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23.4.20

La noia nella coppia, come nasce e cosa ci dice

 

Fonte: Città Nuova


È annoverata tra le emozioni tristi eppure contiene in sé tanto potenziale innovativo. La noia si supera ricominciando a pensarsi come entità in interazione ed in movimento


La noia prima di tutto nasce da uno stallo, dal voler rimanere ostinatamente in una fase che non da più nulla, né alla persona né alla coppia. Nasce dalla routine della quotidianità, dal dare per scontato se stessi e l’altro, dal non percepirsi più in una dimensione vitale di crescita personale e di coppia.

Essa è annoverata tra le emozioni tristi eppure contiene in sé tanto potenziale innovativo. È un luogo comune diffuso pensare alla noia come la fine di una storia ma così facendo si nega alla relazione la sua dinamicità interna ed il valore della noia come occasione di crisi e cioè di rimettere in moto ciò che si è lasciato assopire.

Le abitudini infatti hanno un alto indice di sicurezza, ma occorre stare attenti a non perdere attraverso di esse la vivacità dello scoprirsi e riscoprirsi per non spegnere le passioni. La noia arriva a segnalare non tanto che si è entrati in una zona di comfort quanto piuttosto che quella zona sta diventando scomoda e che occorre fare qualcosa. Quando si arriva a questo punto molto spesso uno dei due, quasi sempre la donna, “le ha già provate tutte” mentre l’altro è distratto dagli stimoli esterni e “vive come una seccatura” gli input del partner.

Le donne poi si arrendono molto velocemente di fronte alla poca voglia che gli uomini hanno del rimettere in discussione l’ordinarietà, e spesso sono convinte di dover fare da sé per dare stimoli alla coppia o di poter fare da sé escludendo il partner. In tutti i casi ci si dimentica della dimensione a tre in cui si vive: io, tu, noi.

Lo stallo nella sua accezione positiva testa se la coppia è pronta ad avviarsi ad una nuova fase, ed indica che il precedente modo di funzionare è obsoleto, che occorre co-costruirne uno nuovo che sia funzionale all’attuale stato e maturità delle persone che compongono la coppia. occorre dotarsi di strumenti per trasformarla in pedana di lancio. L’idea della coppia “che si era” è superata.

Né sono funzionali le forme alternative di essere coppia in cui si perde l’intimità sessuale o si cerca altrove una compensazione. Vivere sdoppiati, giocando in modo rigido alcune parti di sé fuori con gli amici ed altre col partner non permette di essere veramente se stessi.

La noia si supera dunque con un cambio di atteggiamento ricominciando a pensarsi come entità in interazione ed in movimento.

Due errori sono in agguato: la solitudine e gli stimoli esterni. La mancanza di comunicazione dei vissuti e delle nuove acquisizioni crea nella coppia una barriera che allontana l’uno dall’altro.

Contemporaneamente questo modo di fare radicalizza l’abitudinarietà che fino ad allora ha fatto funzionare l’insieme e fissa un’immagine stereotipata l’uno dell’altro in cui diventa difficile cogliere anche le piccole quotidiane evoluzioni. Attraverso il ripetersi meccanico delle azioni le emozioni vengono spente o orientate verso altre fonti di soddisfazione.

Non si può ignorare che ciascuno ha desideri e bisogni che aspettano di essere riconosciuti e presi in carico. Ma come? Nel dialogo per puntare alla crescita di coppia, e facendo tanto esercizio di ascolto, comprensione e riformulazione per esser sicuri di aver capito bene e non metterci del proprio.

Poi usando la creatività e cercando di mettere in gioco parti nuove di sé, dando sfogo alla creatività ed alle idee, ripescando sogni nel cassetto ed a volte superando anche piccoli imbarazzi di mostrarsi un po’ diversi seppur sempre se stessi. Ed infine trovando modi comuni per far si che le tre dimensioni della coppia possano trovare un nuovo equilibrio.

Bisogni ed emozioni non ascoltate cercano altre forme per raggiungere un apparente equilibrio tra cui il malessere, il ricorso a valvole di sfogo e la creazione di vuoti interni o relazionali che alla lunga diventano difficili da colmare.

In questo tempo pandemico siamo stati tutti sollecitati ad ascoltare un po’ meglio il nostro mondo interno. Personalmente ho colto che, in tante situazioni potenzialmente critiche, l’aver accettato la condizione esterna di confinamento in casa ha predisposto molte coppie ad una maggiore capacità di trovare un’intesa e riflettere meglio su quanto normalmente avrebbe rappresentato un punto di criticità.

Come è per voi? Dopo così tante settimane in casa per la quarantena cosa hai scoperto di nuovo del tuo partner e del vostro modo di funzionare? Come è stata la vostra capacità di riadattare la routine consolidata per far fronte alle nuove e tante esigenze del condividere spazi e tempi? Quando hai fatto qualche riflessione su di te, di voi e dei cambiamenti e riadattamenti in atto gliela hai comunicata e come? Hai notato qualcosa di diversamente positivo? C’è qualcosa che l’altro ti ha detto o ha fatto attraverso cui ti ha mostrato qualcosa di nuovo di sé? È rimasto ancora altro che vorresti dirgli e non hai ancora fatto? Il mio invito è ad utilizzare la prima occasione possibile per farlo.

Interessarsi genuinamente all’altro ed alle sue piccole scoperte quotidiane e vicendevolmente comunicarsele tiene lontana la noia.



29.11.19

Tornare a credere nell’amore



Fonte Città Nuova 
Quando dopo alcune esperienze deludenti la fiducia nell'amore crolla, si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore pur non credendoci fino in fondo? È giusto accontentarsi? Una riflessione



Crescere in un ambiente in cui l’amore viene espresso permette di ricevere un modello di quello che è la relazione amorosa a cui attingere negli anni a seguire. Ma cosa accade quando non è stato possibile cogliere la bellezza di questa relazione? Cosa succede quando a seguito di esperienze deludenti questa fiducia nell’amore crolla? Si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore, come trascinati dalla corrente, pur non credendoci fino in fondo? E questa forsennata e dolorosa corsa è forse una sfida per dimostrare che l’amore non esiste, o peggio ancora che non lo si merita, finendo per accontentarsi?
Il tema è alquanto ricco e delicato poiché chiama in causa più fattori di tipo interno, esterno e generazionali. Ed è anche uno dei temi su cui pazienti, lettori e partecipanti ai seminari sull’affettività mi interrogano. Proviamo ad aprire qualche spazio di riflessione.
Cos’è amore? Esistono varie forme e definizioni di amore, ma non tutte portano alla stessa relazione poiché parlano di legami diversi. Lo spiega bene lo psicologo statunitense Robert Sternberg quando definisce i tre pilastri dell’amore: intimità, passione e impegno. È l’unione di questi tre elementi che porta all’amore duraturo di una relazione sana e felice.
Fare i conti con l’esperienza passata. Sia la propria che quella indirettamente vissuta o ascoltata dagli altri attiva paure e porta troppo spesso a false convinzioni quando si cerca di assolutizzarla. Viceversa, contestualizzandola se ne possono cogliere stimoli e lezioni per il futuro.
Assumere una decisioneDecidere vuol dire anche tagliare, scegliere. Vuol dire che qualcosa viene perseguito e qualcosa resta fuori. Senza l’accettazione di questa conseguenza, si rischia di rimanere confusi e smarrire l’obiettivo: una relazione sana, duratura e felice in cui si è felici in due. Si vivono molte belle avventure, e qualche volta, come in una lotteria, si vince pure, ma molte volte si rimane delusi e sofferenti.
Prepararsi all’incontro. L’amore non si cerca, lo si incontra. Ed è possibile a determinate condizioni: essere disponibili ed essere nel tempo giusto.
La disponibilità è prima di tutto una disponibilità ad incontrare se stessi, a conoscersi fin nel profondo, a visitare i propri luoghi bui e temuti, a chiamare col nome le proprie difficoltà senza giudicarsi, a donarsi e donare perdono a chi ha avuto un ruolo nelle proprie ferite, a farsi accompagnare in questo viaggio così scomodo da chi è esperto e l’ha già sperimentato. È imparando ad amarsi che si pongono le fondamenta per un incontro autentico con l’altro.
Il tempo giusto. È il tempo che è stato preparato dall’attesa, un tempo che ha incontrato il vuoto e ne ha fatto l’occasione di un rapporto profondo con se stessi, senza più bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno né di confondere l’amore con la soddisfazione dei bisogni. È il tempo in cui si può finalmente apprezzare l’altro nella sua totalità, per assurdo anche nei suoi lati bui. È il tempo in cui le reciproche libertà si incontrano. E le confusioni sono dissipate, tutto è chiaro.
Credere ancora. Tornare a credere è una scelta. Essa consegue all’elaborazione dell’esperienza maturata, che rappresenta nell’oggi una grande risorsa per non ripetere eventuali errori passati. Ed è anche un moto di accoglienza per il nuovo che arriva.
Come si fa dunque a tornare a credere nell’amore dopo le esperienze deludenti che una persona ha avuto? La risposta è nel percorso personale di vita che ciascuno sceglie di fare, nella consapevolezza che ognuno ha il suo tempo per camminarci dentro e che alcuni strumenti possono sostenere lungo il cammino.

19.7.19

La chiusura di una relazione (Parte I)





Come può essere vissuta e superata la chiusura di un rapporto da parte di chi decide e di chi deve prendere atto della situazione.



Decidere di chiudere una relazione è una scelta importante. Se la decisione non è unanime assumerne o portarne il peso può essere gravoso. Inoltre ci sono motivi e modi diversi per porre fine ad una relazione d’amore. Essi dipendono dalla maturità affettiva dei partner e dalle loro modalità caratteriali, dalla profondità relazionale che i due avevano stabilito, dalla durata della relazione e dagli investimenti emotivi e di pensiero che su di essa erano stati riversati.
A riguardo, un aspetto non di poco conto è se la relazione ha seguito quei passaggi che possono far ritenere che effettivamente ci si è spesi per quella relazione e nonostante ciò essa non ha funzionato perché mancano le basi per una intesa comune, oppure se la decisione è presa sulla base di principi ritenuti importanti e che entrano in conflitto con il sentimento che si prova per l’altro.
In questo e nei prossimi articoli tratterò di come può essere vissuta la chiusura sia da parte di chi decide, sia di chi deve prendere atto della situazione, sia di come superare questa fase.
Chiudere una relazione non è mai indolore, anche quando apparentemente la persona sembra reagire bene, molti dei meccanismi che si attuano per sopravvivere emozionalmente al dolore hanno a che fare con la “fuga dal pensiero”. Si decide di investire tempo, energie ed interesse in attività che tengano occupati, cosicché lo spazio per i vissuti emotivi ed i ricordi è limitato. Si tratta di un comportamento del tutto sano e usuale purché non si finisca per annullarsi ed essere strapieno di impegni per non pensare e non provare emozioni. Un campanello d’allarme può essere il temere il tempo libero, temendo che le emozioni tornino a incombere.
È importante darsi il tempo per esprimere le proprie emozioni e pensieri, accogliere i propri sbalzi d’umore, avere del tempo per sé stessi e per comprendere ed elaborare quanto è accaduto. Il confronto con gli altri va bene ma è necessario anche saper dosare e mettere dei confini chiari quando non si ha voglia di parlarne ancora.
L’oscillazione emozionale è piuttosto comune nelle prime settimane dopo la chiusura di una relazione profonda o vissuta con intensità e possono perdurare anche per alcuni mesi. Se invece la relazione era agli esordi o non si era stabilito un rapporto profondo, è possibile supporre che il dolore che si prova abbia a che fare con l’idealizzazione della relazione oppure ad un livello più personale con una possibile ferita narcisistica che comporta un vissuto di fallimento.
Imparare a tollerare l’assenza dell’altro. In questo tempo di passaggio è naturale che si rievochino i ricordi e tra essi sia quelli brutti che quelli belli. Ricordarli entrambi è indice dell’importanza che la persona ha avuto nella propria vita, che si riesce a guardare alla relazione con una certa obiettività e che dunque si può ritenere di aver preso una decisione congruente con sé stessi.
Stoppare pensieri rimuginanti ove presenti. Quando si crea un rimuginio, esso nasconde in genere un’emozione o un bisogno non ancora svelato che sta cercando un modo per essere espresso. La mente ritorna sull’accaduto nel tentativo di chiudere un cerchio, di portare qualcosa a compimento. Può essere che la persona stia cercando ancora di comprendere come gestire il conflitto che si è creato tra un principio da salvaguardare ed il sentimento che prova verso l’altro oppure che sta cercando di fare chiarezza ancora su tutti i motivi che l’hanno condotta a prendere quella decisione.
Anche l’autorimprovero rientra nei pensieri rimuginanti. Le persone dovrebbero ricordare che ciascuno fa ciò che può con le capacità che ha nel preciso momento in cui si trova a vivere quella determinata situazione. Il dopo è un altro tempo ed è naturale vedere le cose con maggiore chiarezza “col senno di poi”. In realtà l’unica occasione che abbiamo da vivere è il tempo presente.
Lasciarsi sostenere nell’apprendere a gestire le proprie emozioni, può non essere sempre facile da accettare sebbene aiuta a recuperare più velocemente un proprio equilibrio. A qualunque figura ci si rivolga, un familiare, un amico o un professionista, la persona dovrebbe imparare a darsi perdono, mollare l’autocontrollo sulle proprie emozioni e ad essere meno perfezionista.
Inoltre sarebbe da tenere sempre presente che se si ravvedono motivi per cui la relazione non funziona, questi hanno la priorità di attenzione rispetto al bisogno/desiderio di essere in coppia.
La relazione ha bisogno di basi solide per poter funzionare nel tempo e la fase del fidanzamento è il momento giusto per sondarle. Pertanto, può essere importante, nei momenti di calo dell’umore, ricordarsi i motivi per cui ci si è separati e cosa veramente si cerca e si vuole da una relazione. Questo non toglie il dolore per l’assenza dell’altro, né valore alle caratteristiche che egli ha, aiuta invece ad autosostenersi nel cammino verso una più chiara definizione di ciò che si è e ciò che si vuole.

Dr.ssa Antonella Ritacco



Fonte Città Nuova


4.7.19

Genitore e single




Prendersi dei momenti di riflessione personali perché la maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati.


I motivi per cui ci si ritrova ad essere genitori single possono essere i più svariati. Come per ogni cosa, esistono motivazioni ufficiali, quelle che vanno bene per tutti e ci sono motivazioni più intime e profonde, per nulla immediate, che solo gli interessati possono col tempo arrivare a comprendere.
Qualunque sia la situazione che conduce a crescere un figlio da soli, essa non è mai priva di sfide e di dolori bensì è di una costante rimessa in discussione di sé.
Sono sempre possibili cicliche rivalutazioni della scelta intrapresa o ricordi dei vissuti legati a come essa è avvenuta; si palesano gli effetti sulla relazione con i figli sia per chi è presente sia per chi li vede a ondate; si impongono le difficoltà della vita quotidiana e dei suoi costi, ove a volte anche i beni necessari come un tetto sulla testa diventano proibitivi. La propria ed altrui vita viene rivoluzionata. Come si trasformano le emozioni verso il precedente partner, come si reagisce ai tentativi di riavvicinamento, o quali possono essere i riflessi emozionali davanti alle richieste e velate minacce dei figli che cercano di estorcere un riavvicinamento? Come e quando sono stati innalzati i muri, e dove è iniziato il punto di non ritorno sulle proprie decisioni?
Ogni cuore ha certamente le sue ragioni. Quando si è in interazione con l’altro non è facile comprendere quale parte della persona si attiva, la relazione viene vissuta, non tanto meditata. Per questo è importante prendersi dei momenti di riflessione personale e di coppia per capire cosa succede e come si può attimo per attimo interagire e dialogare.
La maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati,ma questo è molto probabile che sia anche il vissuto speculare del proprio partner. Oppure ci si accusa di non valere o fare mai abbastanza, come nei casi in cui si sta amando l’altro ma non nel modo come lui ne avrebbe bisogno.
Il nostro mondo interno è variopinto e non ragiona ma associa. È facile dunque che alcune situazioni ne richiamino altre e senza che la persona se ne accorga si attivino i retaggi di vecchie ferite mai rimarginate del tutto. Se in quei momenti non si è in grado di riconoscere quanto sta avvenendo si genera confusione su sentimenti passati e situazioni attuali.
Per questi motivi prima di chiudere una relazione e prima di iniziarne una nuova è necessario avere chiaro cosa non ha funzionato e quale è la propria parte di responsabilità, quali campanelli d’allarme non sono stati ascoltati e avrebbero dovuto esserlo. Non ha senso ragionare su i “se” ed i “ma”, ha senso imparare a non ripetere gli stessi errori.
Un riavvicinamento è sempre possibile ma chiaramente solo se sono state elaborate e superate le cause che hanno portato alla precedente rottura esso potrà condurre ad esiti diversi.
Con le emozioni non risolte interferiscono anche le continue sollecitazioni, provocazioni o minacce dei figli che chiedono la vicinanza affettiva e fisica dell’altro genitore, che non comprendono i motivi dei “grandi” e che per ottenere i loro tornaconti molto spesso attivano sofisticate strategie di triangolazione.
Rimanere genitore neutro e intellettualmente onesto può non essere sempre facile. Occorre consapevolezza delle proprie decisioni e prontezza nell’assumersene gli effetti, ed avere chiari i limiti ed i confini del ruolo educativo per fare pienamente la propria parte e lasciare spazio all’altro genitore per come egli può esser presente.
Il muro che porta i due ad allontanarsi si costruisce mattoncino dopo mattoncino ogni giorno. Ci si sveglia un giorno che è già finito. Il tragico non è a mio avviso che il muro ora sia lì. Il tragico è che non si sappia neppure come è stato costruito, che si manchi della necessaria comprensione di come si è arrivati a quel punto senza la quale non si può intervenire. È per questo motivo che ritengo che oggi i percorsi di “alfabetizzazione all’amore” siano un abc importantissimo della relazione affettiva adulta e che le coppie dovrebbero rimanere in formazione continua. Due naturali conseguenze sono: la paura per le successive relazioni ed i copioni ripetitivi attraverso i quali si ricercano sempre gli stessi tipi di partner a conferma che «tutti gli uomini/ tutte le donne sono così» ed al fine di non cambiare nulla di sé.
Inoltre se non è facile essere genitore unico, non lo è neppure conciliare con esso il proprio ruolo di donna o di uomo.
Concludo con alcuni interrogativi aperti su cui ritengo sia necessario continuare a riflettere attentamente. Che fine fanno il maschile ed il femminile che c’è in ogni essere umano, in che modo trovano ancora spazio di espressione? Come fare in modo che questi cambiamenti non interferiscano con una nuova dimensione di sé né con il naturale processo di identificazione sessuale che si sviluppa tra genitori e figli? E quando l’altro genitore è veramente assente, chi può supplire alla mancanza della sua figura?

Dr.ssa Antonella Ritacco


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https://www.cittanuova.it/genitore-e-single/ 

15.4.19

Non solo primi incontri



Incontrando e ascoltando single, ho colto spesso la delusione di vivere tanti primi incontri a cui non seguivano altri inviti. Quali possono essere alcuni dei motivi e come reagire?

Quando dopo un incontro che non prosegue in una frequentazione si sperimenta una delusione, generalmente a monte c’è un’illusione. L’illusione in questo caso si riferisce a un’immaginazione precoce, anzitempo, di qualcosa che la persona vorrebbe si realizzasse e la cui realizzazione viene indebitamente o precocemente attribuita a chi sta dinnanzi. Se si prova a mettersi nei panni dell’altro, si può meglio comprendere come questo può risultare gravoso e ansiogeno. E non perché questo desiderio non debba esistere, capiamoci bene, piuttosto perché ancora nessuno dei due sa se è veramente quella la persona in cui vuole riporlo. Manca ancora da raggiungere il livello di conoscenza tale che può far generare una libera scelta dell’altro. Di conseguenza ciò che più frequentemente si sperimenta è la paura dell’abbandono da una parte, mentre dall’altra la pressione di dover scegliere e appagare un desiderio. Darsi il tempo per conoscere l’altro, non avere idee stereotipate su chi dovrà fare il primo passo sono due elementi da tenere in conto.
Un altro elemento che ricorre molto spesso nelle conoscenze precocemente interrotte sono i giudizi e i pre-giudizi. L’avere un’idea chiara di ciò che si vuole può condurre talvolta in un vicolo cieco, in cui non ci si dà vicendevolmente il tempo di conoscersi per come si è. È naturale che al primo incontro si voglia dare di sé la migliore impressione possibile, e proprio per questo è difficile essere rilassati come si vorrebbe. Quest’ultimo punto non è di per sé stesso un limite, poiché la componente emotiva rende più veri, più autentici. Il limite sta nel giudizio che si dà di se stessi fino a ritenersi inadeguati, o viceversa nel giudicare l’altro senza ancora ben conoscerlo. I giudizi e i pregiudizi, in amore, sono di norma uno strumento utilizzato per tenere lontano l’altro ed esprimono un’effettiva paura di conoscerlo fino in fondo. Avere un’idea chiara di ciò che si vuole può anche generare in sé degli standard molto elevati tali per cui la persona incontrata non è mai idealisticamente paragonabile a quella desiderata e pertanto allontanata.
La verità è che non gli piaci abbastanza titola una commedia statunitense e può anche essere che sia così. Le relazioni nascono per affinità o per complementarietà, dunque è naturale che non si possa creare lo stesso legame con tutti. La sofferenza potrebbe derivare dal vissuto di una mancata conferma, che per la persona si traduce in un “non vado bene”. Questa lettura della cosa in realtà è molto pregiudizievole e si rischia di farsi molto male per nulla. In amore ci si sceglie “nella libertà”, per questo è molto importante che questi incontri vengano vissuti nella serenità di potersi esprimere e nel rispetto dell’altro a partire dal modo come si comunica di non voler più proseguire nella frequentazione. Nella maggior parte dei casi è il modo che ferisce non il fatto in sé è per sé. Il modo con cui questa intenzione viene espressa, taciuta o recepita ha a che fare con la maturità affettiva del momento.
È importante ricordare che i primi incontri hanno la funzione di aprire un varco a una conoscenza più approfondita, per questo è importante non seguire schemi predefiniti ma rimanere il più possibile in contatto con sé stessi, esprimere ciò che si è e si pensa, essere sé stessi. Lasciare che il tempo e la comunicazione fluiscano, che ci sia spazio per entrambi per esprimersi, essere genuinamente interessati a ciò che interessa all’uno e all’altro.
Se hai deciso di non proseguire nella conoscenza dell’altro: occhio a che non sia una modalità per tenere lontano le persone e non doverti mai coinvolgere.
Se hai ricevuto un rifiuto (diretto o indiretto): non si può piacere a tutti, così come l’altro non può essere aprioristicamente la persona che fa per te, meglio scoprirlo per tempo.
Se man mano che avanza la crescita personale, è possibile che le circostanze che hanno guidato la chiusura precoce di una frequentazione divengano chiare, sul momento è importante accogliere la delusione che ne deriva senza lasciarsi sopraffare da essa. Ogni cosa ha un senso anche se sul momento non si ha ancora la possibilità di attribuirlo.
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https://www.cittanuova.it/non-solo-primi-incontri/


11.1.19

La fatica di crescere



La capacità di rinnovarsi è importante per ogni persona e quando si interrompe si può ricorrere all’aiuto psicoterapeutico per ripristinarne la funzionalità.



Ricordo più di una paziente che, durante i nostri appuntamenti, pian piano ha scoperto quanto immobilismo ci fosse nella sua vita, apparentemente così piena di tante cose da fare, con il suo continuare ad essere accondiscendente con i genitori nonostante vivesse oramai da sola e avesse un lavoro. Bastava ritornare a casa per il pranzo settimanale o per una vacanza o durante le feste e sentiva il dover di rivestire i panni della ragazzina, figlia, compiacente. Il gioco era facile e sempre lo stesso: una volta entrati in casa si doveva far finta che tutto il mondo fuori non esistesse e che lei fosse ancora la loro bambina. Una volta fuori dalla porta di casa dei genitori, il gioco sarebbe finito e lei avrebbe ripreso la “sua” vita.
È la storia di molti giovani che si costringono ad una consapevole doppia identità quando non si tratta invece di un inconsapevole falso sé, pur di non dover misurarsi con le emozioni e la forza di affermare la propria identità.
Una donna simbolizzò questo processo con questa frase: «Quando torno a casa loro, indosso sempre gli stessi abiti, quello con cui tutti in paese mi riconoscono». E pur nella consapevolezza di stare stretti in quella situazione, nel desiderio di voler essere sé stessi, liberi da uno schema a cui si sente l’obbligo di dover partecipare, c’è un dolore che è lo stesso del bruco che si sta per trasformare in farfalla. «Sembra come se una parte di me debba morire e questo mi è difficile e doloroso», diceva una giovane ragazza nel pieno di questa fase della differenziazione e dell’individuazione. Quella, cioé, dell’ultimo periodo dell’adolescenza, che si conclude con l’avvio della fase adulta. È attraverso di essa che ci si può riconoscere pienamente se stessi. È una fase in cui l’obiettivo è scoprirsi come esseri unici ed irripetibili, consapevoli della propria forza interna, e per raggiungerlo sono necessari permessi interni e permessi genitoriali.
Il raggiungimento di questo obiettivo è accompagnato da piccole, naturali e momentanee delusioni che possono essere più o meno grandi a seconda del grado di vulnerabilità presente nella relazione genitore-figlio. Ad es. il figlio rifiuta un regalo o una indicazione che non corrisponde più al suo gusto che cambia, oppure esprime idee, modi di fare e bisogni totalmente diversi da quelli che il genitore gli attribuiva e si sarebbe aspettato.
Quando il grado di vulnerabilità della relazione, per vari motivi, è alto, può accadere che per non provare dolore nel veder soffrire i genitori, e credendo di dover continuare ad “ubbidire”, alcuni figli rinunciano ad attraversare questa fase. Così facendo non misurano la loro forza interiore e finiscono per pensarsi deboli e inadatti: né bravi figli realizzati come mamma e papà (e la società) desidererebbero, né se stessi fino in fondo, né abbastanza adulti nonostante una vita apparentemente autonoma.
Cosa accade generalmente a chi resta immobilizzato in questa fase? Molti di essi finiscono per restare single e mettono in dubbio la fondatezza del desiderio di avere una relazione. Molti altri cercano relazioni in cui non devono mai fino in fondo definirsi e dunque assumere un ruolo, delle responsabilità e compiere delle scelte. Quando arriva il momento in cui è necessario farlo, trovano il modo di scappare dalla relazione con mille giustificazioni.
Alcuni entrano in una relazione di coppia dove molto del loro ruolo è delegato all’altro (è l’altro che risponde al proprio posto, è l’altro che fa, gestisce e dispone e non è necessario l’essere almeno messi al corrente perch: “Mi fido di come lo fa!”). Una relazione di coppia in cui uno dei due partner non ha completato la fase della differenziazione è molto esposta alle interferenze della famiglia di origine o allo scoppio improvviso del partner che subisce l’eccesso di delega.
La presenza del partner, a sua volta, spesso è l’occasione-stimolo per completare quei processi di separazione e individuazione dal nucleo della famiglia di origine che non erano del tutto conclusi. Ed è proprio in questo spaccato che spesso trovano l’incipit le problematiche tra partner e famiglia di origine.
Il processo che accompagna lo sviluppo di una maturità affettiva, cosa ben diversa dall’autonomia, è lento e risente di numerose variabili, alcune legate alle circostanze di vita di cui non abbiamo fatto alcuna menzione in questo articolo. Esso ha anche i suoi risvolti nella vita futura della persona. Ed è la vita stessa che mostra a ciascuno quando è arrivato il momento di mettere mano ad alcuni aspetti di sé. Un tempo che necessariamente dovrebbe essere di riconciliazione con la propria storia.


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20.12.18

Essere single a Natale

Cosa succede quando il Natale arriva in un tempo in cui in realtà si avrebbe bisogno di stare lontano dalla propria famiglia di origine e si stanno affrontando dei passaggi evolutivi importanti per la propria crescita personale? Il Natale ha molti volti vediamone alcuni.

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1.12.18

Non sono il mio personaggio

"Capita ad alcune persone di identificarsi con un modo di essere e di fare stereotipato, sempre identico a sé stessi. Una condizione in cui si sentono intrappolati e da cui vorrebbero uscire ma non sanno come. Anche quando intravvedono una possibilità di uscita non è facile imboccare questa strada. Mille paure, mille “se…ma…però” si fanno avanti e la persona resta bloccata in quello che possiamo chiamare un personaggio...."

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21.9.18

Sei fasi per riuscire a cambiare


"Può capitare che, nonostante la voglia di cambiamento o il desiderio di portare a termine un progetto, ci si ritrovi al punto iniziale e ci si convinca di non potercela fare. Questo può accadere per una valutazione sbagliata del percorso da seguire...." 

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11.8.17

Se si taglia il cordone con la famiglia

Le reazioni emotive interne. Le possibili difficoltà. Come accettare i propri bisogni senza sentirsi in colpa. L’importanza di riconoscere il valore del proprio impegno.


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14.7.17

In vacanza ti stressi o ti riposi? Ecco come capirlo

Vacanza e riposo sono due facce della stessa medaglia, intimamente legati ma fortemente differenti. Sono un tempo dedicato allo svago ed alla rigenerazione psicofisica. Tu come lo usi?


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30.6.17

La coppia che funziona non è mai ferma

Molte coppie ce la fanno a poter dire, con soddisfazione, di amarsi anche più del primo giorno. Guardando la loro storia possono riconoscere varie tappe e fasi. Con stupore si accorgono che il loro amore è cresciuto, che non è rimasto fermo. Ma non sempre è così.

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20.12.16

L'arte di corteggiare, scegliere ed amare tra maschile e femminile_Parte II



Rispondo qui ad alcune domande sul corteggiamento poste dai partecipanti all'incontro di Verona presso l'Associazione Cantico dei Cantici. Il titolo del presente post era il titolo dell'incontro. Le persone che incontro sia in psicoterapia che in conferenze, seminari e workshop spesso mi rivolgono domande di questo tipo. Aggiungerò dunque alcune di esse a completamento del tema. 


"Perché oggi il corteggiamento sembra essere svanito? In che relazione sta questo suo venir meno con l'emancipazione femminile e con l'evoluzione della nostra epoca? E' così vero che la donna ha messo l'armatura è l'uomo è più fragile?" 
Oggi siamo abituati a trattarci come oggetti, con grande facilità pensiamo di aver verificato e conosciuto come è l'altro e la logica dello scarto è così ben insinuata in noi che facciamo anche fatica a riconoscerla e ad ammetterlo. Se posso avere tutto con grande facilità anche l'amore penso che debba seguire questa logica. Ma l'amore non è immediato, è un sentimento che si costruisce, solo che spesso viene confuso con l'emozionabilità. Una persona che amo necessariamente mi emoziona, una persona che mi emoziona non necessariamente la amo. Tornando al corteggiamento esso ha bisogno di tempo, cura e dedizione, dunque impegno, non è immediato, quindi per chi segue la logica attuale è più facile accordarsi su "ci vediamo" "in che relazione stiamo" "se ci va bene continuiamo se no...". Inoltre abbiamo un cuore ferito: nel migliore dei casi non si tratta di una ferita diretta, ovvero pagata sulla propria pelle, quasi sempre è indiretta per esperienze di familiari, parenti, amici che sono stati delusi dall'amore, e molte volte la ferita è generata dalla sola esposizione mediatica rinforzata poi dall'esperienza di qualche conoscente. Insomma siamo tutti esposti e solo quando si è maturato un buon equilibrio interno, anche questo frutto della naturale fatica del crescere e diventare uomini e donne adulti, si riesce ad avere quella autosufficienza mentale per distaccarsi dal dolore e dalla disillusione e potersi finalmente aprire ad un incontro che sia unico e non viziato dagli strascichi dell'esperienza precedente.
Mi chiedi in che relazione il calo del corteggiamento sta con l'emancipazione femminile? Questo è un tema caldo. L'emancipazione femminile segna un traguardo importante nell'evoluzione del genere umano ma come detto sopra se dentro una donna riecheggiano ancora gli echi di sopraffazioni avvenute lontano nel tempo o dentro di lei alberga il bisogno di dimostrare quanto è forte (perché ha bisogno di dimostrarlo a se stessa o a suo papà che non l'ha apprezzata abbastanza o perché deve prendersi nella vita quella rivincita che sua mamma, sua zia, sua nonna, sua sorella non hanno potuto prendersi) capisci bene che le emozioni e le motivazioni (non sempre consapevoli) le giocano un brutto scherzo. E' plausibile che quando si troverà di fronte ad un uomo che volendo corteggiarla cerca di fare cose carine e cortesi nei suoi confronti, possa rifiutare queste attenzioni confondendole con atti di superiorità maschile (di prevaricazione) o con segnali di inferiorità/debolezza femminile (che lei non può accettare). Inoltre se consideri che, per entrambi i sessi, sempre più spesso prima di sposarsi o andare a convivere si esce dalla casa genitoriale per andare a vivere autonomamente per conto proprio è facile comprendere come una donna o un uomo che hanno sviluppato la propria autonomia, in grado di pensare e provvedersi da sé, per quanto desiderino avere un partner accanto molto spesso in realtà stanno chiedendo al partner "stiamo insieme ma non cambiamo l'equilibrio di prima" ovvero quello che io chiamo l'essere single in coppia.
Che ci sia un disorientamento negli uomini e nelle donne, che abbiano perso la bussola e troppo spesso siano confusi su cosa spetta da fare all'uno e cosa all'altro è una generalizzazione che in parte è vera. Per fortuna non è sempre così. Molto dipende dal grado di sicurezza in se stessi e dalla capacità di accettare tanto l'accoglienza quanto il rifiuto. Che si sia più spaventati questo si è vero, che si fatichi molto a trovare buoni esempi nei propri contesti di vita questo spesso è anche vero, sappiamo che le persone coerenti e le esperienze significative esistono e nutrono. Alcuni ce le hanno a portata di mano altri possono scegliere di andare a cercarsele e per questo devono mettersi in cammino e lasciare le proprie sicurezze, a volte anche mettersi a confronto con familiari e vecchi amici di sempre. Detto questo la tua domanda mi costringe ad entrare di più nel tema del maschile del femminile interno alle persone, quell'Animus e quell'Anima di cui parlavano Aristotele e Platone. E lo farò in un articolo successivo.


"Ma il corteggiamento è maschio o è  femmina?"
Il corteggiamento spesso lo si pensa al maschile in realtà appartiene ad ambedue i sessi. E' la visione romantica delle cose che ci porta a dare questa lettura al maschile. In realtà tutti i film classici ripropongono dame che lasciano scivolare un fazzoletto perchè il cavaliere che passa lo possa raccogliere, avere la scusa di fermarsi e favorire una occasione di precontatto seppure fugace. 
Se la logica del Maschile è quella del dare e la logica del Femminile è quella dell'accogliere (vedi Imparare a Innamorarsi di Sara Cattò) comprendiamo che non ci può essere l'azione dell'uno senza che ci sia la risposta dell'altro che motiva a continuare. E che chiunque dei due da l'avvio alle danze è in realtà di secondaria importanza purché non invada il campo che è prerogativa dell'altro. L'accoglienza nelle donne ha due altre face che sono pericolose: l'una è la pretesa l'altra è l'attesa di ricevere. La prima è carica di violenza e di rabbia, parte da una mancanza, la seconda è una forma passiva, una richiesta indiretta di essere esaudita. L'accoglienza invece è un modo attivo di compartecipare, è un farsi spazio perché le cose avvengano e quando avvengono è anche una forma di comunicazione, è un si! Chiaramente è un si temporaneo che invita, che da il permesso di osare ancora, che lancia il messaggio "si, mi interessa conoscerti meglio". 

  

"E se l'altro si accorge del mio interesse? Mi sembrerebbe di non poter essere più libero nel mio modo di comportarmi"
Ottimo, se l'altro se ne accorge vuol dire che sei riuscito nel tuo intento. C'è chi ama giocare a carte scoperte ma ci sono anche tante persone che vorrebbero avere quello spazio neutro per non doversi subito dichiarare o dover frettolosamente dare una conformazione alla frequentazione. Partiamo dall'inizio (vedi anche la prima parte dell'articolo sul corteggiamento, il post precedente). Io noto una persona che mi interessa: se siamo solo in due e restiamo a parlare per ore possiamo anche non essercelo detti ma che c'è sintonia lo si comprende, se poi siamo entrambi liberi e ci vien voglia di ridarci appuntamento, con o senza amici, sto inviando un messaggio di piacere nel rivederla la persona, e l'altro legittimamente lo coglie. Se siamo in mezzo agli altri chiaramente tutto è più neutro, abbiamo facilità di osservarci, interagire senza dover ancora fare quell'operazione di far uscire l'altro/a dalla massa informe. Questo è un limbo provvisorio che può durare lo spazio di poche ore o qualche settimana al massimo, il tempo che raccogli il tuo coraggio e soprattutto che confermi quanto hai percepito dell'altro. Stazionare a lungo in questo limbo può nascondere una grande insicurezza, un bisogno di camuffare le proprie emozioni, una paura dell'incontro vero con l'altro, la paura di essere sbagliato o di fare scelte sbagliate. Dunque se il tuo intento non è rimanere single a vita ben venga che l'altro si accorga che sei interessato/a a lei/lui. La sensazione che ne hai di essere più limitato nel tuo modo di comportarti potrebbe essere frutto di una insicurezza su come muoverti, cosa fare, dire, proporre, un pò di ansia che è normale, oppure potrebbe avere a che fare con la difficoltà a fare una scelta che a sua volta può nascondere una paura di sbagliare oppure una difficoltà a definirsi, più tipica della nostra epoca, e dei single in generale, in cui si cerca di mantenere aperte il più a lungo possibile tutte le possibilità/opzioni. Solo che non siamo in una operazione di marketing ma in un sistema di relazioni dove ci si può fare del male e si può fare male.



"Come posso lasciarmi corteggiare o farmi corteggiare?"

C'è una sottile venatura che fa la differenza tra i verbi che usi. Mi faccio corteggiare quando ne avverto per prima il desiderio e mi metto in moto affinché l'altro mi noti. Si intravvede un legame con la seduzione, entro in contatto con il mio fascino e lo utilizzo come richiamo seduttivo perché l'altro mi noti e si avvicini. Mi lascio corteggiare indica quando è l'altro a desiderare di avvicinarsi per primo oppure un momento successivo al mio esercizio di fascino. Nel lasciarsi corteggiare è insito l'esercizio dell'accoglienza e la necessità che si rimandi all'altro un messaggio corrispondente al nostro desiderio interno: Si se sono interessata a ricevere le sue attenzioni e sono interessata a ricambiarle oppure No se non sono interessata a riceverle né a ricambiarle. In tutte le condizioni su citate è importante fare esercizio di darsi permessi: di tempo per conoscere la persona, di essere onesti e accoglienti nelle comunicazioni e nei messaggi che volete trasmettere all'altro, di essere pazienti nelle piccole sviste e soprattutto interessati al mondo dell'altro.


"Fino a che punto è possibile corteggiare, dov'è il limite per fermarsi?"
In ogni cosa il limite è la libera volontà dell'altro. Quello che mi chiedi mi fa pensare a due situazioni: quella in cui non leggo i segnali di rimando dell'altro (o non sono sufficientemente chiari) ed io vado ad oltranza e mi autoconvinco che c'è interesse e qualunque cosa l'altro faccia o dica la leggo sempre e solo con le mie lenti viziate dal mio desiderio esasperato di conquistare "l'oggetto dei miei desideri". L'altra situazione a cui la tua domanda mi fa pensare è: ho investito ogni volta energie, tempo, risorse a corteggiare senza avere mai grossi risultati e ne sono stanco. Non voglio più che altri si approfittino di me. Ora le due situazioni possono essere facilmente l'una la conseguenza dell'altra. Gli attori in gioco sono due, almeno i principali. Se non leggo i segnali e insisto troppo mi trasformo in uno stolker, se li leggo male investo per nulla oppure batto in ritirata dandomi un autogol. Sono io che mi sento insicuro ed ho bisogno del risultato certo per confermare la mia validità oppure ho così paura del rifiuto che non vedo la possibilità di un Si. Viceversa se l'altro non risponde alle mie attenzioni con messaggi chiari e soprattutto autentici mi porta lungamente fuori strada ma soprattutto mi da un segnale chiaro di immaturità. Nel primo caso non è in grado di dare valore al mio interesse, può arrivare così a suscitare anche rabbia nel corteggiatore), nel secondo non è pronto a rivelare se stesso, quello che pensa, ha bisogno di crescere affettivamente.
Il limite lo trovi dunque nel rimando dell'altro (chiaro o confuso che sia) ma tante volte il limite lo trovi anche dentro di te.


"Come posso io donna sostenere un uomo che mi interessa perché non si adagi troppo?"
Il tempo è una variabile importantissima nella relazione e nella vita degli esseri umani. E' un bene supremo, non ritorna. Se ti interessa come tu dici, allora vale il tuo tempo. Devi sapere che uomini e donne si relazionano al tempo in modo diverso e per un uomo è una sequenza infinita di momenti mentre per la donna è ciclico ed in questa ciclicità c'è il richiamo ad un inizio e ad una fine. Come donna sei dunque consapevole di cosa significa il passare del tempo. Una cosa che puoi fare è cercare di comprendere questo adagiarsi a cosa è dovuto: è diverso se è il suo modo di fare o se invece nella sua vita si trova in un tempo di grande affaticamento per varie situazioni che sta gestendo. Lui ti interessa, interessati a lui! Solo così puoi trovare la risposta: che può essere l'attenderlo e magari anche il sostenerlo oppure la scoperta che il suo è un modo di adagiarsi per non dover prendere una decisione e di conseguenza potresti essere tu a dover essere chiamata a prendere una decisione, non più lui.


"Se lui non mi piace glielo devo dire subito?
Dipende da cosa vuol dire per te subito. Ti sei data il tempo di conoscerlo? Cosa sai di lui? Oppure ti sei fatta un preconcetto di lui e lo stai usando per evitare una relazione o che lui ti rimandi aspetti di te con cui temi di dover fare i conti? Insomma per la troppa paura che tu non vai bene?
C'è una regola che insegnano nei corsi sui metodi naturali di regolazione della fertilità che è "aspetta e vedi", ovvero datti tempo. Non saltare frettolosamente alle conclusioni. Stare nel cerchio della vita non è facile proprio per questo. Frettolosamente vorremmo sapere cosa succederà, in che relazione stiamo, è lui o non è lui. Aspetta e vedi! Certo che quando ne sei proprio sicura allora si che glielo devi dire. Il tuo tempo è prezioso ed anche il suo (vedi sopra), se vuoi ricevere onestà sei chiamata a dare onestà, se vuoi avere chiarezza devi dare chiarezza. Sarà quindi importante che tu ti prenda qualche minuto per capire cosa e come puoi dirgli quello che pensi, le considerazioni che hai tratto, in relazione a cosa. Nessuno vuole sentirsi usato né rifiutato perciò quando glielo dici digli anche cosa apprezzi di lui sebbene quello non basta per avere una relazione.


Cosa non sta funzionando e cosa possiamo fare in questo contesto sociale? Come single mi sento spesso invitato e provocato a ridicolizzare la relazione, e vedo che tanti lo fanno, so che non mi sentirei a posto con me stesso perché voglio credere nell'amore.
In questa nostra epoca in cui siamo costantemente invitata a pensare che tutto è possibile, tutto è buono, e tutto è lecito abbiamo una occasione più unica che rara per sviluppare con maggiore convinzione la nostra determinazione ad amare ma in una maniera più adulta e consapevole di come è stato fatto in passato. Oggi abbiamo l'occasione di scegliere liberamente, intendo senza i vecchi condizionamenti sociali e familiari (almeno nelle grandi città è possibile), la persona da amare e non abbiamo ancora imparato a gestire questa libertà. Ai vecchi condizionamenti sociali e familiari ne abbiamo sostituito altri che sono interiorizzati e muovono le corde del riscatto della libertà e della paura delle nostre fragilità. In questo modo siamo portati ad attaccare o a difenderci. nessuna relazione sana può nascere da queste due posizioni. Conquistarsi l'adultità, secondo lo schema del GAB (Genitore Adulto Bambino) dell'analisi transazionale, è una avventura tutta da vivere. Significa essere persone autonome ma non autosufficienti, accettare i propri limiti e scoprire e valorizzare i propri talenti, le proprie capacità, significa essere rappacificati con la propria storia personale, significa aver fatto un cammino e volerlo continuare. Significa aver trovato un equilibrio interiore che ti permette di pensarti come un settemiliardesimo di pezzi unici nel mondo, che non è vero che tutto dipende da te ma che tu puoi fare molto e senza la tua parte la terra è un luogo più povero. Ecco cosa possiamo fare: tornare a scoprirci parte del tutto e per questo importantissimi! Mentre invece una parte della cultura odierna spinge a credere che se sei parte del tutto sei nella mischia e non conti. Non c'è un modo migliore per fallire che credere in questo.


"Quali indicazioni per uomini e quali per donne che sono alla ricerca dell'anima gemella?"
L'Amore esiste ed occorrono occhi sempre nuovi pronti a vederlo. Spero che in ognuno di voi ci sia un punto nella vita in cui può tracciare uno spartiacque tra come vedeva le cose e pensava prima e come le vede e pensa dopo un esperienza significativa. Quasi sempre quel punto è il vostro punto vero di inizio. E' un punto di non ritorno in cui finalmente vi siete fatti una vostra idea sulle cose.
Quello che non esiste è il partner ideale. Fintanto che una persona sta cercando quello la sua ricerca è votata al fallimento relazionale, nulla la soddisferà se non per breve tempo e rischia seriamente che solo molto avanti negli anni si possa rendere conto che l'unica cosa veramente sbagliate era l'idea del partner e della relazione perfetta. Tutti abbiamo da confrontarci con l'idea che per quanto bravi possiamo essere, per quanta buona volontà possiamo metterci nelle cose abbiamo anche dei limiti, dei difetti e qualcosa di noi non piacerà ma non per questo l'altro non ci amerà, anzi come mi disse una volta una persona molto cara "Seppi che era lui l'uomo che volevo sposare quando scoprii che amavo anche i suoi difetti".
Non siamo perfetti. Sapersi accogliere nelle proprie fragilità, buttare giù la maschera con le persone intime è una gran dote. Irrigidirsi nel voler mantenere una impeccabile immagine di sé alla lunga logora la relazione. Non si dice il vero su se stessi. Sapersi accogliere significa imparare a perdonarsi e se la persona ha imparato a perdonare a se stessa potrà essere caritatevole, amorevole e accogliente anche con l'altro. E significa anche liberare energie positive, sprigionare il bene che c'è dentro di sé invece che coltivare emozioni negative.
L'amore non si trova, si incontra. Anzi è lui a trovare la persona e lo fa solo quando la persona è pronta. Perciò rendetevi pronti! Siate in ogni momento le persone migliori che possiate immaginare e lui saprà trovare la forma ed il modo in cui incontrarvi.