza dell’imparare da loro. Ci insegnano attraverso la loro spontaneità e genuinità. Con la loro leggerezza e creatività trasformano una pozzanghera in un gioco insegnando a non guardare il problema, ma alla capacità di farne esperienza, di lasciarsi trasformare, seppure sporcare, ma con gioia.
Sono molti gli esempi da annoverare in cui i bambini ci sono maestri. Ad esempio, quando vogliamo capire la differenza tra la seduzione spontanea e quella studiata a tavolino, invito a guardare ai bambini. Hanno un fascino naturale che rapisce. Sono spontaneamente leggeri, centrati su sé stessi ed i propri bisogni, eppur capaci di interagire, non dimentichi dell’altro, bensì curiosi.
Oppure quando in un lavoro sul cambiamento c’è da essere tenace in un nuovo comportamento, basta ricordarsi di quanto tempo ci ha messo la mamma ad insegnargli a mangiare con la forchetta o ad allacciarsi le scarpe. Operazioni oggi automatizzate, ma all’epoca complicatissime. E ancora quando si sta collaudando un nuovo schema di comportamento e ci si sente insicuri, i propri passi sono ancora incerti e si fanno degli “errori”. Non importa. Non fanno anche così i bambini quando iniziano a camminare? È ogni caduta è l’occasione per rialzarsi. Neppure la frustrazione riesce a fermare la spinta all’autonomia motoria.
C’è un insegnamento che solo i bambini possono trasmettere e di cui l’adulto beneficia solo in virtù del suo esser stato bambino: la condizione psicologica del “bambino interno”. Di cosa si tratta? Secondo lo psicologo canadese Eric Berne è uno dei tre stadi interni che si attivano alternativamente ogni qualvolta la persona svolge una normale funzione psicofisica (pensiero, comunicazione, interazione, assunzione di decisioni, ecc.). Si tratta del noto GAB, acronimo del Genitore, Adulto e Bambino. Senza entrare troppo in questo elaborato modello di funzionamento della persona, torniamo alla capacità del bambino di viversi il “bambino interno”. Egli è ancora tutto bambino interno, pian piano comincia ad affiorare qualche barlume di voce genitoriale interiorizzata attraverso le regole, mentre l’adulto comparirà più avanti, man mano che aumenta il pensiero logico.
Le caratteristiche del bambino, per come le intende Berne, sono diverse: egli è espressione di una libertà interiore priva di giudizi e pregiudizi, è espressione di una vivacità e curiosità intellettuale e di grande creatività, il suo pensiero non conosce ancora gli schemi concettuali ed i limiti imposti all’adulto dal ragionamento, egli vive infatti ancora una condizione di pensiero onnipotente, in cui tutto è possibile.
Ogni bambino che incontriamo ci permette di ricontattare il nostro bambino interno e tende a condurci verso la gioia. È per questo che se gli concediamo di riattivarsi in noi, possiamo riscoprirci sotto nuove luci, e rompere con i molti schemi preordinati tenuti in essere dalla funzione genitoriale. QUesto può provocare qualche difficoltà: la più grande paura è infatti di non avere più parametri di riferimento per regolarsi (rimanere nella regola) e di perdere l’uso di una o entrambe le funzioni del genitore e dell’adulto. Sebbene questo rischio esista, ve ne è uno altrettanto grave: smettere di divertirsi e di emozionarsi non lasciandosi coinvolgere.
È l’integrazione dei tre status che permette di vivere la vita appieno in tutti i suoi aspetti: doveri, compiti e felicitàLa cosa più importante che un bambino ci insegna è, dunque, di non rinunciare alla gioia. E per farlo egli suggerisce di passare attraverso l’esperienza di ciò che la produce. Il bambino, interno o reale che sia, indica a ciascuno di cercare la propria via per la felicità.


Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Felicemente, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/cosa-puo-insegnarmi-un-bambino/

20.12.18

Essere single a Natale

Cosa succede quando il Natale arriva in un tempo in cui in realtà si avrebbe bisogno di stare lontano dalla propria famiglia di origine e si stanno affrontando dei passaggi evolutivi importanti per la propria crescita personale? Il Natale ha molti volti vediamone alcuni.

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9.12.16

L'arte di corteggiare, scegliere ed amare tra maschile e femminile_Parte I

Il corteggiamento è la nobile arte di fare cose cortesi per una persona, quella persona che per un motivo, spiegabile o meno, cattura la nostra attenzione e la canalizza, quella persona che uscendo fuori dalla massa di tutte le generiche altre persone rapisce i sensi e la mente.
Il corteggiare come azione richiama al gesto di portare a corte che lascia intravvedere un riconoscimento di valore di se stessi come degni di essere visitati dall'altro e dell'altro come degni di entrare nella propria coorte.
Il corteggiamento, come rituale romantico, ha fondamentalmente tre finalità:
1) permettere ai due personaggi in gioco di uscire dalla massa informe delle X persone che le circondano
2) di conoscere l'altro per poter attuare una scelta consapevole
3) e di farsi conoscere per poter essere scelti.

Il corteggiamento non ha garanzie di successo! E' una dichiarazione di intenti tutta da verificare.

E' dunque chiaro che in una situazione così articolata entrino in campo desideri, sogni, progetti, aspettative, ansie, paure. Vediamoli un pò tutti. Il desiderio è una presenza informe di "qualcosa" che è avvicinabile al sogno (entrambi sono eterei) e che sta prima del sogno. E' l'elemento che attiva il sogno. potremmo definire il desiderio come una spinta a sognare. Il sogno è la manifestazione mentale di qualcosa che vorremmo e che può rimanere un sogno o trasformarsi in progetto. Dipenderà in buona parte da noi e da quanto ci attiveremo e soprattutto da quanto CREDIAMO in questo sogno. Non è ancora sufficiente crederci perché un sogno si materializzi: occorre trasformarlo in progetto ovvero quella serie di passi, di fasi, di comportamenti, di "rituali" che messi nel giusto ordine (usando le categorie spazio/tempo) possono portare al risultato desiderato. Se dunque l'obiettivo di un desiderio è la spinta a sognare, l'obiettivo di un sogno è la spinta a mettersi in movimento, allora l'obiettivo di un progetto è ottenere un risultato.

Quale può essere il risultato nel corteggiare qualcuno/a?
Lavorando con i single mi accorgo che troppo spesso il risultato è inteso come un binario unico ed è confuso con il "trovare un/una fidanzato/a". Poi c'è chi pensa che i risultati possano essere molteplici come ad esempio essersi conosciuti, aver trascorso bei momenti insieme, aver ampliato ed integrato la cerchia degli amici, ma ancora una volta la confusione fa capolino. Non stiamo parlando di una amicizia, stiamo parlando di un corteggiamento. Questi obiettivi si riferiscono ad una fase temporale precorteggiamento, appena prima del corteggiamento dunque, si riferiscono ad un qualunque rapporto di conoscenza generico e non meglio specificato. Allora qual'è il compito vero di un corteggiamento? Sicuramente il conoscersi e il trascorrere momenti significativi insieme ne fanno parte ma non bastano. Il corteggiamento deve poter ambire allo scoprirsi con gli occhi dell'altro, allo scoprire aspetti nuovi di te, ed in questo modo avere le idee più chiare su che persona sei quando sei accanto all'altro, eh si, anche su chi è l'altro, chi è di per se stesso/a e chi è nell'interazione con te. Questo tempo è prezioso perché fa passare dal desiderio di non essere soli, al sogno di avere una persona vera in carne ed ossa accanto, al difficile compito di scoprire chi può incarnare questo ruolo.

Tutta colpa delle aspettative. Quando decidi di avvicinarti ad una persona intenzionalmente lo fai perché hai colto in lei qualcosa di molto bello e vuoi scoprire se è così ed anche di più. L'inceppo si manifesta quando le aspettative sono molto alte, sono nutrite dal desiderio che è staccato dalla realtà e dalla progettualità concreta, sono totalmente immerse nell'ideale di come e cosa una persona vorrebbe o di come l'altro dovrebbe o potrebbe. Questi verbi al condizionale parlano di un ipotetico che non è delle relazioni mature. Una relazione matura è centrata sul tempo presente, sulla consistenza di come si è non sul desiderio di ciò che vorremmo o potremmo diventare. Vivere il tempo presente non è sempre cosa facile. Un'altro limite delle aspettative, che chiariamoci bene sono una componente naturale dell'essere umano, è che possono essere rigide o statiche. In questo modo non permettono alla persona di vedere chi ha veramente di fronte ma sottopongono l'altro ad una costante messa alla prova: "Sei come io mi aspetto da te oppure sei diverso (=non vai bene)?"

Il ruolo di paura ed ansia. Paure ed ansie sono sempre in agguato. sono una componente sana della crescita. La prima ci indica che dobbiamo dotarci di strategie adeguate all'impresa che ci accingiamo a svolgere, la seconda ci da quel brio tipico dell'incertezza di essere in un tempo che si muove e che si trasforma, che si evolve e non resta identico a se stesso. Entrambe parlano della pro-tensione dei nostri sforzi affinché quello che stiamo facendo vada nella direzione desiderata e della consapevolezza che nell'interazione con l'altro lo scenario possibile non è dato solo da ciò che noi vogliamo ma anche da ciò che l'altro vuole.

Effetti nocivi di aspettative, paure ed ansia elevate. Quando le aspettative sono troppo elevate, inevitabilmente si innalza la paura di non poter raggiungere la meta dei propri desideri e l'ansia di non essere sufficientemente bravi a farlo. La persona tenderà dunque a crearsi una sorta di mondo ideale, un rifugio nel sogno, un luogo dove paure ed ansie si acquietano, tutto funziona per come la persona vuole, desidera e sogna. peccato che la realtà è ben diversa. Una persona che si rifugia nel mondo ideale, meta irraggiungibile per se stessi e per gli altri, è una persona che sta bloccando alcuni passaggi importanti del suo sviluppo, della sua crescita come persona, si sta impedendo di essere veramente se stessa, sta rinunciando alla possibilità di scoprire e accettare alcune parti di se. La persona che si rifugia nell'ideale perde il contatto con se stessa e rinuncia, temporaneamente o illimitatamente ad identificarsi come persona unitaria, con i suoi pregi ed i suoi difetti, con la sua forza ed i suoi limiti, con le sue componenti interne femminili e maschili.

Come si diventa persone integrate. La relazione con gli altri è di fondamentale importanza. E' nella relazione con l'altro che siamo costantemente invitati a entrare in profondo contatto con noi stessi, con la natura di ciò che siamo. Questo non accade nell'isolamento sebbene in alcuni momenti della nostra vita abbiamo profondamente bisogno di stare da soli per fari i conti con quanto di noi abbiamo scoperto nelle esperienze fatte. Il fatto è che come esseri umani abbiamo bisogno sia di imparare a stare da soli sia di saper stare con gli altri. Inoltre in alcuni momenti della vita è naturale che si privilegino le relazioni con persone del proprio sesso, cosa che permette di interiorizzare aspetti del proprio maschile (se si è di sesso maschile) o femminile interno (se si è di sesso femminile). Senza volermi dilungare su questo, preciso che sto facendo qui riferimento a quegli elementi che già Aristotele e Platone e successivamente C. G. Jung chiamavano Animus ed Anima e che coesistono in ciascun individuo: il nostro maschile e femminile interno. Ci sono poi momenti della vita in cui si ha bisogno di relazionarsi con figure del sesso opposto e attraverso questo passaggio diventa possibile appropriarsi e imparare a gestire il proprio maschile interno (se si è femmine) ed il proprio femminile interno (se si è maschi). Lì dove questa integrazione non avviene, a livello caratteriale e comportamentale, la persona potrà arrivare a manifestare ella stessa quegli aspetti che tanto critica alle persone dell'altro sesso e si rifugerà in una ricerca affannosa di un ideale di persona su cui va a proiettare tutto quello che di buono e bello desidera ma che non può ottenere perché non ha imparato ad accoglierlo e ad accogliersi nell'interezza della sua natura. Essere persona integrata significa dunque saper fare i conti con la multisfaccettorialità del proprio essere umano, con le proprie contraddizioni interne, con gli aspetti propri del proprio femminile interno e con gli aspetti del proprio maschile interno. Significa saper riconoscere le proprie peculiarità e non dover dimostrare all'altro di essere altrettanto bravo invadendo il campo di azione specifico dell'altro sesso.

L'importanza di essere persone integrate già nel tempo del corteggiamento. Se durante il corteggiamento un obiettivo importante è scoprire come si è quando si è di fronte all'altro (nella bidirezionalità del conoscersi e del farsi conoscere) va da se che tanti autosabotaggi tipici di questa fase della relazione derivano dall'incertezza di non sapere chi si è, dal bisogno di voler apparire (a se stessi prima che all'altro) nel modo che meglio rappresenta l'immagine che si vuole dare di sé. Se la persona che si è dentro (il vero Sé) e la persona che appare fuori (il Sé sociale) sono in sintonia e si rappresentano vicendevolmente va tutto bene, l´integrazione tra mondo interno e mondo esterno nella persona ha un buon livello di congruenza e dunque di funzionamento. Se invece l'immagine interna che si ha di sé si scosta molto da quella che si cerca di mostrare agli altri allora appare chiaro che l'incontro con l'altro è difficile di per se stesso ed ancora di più durante il corteggiamento. Quello che viene e verificarsi è la paura che l'altro possa scorgere quegli aspetti che si cerca di tenere nascosti, oppure la difesa di quel Se sociale che essendo molto distante dal Se interno finisce per essere un immagine falsa che si cerca di proporre di se stessi.

Come vivere bene il corteggiamento. Il corteggiamento è dunque un occasione per fare verità su se stessi, sull'altro e sulla relazione. Accettare questo significa entrare in una predisposizione adulta e matura di come si incontra veramente l'altro, di accoglierlo così come è senza pretesa di cambiamento né richiesta di aderire ad un pre-contetto di come lo si è immaginato fino a quel momento, di come ci si è detti per una vita intera che si vuole il partner. E' a questo punto che ci si può sentire pronti all'incontro con una persona e non con l'oggetto dei desideri, si è pronti ad incontrare una essere umano e non un idea. Desiderare il bene per sé e per l'altro, cercare la verità sulla relazione, dicendosi le cose con quel desiderio di base di non nuocere all'altro anche quando gli si fa una critica ma di creare occasioni di miglioramento rende quel tempo veramente propizio qualunque ne sarà l'esito.


Dott.ssa Antonella Ritacco

17.4.16

Come vivere l'attesa del partner alla ricerca della propria voc-azione


L'attesa è camminare, è prepararsi, è fare pace con il proprio passato, è ricominciare, è scoprire la propria strada passo dopo passo sgravandosi di idee, preconcetti e sovrastrutture. E' aprirsi all'incertezza del nuovo e dell'incontro.
E' ricordarsi che si è in cerca ma si è anche ricercati, che si è al contempo chi attende e chi è atteso.

Senza queste premesse l'attesa resta un tempo arido in cui rimanere fermi e immobili, sempre identici a se stessi. E questo genera l'angoscia che nasce dal dolore e dalla rabbia. Il dolore delle sconfitte passate e la rabbia di non sapere come uscirne insieme ad un pensiero nocivo "di avere ancora più bisogno di difendersi". Mentre invece la Vita che è maestra ci offre sempre occasioni per riscoprire un aspetto interessante di noi esseri umani: che siamo sempre in cammino, qualunque età abbiamo e che siamo chiamati ad una crescita personale costante qualunque età abbiamo.
Se noi analizziamo i nostri due atteggiamenti di base nella vita ci comprenderemo meglio.
Possiamo essere reattivi e reagire agli stimoli che la vita ci offre, non saremo mai noi i primi a fare un passo, avremo una concezione dell'essere umano statico che non cambia ed anche la nostra crescita personale ne risentirà. Tenderemo dunque ad essere sempre "in risposta a". Certamente tante volte nella vita è importante che reagiamo ma non possiamo sempre e solo essere in reazione. Talvolta ci viene chiesto di essere pro-attivi.
Siamo proattivi quando non ci aspettiamo che siano gli altri a prendesi cura dei nostri bisogni, quando siamo noi a dire o fare dopo aver preso in considerazione la situazione, le nostre forze e di che supporti ci possiamo dotare imparando a chiedere collaborazione a chi pensiamo possa essere in grado di offrircela, siamo proattivi quando impegniamo il nostro tempo mettendolo a disposizione, quando facciamo scelte di Amore come sono ad esempio le attività in comunità o di volontariato nelle associazioni. Ogni volta che ci prendiamo cura del nostro bisogno di stare in mezzo agli altri e di tutti gli altri bisogni che abbiamo generando del bene.
L'energia che si sviluppa in noi e negli altri diventa fonte inesauribile di benessere per tutti ed in noi genera senso di utilità e di poter incidere sulle emozioni, i pensieri, le azioni che compongono la nostra vita.
Vivere l'attesa significa fidarsi che c'è un progetto bello sulla propria vita e non scordarselo mai, neppure quando le avversità sembrano sopraffare. La parte più difficile talvolta è scoprire quale è questo progetto bello su di noi, qualcuno lo chiamerà lo scopo della propria vita, la missione, altri vocazione ovvero l'azione a cui siamo vocati=chiamati.E per fare questo occorre fare silenzio dentro di sè, abbandonare tutti i rumori di fondo, le verità che altri hanno bonariamente riposto in noi, esser disposti ad essere onesti ed andare fino in fondo anche nei pezzi della nostra storia che ci fanno stare male con la consapevolezza che è attraversandolo quel dolore che ne usciamo (e non chiudendolo nello scantinato) e che tutto ciò che ci appartiene è nostro e nessuno ce lo toglie (dunque quello che non è stato vuol dire che non era per noi).
Allora l'attesa ha un senso che è camminare, fare pulizia di pensieri e retaggi, accogliere la propria storia, scoprire o sottoporre a verifica le proprie aspirazioni, abbandonare la rabbia per ciò che non è stato come grande atto liberatorio di perdono a se stessi, restare saldi su ciò che di sè si è autenticamente scoperto anche quando tutto non è ancora compiuto ovvero saper vivere la sospensione nella certezza che tutto ha un senso ed un compimento. Dire che è un cammino significa dire che è un processo e per essere sostenuti nel processo a volte può essere utile anche lasciarsi accompagnare da figure guida esperte.


Buon cammino nella vita a tutti
Dott.ssa Antonella Ritacco



19.2.16

Ho un idea-le nella testa e non se ne va...che fare?

Sin da bambina ti ho sognato, ferma alla finestra immaginavo come saresti stato, cosa avresti fatto e che tutto sarebbe stato magicamente perfetto. Ora sono grande, ho 40 anni e continuo ad attendere alla finestra che tu arrivi. Nel mentre faccio tante cose tranne che crescere. Tante azioni da grande perché nessuno si accorga che sono ancora ferma ai miei 20 anni. Se crescessi....


Io non ti ho mai sognato ne cercato, tutti mi dicevano che saresti arrivato e mi avresti stravolto la vita ed io pensavo: ho veramente bisogno di lui? Mi basto da me. Posso farcela senza un uomo. Mio papà sarà contento di sapere che ho le spalle forti e così ho messo tra me e te kili di distanza, una bella barriera perché tu mi restassi solo amico e potessimo condividere ogni interesse. In questo modo non avrei corso il rischio di perderti.


Io ti aspetto e ti cerco da sempre e mi accanisco a cercarti e desiderarti mentre tu mi scappi, fuggi ed io non capisco cosa c'è. Tu non mi dici fino in fondo cosa pensi ed io mi aggrappo al fatto che non sono laureato, che non ho un ruolo sociale elevato e le mie insicurezze finiscono per rendermi sempre più debole non più ai tuoi occhi ma agli occhi di tutti, anche di me stesso. Mi avesse detto mai qualcuna qualcosa di più per potermi mettere in discussione veramente e senza vittimizzarmi. Mettermi in discussione...non è cosa facile in realtà!


Io ti aspetto da tempo e non ti ho ancora trovata. Vorrei averti qui tra le mie braccia e potermi prendere cura di te. Ho nostalgia di te senza neppure conoscerti. So che da qualche parte anche tu mi cerchi e mi attendi e ci sarà un tempo e un luogo quando meno ce lo aspettiamo. E sarà bello e certamente ti riconoscerò. Cosa sarà poi quello non lo so ma è certo che dipendesse da me non ti lascerei.


Ora basta. Ti ho atteso per 40 anni e non voglio più aspettare. Ora comincio a vivere finalmente in funzione di me e non più per te. Forse rischio di rimanere poco vigile e non aperta all'incontro con te, forse mi sto corazzando. Che dire. Sono stanca di storie sempre uguali di non riuscire a conoscerti in campo neutro e di dover cominciare a sentirmi in relazione con te senza poterlo essere perché sistematicamente dopo due mesi mi accorgo che sei un immaturo che continua a cercare in me la mamma. ??? Sarà forse questo ciò che continuo a rimandare di me? Ed ecco che mi ritorna un pensiero: forse ancora il mio cambiamento non è concluso e ho ancora qualche aspetto di me da lavorare. 


Basta! Io vado bene così come sono. Ci ho provato ma ogni volta vedo che le cose non vanno e mi scoraggio. Sono stanca, forse per me è meglio così. Ma poi ritorno a pensare e ad interrogarmi. Che fare? Quale è lo scopo della mia vita?


Vorrei una donna con caratteristiche precise. Nessuna va veramente bene. Ci sarà un motivo o è solo che non ti trovo? La mia storia passata mi pesa ancora ma sto decidendo di smettere di lasciarmi influenzare da essa, voglio riprendermi il senso di potere che ho, voglio riprendere in mano la mia vita. Solo che non so come fare.


Ho un ideale nella testa e non se ne va...che fare?


Storie di uomini e donne che con perseveranza cercano, talvolta si aggrappano quasi con disperazione e che vorrebbero tornare a vivere in sintonia con il loro Essere smettendo di ridurlo: a sogni (non c'era entusiasmo), a pensieri (se mi avesse amato avrebbe dovuto fare questo questo e questo...), ad emozioni (non provavo con lei nessuna passionalità), ad azioni (non ha mai fatto un gesto).
Il fatto è che l'amore e la relazione non è un singolo elemento tra questi e gli slogan che vanno bene per descrivere ad un amica il perché succinto del fatto che la storia non è andata non va bene quando la devi raccontare a te o all'altro che necessariamente ha diritto di essere aiutato a capire (con una risposta onesta) perché la conoscenza tra voi non può più andare avanti.
Il tuo stesso Io, quando ti guardi allo specchio, ha diritto di sentirti affermare cosa c'è che non va in quella donna appena conosciuta, in quell'uomo che non ti ha colpito al primo sguardo o che ti ha deluso perché non ha agito come tu avevi pensato, quale è la verità. Hai bisogno di sapere perché l'operazione cestino ha colpito ancora, quale antico bisogno si nasconde dietro di essa. Questo bisogno di verità interiore è quello che non ti lascia la pace che vorresti.


Proviamo a scoprirne di più.
L'ideale nella testa è come un box di sicurezza ed ha la sua funzione: serve a proteggerti. E' come dire "So già io cosa voglio e cerco e finché è così nessuno che è diverso da questo può avvicinarsi. In questo modo io sarò sempre al sicuro". 
Quello che troppo spesso accade è che quando cammini e incontri le persone finisce che se in uno/a di loro cogli una meraviglia potresti non essere in grado tu di uscire dal box. Oppure per non stare solo nel box potresti volerlo/a invitare dentro al ma non è detto che quella persona abbia le caratteristiche per stare nel box e il tuo sarebbe un tentativo disperato di chiedergli di entrare nel box per come tu lo vuoi, conformandosi alla tua idea, alla forma che gli vuoi dare. O ancora che quel box è diventato così bello e protettivo che fare spazio a qualcuno sarebbe così difficile che è meglio se da te stesso ti dici "in fondo cosa mi manca, Ho già tutto quello che mi serve" e giù con le scuse "Non mi piace perché è mora" "Non va bene perché non è laureato...." e così via dicendo. Ogni scusa è buona. 
Ma poi c'è un antico ritornello "Non sono io che non la voglio è che è l'altro che non va bene" che come la storiella dell'uva e della volpe di esopiana memoria ci mostra come per salvare la nostra immagine (sociale) svalutiamo quello che non abbiamo potuto avere.

Vivere le relazioni in questo modo è stancante da qualunque parte ci si trovi, sia nella parte di chi seleziona che di chi avverte di essere valutato. Se ne esce sempre sconfitti, disillusi, feriti ed anche arrabbiati (come la volpe). Le forze dopo un pò cominciano a vacillare ed anche la fiducia in te stesso. Riossigenarsi con un pò di coraggio è possibile a patto di essere disposto ad essere onesto con te stesso.
Capire come è nato l'ideale, da quali paure profonde è mosso, allenare il tuo potenziale per riscoprire la forza e l'audacia che sono in te, lasciarti aiutare da figure di fiducia (testimoni autentici) a togliere tutti i rumori di fondo, le voci che da sempre ti ripeti nella testa e che ti guidano. E' un operazione di pulizia interiore come quelle che si fanno di tanto in tanto in casa, nel giardino o nell'armadio o sulla scrivania, senza tanta gioia ma consapevoli che dopo di essa, in quel luogo a noi così caro della nostra interiorità, ci vivremo molto meglio.
Solo dopo esserti ritrovato sarà possibile riaprirti alla libertà, alla speranza ed alla fiducia in te e negli altri.


Buon cammino nella vita
Dott.ssa Antonella Ritacco