31.12.19

Il Sì di ogni giorno

 Fonte: Città Nuova


Nel passaggio di inizio anno, è tempo di bilanci e di propositi, quelli rinnovati ogni anno con la speranza che magicamente si realizzeranno e di quelli che è invece arrivato proprio il tempo di metterci mano


Anche nella coppia c’è un sì che si ripete ogni giorno ed è un proposito. È il Sì che tiene insieme la coppia, quello che al mattino ci si ripete per non dimenticare perché ci si è scelti, per verificare a che punto si è nei progetti comuni, e che si è in due a portare avanti la famiglia, anche quando il modo di contribuirvi è diverso.

È un Sì che a volte è leggero da pronunciare ed altre volte è più faticoso proprio come le circostanze e fasi della vita. È un sì che richiede presenza e costanza, le stesse che la volpe, nel racconto di Antoine de Saint-Exupéry «Il piccolo principe», riconosce come caratteristiche del creare un legame capace di dare gioia e senso di appartenenza.

Sovente accade che di fronte ad i sì più difficili da dare, il partner dubiti della loro autenticità pensando che se sono forzati non hanno valore, che l’altro forse non dovrebbe fare quella cosa controvoglia, che la dovrebbe fare per se e non per l’altro. Ma è proprio vero che ciò che costa fatica o viene fatto per l’altro sia controvoglia o senza valore?

Per prima cosa occorrerebbe chiedersi se ci si riconosce valevoli di tanto amore quando il partner fa qualcosa per noi che gli costa. Secondo lo psicologo americano Gary Chapman due dei cinque linguaggi d’amore espressi nella relazione di coppia sono: i gesti di servizio ed il dono anche nella sua accezione di tempo donato e condiviso. Ma in generale tutta la logica dei linguaggi d’amore parla di un fare una cosa che si sa fa bene all’altro perché lo si ritiene speciale, lo si è scelto tra tanti e nel renderlo felice c’è parte della propria felicità.

In secondo luogo, se ci si autorizza ad accettare questo dono d’amore molti dislivelli nella relazione si appianano: da un lato riconoscersi come valevoli di tanto amore appiana il proprio livello di autostima e riempie il serbatoio emozionale di cui ogni coppia ha bisogno per andare avanti, dall’altro a ciascuno viene lasciata la responsabilità di decidere per sé stesso cosa vuole o non vuole fare e dove porre un limite alle altrui richieste. In questo modo non c’è un bilanciere designato a regolare gli equilibri interni alla coppia ma ciascuno si autoregola da sé e la relazione si esprime su un livello paritario e di reciprocità.

Se dunque il partner ha voglia di fare qualcosa di bello proprio per voi, date spazio allo stupore ed alla gioia come forma di ringraziamento che nutre la relazione. La vostra gioia sarà la ricompensa più bella per il suo impegno.

Appartenete invece al gruppo che frena lo slancio dell’altro pensando al lato pratico delle circostanze? Forse qualche volta è necessario ma questo non può durare a lungo senza che la relazione ne esca impoverita. Pertanto si può sempre fare un passo indietro e ricominciare: sia fissando l’entità massima del dono possibile (quando questo è necessario), sia chiedere scusa per non aver saputo accettare il gesto ed dono come avrebbero meritato.

Dunque se nei vostri propositi di questo inizio d’anno c’è l’intenzione di rafforzare la vostra relazione di coppia, allenatevi a dire qualche sì in più, non solo per rendervi disponibili per l’altro ma anche per accogliere quanto l’altro è disposto a fare per voi.

Da parte mia vi auguro tutta la tenacia, la gioia e la lungimiranza possibile nelle numerose quotidiane avventure che la routine della vita di coppia ha in serbo per voi per questo 2020.



21.12.19

Le convinzioni deviate che ci portiamo dentro

 Fonte: Città Nuova


Attenti a quello che si dice di sé perché si finisce per crederci ed interiorizzare la corrispondente emozione. Una riflessione alla luce dell’insegnamento di Eric Berne


Si giocava a tombola domenica scorsa. Il gruppo era ampio. Non tutti noti. Da un tavolo a più riprese durante tutte le tre manche si sentiva «ambo», «terno», «quaterna», «cinquina» e «tombola!!!». La fortuna è proprio sfacciata! Pensavamo in tanti. Ognuno avrebbe voluto entro la fine della seconda manche sedere a quel tavolo. Qualcuno ci ha provato, asserendo che i quei pochi minuti erano usciti i suoi numeri.

Verso la fine della terza manche una ragazza già pluripremiata grida «Tombola!». Decide di abdicare per far continuare il gioco, ma pochissimi numeri ancora e la sua amica e vicina di posto, anche lei già pluripremiata, grida anche lei «Tombola!». Generosamente anche lei abdica per far continuare il gioco. Alla fine della serata c’è chi si consola dicendo «Vabbè, non sono stato fortunato al gioco ma sono fortunato in amore», e chi rimarca l’opposto «Come è che si dice? Fortunata al gioco, ma non in amore! Eccomi.»

Ognuno la prende con allegria e filosofia e ci sta! Ma c’è qualcuno che a quelle frasi ci crede davvero: è il proprio bambino interno.

Secondo Eric Berne la struttura della persona è tripartita. Egli individua nel Genitore, Adulto e Bambino i tre stati interni che regolano il comportamento psicoemotivo della persona.

Al Genitore (interiorizzato) è attribuito il compito sia di sostenere ed incoraggiare quanto quello di normare il comportamento della persona.

 Al Bambino spetta il compito di curiosare, giocare, svagarsi e arrabbiarsi quando incontra il limite.

All’Adulto spetta il compito di tenere i piedi per terra, capire, valutare, organizzare e bilanciare. In questo modo si può trovare l’equilibrio tra le energie in ingresso ed in uscita, si può valutare le risorse che si hanno prima di intraprendere un progetto, o capire se occorre chiedere aiuto ed a chi.

Dicevamo che il Bambino interno ascolta le cose che vengono dette dalla persona e ci crede. Pertanto se sono cose belle si sente contento e ne è fiero, se ascolta cose brutte su di sé automaticamente ne soffre e orienta in tal senso il suo comportamento e le sue emozioni.

Queste conoscenze vengono utilizzate per stimolare pensieri positivi nel marketing ed in psicologia, in base ai quali le persone possono ad esempio prendere nuove decisioni che le riguardano, generare nuove consapevolezze o interrompere pensieri ripetitivi e disfunzionali.

Viceversa, se ci si ripete troppo spesso, anche scherzosamente, qualcosa che nella propria vita non va come la si vorrebbe, il rischio di pensare che non si è bravi in quella cosa, che si è sfortunati o di provare sentimenti di tristezza e di rassegnazione è proprio dietro l’angolo.

E la cosa buffa è che automaticamente si finisce per darla per scontata e non tanto comportarsi così, quanto piuttosto non fare nulla per cambiare lo stato di cose, almeno per ciò che riguarda il proprio intervento.

Attenti dunque a quello che si dice di sé perché si finisce per crederci ed interiorizzare la corrispondente emozione. Ma attenti anche a come lo si dice, poiché una battuta se viene ripetuta troppo frequentemente non è più solo una battuta, e in alcuni momenti serve proprio prendersi sul serio.



14.12.19

Una dipendenza che fa bene

 Fonte: Città Nuova


Spesso si ha il timore che impegnarsi in una relazione coincida col perdere i propri spazi e tempi. Impariamo che esiste un'altra dimensione nello stare insieme a qualcuno, che ha il nome di interdipendenza


La paura di perdere l’indipendenza acquisita rischia di essere fonte di malessere per gli aspiranti partner che desiderano e al contempo temono le relazioni profonde. Questa paura può rappresentare un ostacolo per la relazione ed è esperienza frequente tra molti single adulti che sentono di aver trovato un loro equilibrio. La percezione che essi hanno è che per via della relazione dovranno rinunciare all’impostazione che hanno dato alla loro vita e della quale sono felici. Amici, lavoro, hobby, tempo libero, possibilità di decidere come organizzarsi. In una relazione si sceglie e si programma almeno in due.

Ma è veramente indipendenza quella che hanno raggiunto? O può nascondere tracce di una fase precedente di cui non si parla così tanto? Vediamo come avviene lo sviluppo che va dalla dipendenza all’indipendenza e se oltre questa ci può essere ancora dell’altro.

Dall’infanzia fino all’età adulta si snodano alcune fasi: la dipendenza in cui si ha bisogno di qualcun altro per la soddisfazione dei propri bisogni, è spesso seguita dalla controdipendenza, la cui risoluzione permette di raggiungere l’indipendenza.

Nella controdipendenza la persona ha bisogno di mettere alla prova le sue capacità, la tenuta di un legame, la disponibilità dell’altro ad essergli al fianco indipendentemente dalle sue scelte e dai suoi risultati. Vuole dimostrare a sé stesso, oltre che agli altri, che sa fare da solo, che non ha bisogno di aiuto ma al contempo è ancora emotivamente molto bisognoso di supporto e conferme. Questa fase ha un’alta ambivalenza e dalla sua risoluzione dipende la possibilità di avanzare alla fase successiva dell’indipendenza. Nell’indipendenza la persona si pensa come autonoma, può far fronte ai suoi bisogni materiali, è capace di accogliersi e sostenersi empaticamente, si dà gratificazioni e permessi per ciò che ritiene giusto, sa gestire i suoi limiti e confini, può chiedere aiuto sia perché ne necessità sia perché ha piacere di condividere qualcosa con l’altro. L’antico bisogno di dimostrare qualcosa per mostrarsi responsabile è svanito. Solo a questo punto è possibile una relazione che possa contemplare un partner in cui l’interazione è a un pari livello e in cui i due non dipendono dal reciproco soddisfacimento dei bisogni ma tuttavia hanno piacere di essere l’uno al fianco dell’altro, anche nel momento di bisogno, ma non solo. Questa condizione è detta dell’interdipendenza.

Essa implica la capacità di stare insieme senza confondersi con l’altro e allo stesso tempo contemplandolo nel proprio mondo interno. Nella relazione intima ci si sente mutuamente legati all’altro, si è consapevoli che le proprie decisioni hanno ricadute sull’altro e si è in grado di assumerle tenendo conto dei propri e degli altrui bisogni. Questo coinvolgimento indiretto dell’altro è una responsabilità in più che non può essere gestita né autonomamente né indipendentemente dall’altro. Si rende perciò necessario sviluppare un altro tipo di dialogo e di mutuo riconoscimento tra i partner, di modo di assumere le decisioni.

Ciò che può spaventare è il timore di perdere i vantaggi acquisiti attraverso l’indipendenza e l’autonomia, la paura di affrontare gli aspetti emotivi dell’indipendenza e non da ultimo la preoccupazione che l’interdipendenza possa far riattivare alcuni meccanismi della dipendenza, con la quale condivide alcuni aspetti ma non certamente il background emotivo interno.

Questo timore, se non adeguatamente ascoltato, compreso ed elaborato, rischia di far sedimentare degli equivoci che, poiché ritenuti veri, restano un ostacolo per la costruzione di una relazione. Essi possono ad esempio nascondere retaggi della fase della controdipendenza non ancora risolti.

La relazione intima oscilla per sua natura tra appartenenza e indipendenza. Tanto l’appartenenza, quanto l’interdipendenza hanno qualcosa in comune con l’antica e temuta dipendenza, seppure sono cosa ben diversa da essa.

È molto rassicurante pensare che ogni fase si acquisisce gradualmente e che si tratta di processi che avanzano mano a mano che le circostanze, dentro e fuori della persona, maturano. Niente è assodato in partenza, o ha una data preimpostata. Viceversa per ciascun grado di crescita personale raggiunto si generano in sé nuovi bisogni e nuovi progetti che accendono la miccia per il passaggio a una nuova fase.



5.12.19

Le suocere e la coppia

Fonte: Città Nuova 


Come l’ascolto profondo può aiutare a vivere la relazione riconoscendo le specifiche differenze e a creare la condizione di base perché si possa smettere di reagire sulla base emotiva 


Carla e Andrea hanno due figli e una casa. Per il Natale hanno invitato la suocera, vogliono che si senta in famiglia almeno durante le feste. Vive da sola da quando il marito è defunto e non ha molti contatti sociali. Già all’arrivo della suocera, è chiaro che, nonostante le buone intenzioni, le diverse posizioni delle donne, la difficoltà a riconoscere fino in fondo il reciproco ruolo e l’inconsapevole competizione per chi ne sa di più su Andrea, sull’uomo che era (a cui si riferisce la madre) e che è (a cui si riferisce la moglie), unitamente a qualche indicazione non richiesta sulla gestione dei figli, rischia di rovinare l’umore di quei giorni. Andrea si sente diviso e nel mezzo, qualunque cosa faccia è sbagliata: ora per l’una, ora per l’altra. Guardando dal punto di vista di ciascuno, ognuno ha le sue ragioni. Su questa base ci si sente autorizzati a reagire, e si ignora che le reazioni seguono l’onda emotiva, e conducono a un’escalation dove si perde facilmente il senso di ciò che effettivamente si voleva dire. Ognuno si sentirà vittima e sarà al contempo persecutore dell’altro e Andrea, a cui apparentemente è lasciato il ruolo di salvatore delle situazioni, sarà costretto a stare nel mezzo, e ad essere al contempo vittima e persecutore a turno ora dell’una, ora dell’altra, che percepiranno la sua posizione come alleanza o come tradimento. Egli è diviso tra il ruolo di marito e quello di figlio, ed è anche il punto di unione e di divisione tra le due donne. 


Ognuno si salva da solo! 

È veramente la risposta di Andrea a dover essere giusta o sbagliata, e dunque il baricentro per ristabilire la situazione, o piuttosto c’è un atteggiamento che tutti devono rivedere? Molti problemi tra suocera e nuora si snodano su questa diatriba. Gli atteggiamenti di entrambe si muovono su modalità infantili, in cui entrambe cercano di dimostrare chi è la più competente e brava, chi è la più amata e dunque sostenuta e chi invece è inadeguata, di troppo o di mezzo. Il triangolo drammatico di Karpman palesa come questo sia una sorta di gioco, un modo inconsapevole di vivere la relazione in cui ognuno dei tre partecipanti al gioco è al contempo Salvatore-Vittima-Persecutore nei diversi momenti della stessa situazione. Sentimenti di possesso, senso di colpa, di competizione muovono le diverse risposte possibili di comportamento e fintanto che esse non vengono riconosciute è impossibile smettere di partecipare al gioco. Basta che una delle persone coinvolte interrompa la sequenza, rifiutandosi di continuare a portare avanti il gioco su questa dinamica, e il triangolo si può interrompere. Solo quando uno dei tre smette consapevolmente di non fornire altra linfa, questo processo si può avviare al cambiamento. 


In cosa consiste il cambiamento? 

Carla, Andrea e la suocera devono ancora trovare il loro personale modo di darsi reciproco riconoscimento: nei ruoli che ricoprono, nei modi di fare, nelle esperienze che hanno maturato, nelle scelte e nei progetti che perseguono e non da ultimo nei valori a cui danno importanza. Riconoscere significa differenziare, cioè identificare le peculiarità di ciascuno. E non ha nulla a che vedere con il giudicarle o valutarle. Niente di ciò che appartiene alla persona può essere in competizione poiché parla della specificità di ognuno. Imparando a riconoscersi, invece, si impara a vedere il bene che è in azione nell’altro, anche quando le proprie idee a riguardo sono diverse. Inoltre il punto di osservazione di ciascuno è necessariamente parziale. Per questo è importante imparare ad ascoltarsi fino in fondo al fine di comprendere l’angolazione dell’altro, mentre è una grande svista il presumere di conoscerla già. L’ascolto profondo crea la condizione di base perché si possa smettere di reagire sulla base emotiva. Attraverso di esso Carla potrebbe ad esempio comprendere che alla suocera sta a cuore la loro realizzazione piuttosto che rimproverarli di qualcosa, oppure potrebbe accorgersi che la non accettazione dei loro progetti deriva dalla mancanza di informazioni che non le permettono la comprensione. Dal canto suo la suocera, sentendosi ascoltata e riconosciuta, sarà più disponibile a comprendere la coppia e i loro membri nelle loro scelte, valori e obiettivi, fino a rendersi conto di come, a causa delle sue preoccupazioni, tende a mettere il focus su alcuni aspetti perdendo di vista la globalità e il senso di una circostanza. Il fare squadra di Carla e Andrea non si basa sul contrapporsi ma sull’ascolto, di sé stessi e della suocera. Questo favorisce una maggiore consapevolezza dei loro ruoli, dei motivi per cui hanno assunto quelle decisioni e non altre, e gli permette di essere più assertivi nelle loro comunicazioni. Non ci sono emozioni da espellere, piuttosto idee e progetti da comunicare. Hanno scoperto infatti che l’ascolto autentico dell’altro avvicina, mentre il reagire emotivamente distanzia e non permette di capire. 


A chi tocca iniziare? Non c’è una persona designata, bensì inizia chi per primo si accorge di quello che succede e desidera un modo diverso di viversi come famiglia.