30.8.19

Le età dell'amore

L'amore non ha età, quando arriva, colpisce! Ma esso è lo stesso ad ogni età? E soprattutto luoghi e modi dell'amore possono considerarsi immutabili ad ogni età?

Font: Città Nuova 


Alcuni comportamenti tipici dei rituali d’avvicinamento all’altro possono sembrare fuori luogo ed essere perfino giudicati inopportuni se messi in atto in contesti diversi dal proprio entourage e routine o gruppo di pari. Eppure è proprio questo uscire fuori dai luoghi ordinari che a molti permette di lasciarsi andare, di non rimanere chiusi in un modo di fare sempre identico a se stesso, di scoprire meglio se stessi, i propri gusti e soprattutto i propri limiti.
Ad essere cercato è l’amore, ma esso può assumere varie forme. E soprattutto senza passare dall’esperienza dell’amore a sé diventa difficile raggiungere l’amore per l’altro.
L’amore è insieme piacere e dono, capacità di accogliere e di dare. Più elevato è il livello di maturazione personale, più capaci si diventa di vivere appieno questo movimento interno di dare e ricevere e le parole “ti amo” diventano cariche di densità e capaci di testimoniare con il comportamento ciò che si esprime a parole. Si tratta di un processo che matura nel tempo.
Sia lo sviluppo personale, che la conoscenza dell’altro e la stessa relazione amorosa procedono per tappe. L’amore nasce dal desiderio: di incontrare l’altro, di farsi conoscere e di conoscere ed è solo dopo che esso evolve in un progetto. È in forza di questo desiderio che si fanno “cose folli” di cui alcune hanno a che vedere con l’età, altre con i contesti, altre con la storia e le caratteristiche personali dei singoli. In comune c’è il brivido di osare fino ai propri confini personali.
L’incontro con l’altro ha lo speciale privilegio di permettere di conoscere meglio se stessi nel mentre che si scopre l’altro. Inoltre attraverso l’esperienza e la maturazione personale assumono minore rilevanza aspetti quali il divertimento o lo status sociale, mentre ne assumono una maggiore caratteristiche quali la capacità di dialogo e la ricerca attiva del tempo insieme.
Una differenza importante tra le diverse fasi della vita è la presenza in età adulta di una funzione interna dell’organismo detta “funzione io” che ambisce a mantenere il senso di integrità della persona e ne sovraordina, senza giudicarli, i comportamenti e le scelte.
Per svolgere tale compito la “funzione io” richiede un’attribuzione di senso ai propri comportamenti, una sorta di spiegazione necessaria ad autorizzarne l’esistenza all’interno della dimensione globale della persona. Questo processo sta alla base della autoconsapevolezza. In questa assegnazione o meno di senso si evidenziano differenze importanti nell’amore a diverse età, quando facilmente si può correre il rischio di “cadere nel ridicolo” anticipando delle tappe o cercando di rivivere quelle passate, agendo comportamenti non autentici, o dettati dal senso di insicurezza e dal bisogno di mettersi in mostra. Alcuni di questi comportamenti sono sovente utilizzati in modo temporaneo e strumentale per rompere degli schemi interni troppo rigidi.
Troppo spesso si dimentica che il fascino ha varie componenti: non solo l’aspetto fisico, ma anche la simpatia, la leggiadria, l’autenticità, la ricchezza interiore, l’attenzione all’altro ed il genuino interesse al suo mondo, e molte altre caratteristiche che permettono reciprocamente di stare bene e sentirsi a proprio agio con l’altro.
È anche questa una ricerca di piacere che per essere veramente seduttiva non dovrebbe celare inganni o tornaconti. È nell’autenticità che si è aperti all’incontro del partner affine, viceversa il partner che si può incontrare sarà quello affine alla “maschera” che si è proposta.
Altri aspetti quali il modo di divertirsi, gli interessi personali, i luoghi che si frequentano, possono avere a che vedere tanto con l’età quanto con le abitudini e con i gruppi di riferimento, ovvero il proprio contesto di vita. È importante a riguardo ascoltare i propri bisogni interni. Essi possono essere già pienamente appagati oppure essere in evoluzione e richiedere nuove decisioni, nuovi contesti e nuove frequentazioni.
Quando si riesce ad ascoltarsi così profondamente, e si è aperti sia ai piccoli e grandi cambiamenti nella propria vita e nelle proprie abitudini, sia alla valorizzazione di ciò che si ha e si è, anche l’apertura all’amore trova i suoi giusti spazi ed i suoi modi che meglio possono valorizzare l’interezza della persona, a qualunque età.

Questi processi seguono una linea di evoluzione comune nello sviluppo della maturità affettiva e generale della persona. La capacità di sintonizzarsi contemporaneamente sul proprio mondo interno e contemporaneamente non perdere di vista l’altro passa attraverso scelte personali, sincronie di tempi e di luoghi, concezione della relazione e della vita ma più di tutto l’elaborazione della propria storia.

17.8.19

E se in vacanza ci mandassimo lo stress?

Il tempo, la comunicazione, la rigenerazione, la famiglia al completo, vacanze per la coppia o con gli altri. Qualche consiglio utile


Fonte: Città Nuova


La quotidianità irrompe e non sono poche le giovani coppie che si dimenano per cercare di sopravvivere ad essa e non far soffocare la relazione e neppure se stessi. Alcune si lasciano consigliare o quanto meno si confrontano con altre coppie, altre cercano di fare alla meno peggio ma il tran tran quotidiano rischia davvero di ingolfare e può arrivare anche a nuocere e disperdere.
In un tale clima le vacanze tanto attese possono risultare un toccasana per ricentrarsi sulla relazione tanto quanto un campo di battaglia.

Vediamo i pro ed i rischi di alcuni aspetti a cui prestare la dovuta attenzione.

Il tempo. Se durante la settimana lavorativa il tempo per il noi è sempre risicato, e in presenza di figli lo è ancor di più, la vacanza mette a confronto con il coniuge h 24. C’è tempo per tutto, dal risveglio lento e coccoloso, al menù da preparare, al decidere che ciabattine comprare, a come gestire la noia e l’entusiasmo, per levarsi qualche sassolino rimasto in sospeso e attardarsi al chiaro di luna. Mollare il concetto di tempo avuto in vigore per 11 mesi può non essere facile, ma la vacanza è anche questo. Vivere il presente, abbandonando la mente da altri pensieri e programmazioni è l’ingrediente basilare per rilassarsi ed utilizzare il tempo insieme.

La comunicazione. Le coppie che hanno una buona comunicazione gioiscono di questo maggior tempo insieme e possono addirittura arrivare a stupirsi che ci sia un attimo di insolito silenzio. Chi nella quotidianità senza volerlo ha sacrificato la comunicazione, trova nelle vacanze l’occasione di ri-allenarla. Basta ricominciare a comunicare partendo dai propri pensieri, riflessioni, condividere intenzioni prima ancora di ricominciare ad interessarsi all’altro ed a ciò che avrebbe da comunicare. Per alcune coppie che hanno una comunicazione interrotta e non fluida la vacanza rischia di trasformarsi in un vero campo di battaglia proprio a causa del maggior tempo insieme. Per chi non ama molto parlare può essere preferibile organizzare delle cose da fare insieme, meglio se concordate. Nei casi più critici potrebbe essere utile stilare una lista degli argomenti tabù da non toccare, almeno temporaneamente, in vacanza al fine di rilassarsi e soprattutto se le vacanze sono condivise con altri.

La rigenerazione. La vacanza dovrebbe servire a questo primariamente. Svuotare la mente, programmare il minimo, dedicarsi alle cose che piacciono, scoprirne di nuove, esplorare e ampliare le proprie conoscenze su di sé, su chi sta accanto e sul creato. Il silenzio ne è un alleato e lo è anche il dolce far nulla. In verità ciascuno si rigenera per il tipo che è. Per questo è importante ascoltare il proprio ritmo e sintonizzarsi su di esso tenendo presente che accanto alla rigenerazione personale dovrebbe esserci anche quella di coppia e familiare.

La famiglia al completo. Partire in vacanza con la famiglia al completo e lasciare lo stress a casa può sembrare un’impresa ardua ma questo ha a che fare con le generali apprensioni genitoriali e con quei piccoli patteggiamenti sia personali che di gruppo che di volta in volta si è chiamati a fare. Anche piccoli e creativi cambi di prospettiva possono aiutare.

Vacanze per la coppia. C’è un tempo per tutto, basta non essere ripetitivi. L’abitudinarietà è nemica della relazione. Concedersi di tanto in tanto una vacanza solo per sé come coppia aiuta a ricentrarsi l’uno sull’altro, un modo per riscoprirsi anche dopo anni di relazione. Di anno in anno è importante ascoltare il bisogno che la coppia ha ed in funzione di esso decidere che tipo di vacanze si faranno: con o senza figli, con amici o parenti, vacanze alternative. Tutto va bene purché nel giusto tempo. E perché no, anche accompagnare il partner nella realizzazione di un sogno nel cassetto.

Vacanze con gli altri. Per chi si organizza con le famiglie d’origine o con gli amici è importante non farla diventare un’abitudine ma che dietro alla ripetitività ci sia la vostra scelta di coppia di trascorrere la vacanza esattamente così. Il rischio è quello di adagiarsi su una comodità, sul timore di deludere, sul bisogno di conciliare l’accudimento dei bambini e la possibilità di gustarsi una serata a due senza di loro lasciandoli agli amici o ai nonni. Va tutto bene, purché la coppia si sia confrontata in maniera aperta con il tema e abbia quella libertà interiore di poter cambiare programma quando si accorge che qualcosa è di troppo in quel momento. La comunicazione ed il tempo della coppia, così come alcuni spazi di rigenerazione nei contesti allargati spariscono, sebbene di contro si vivano molti altri momenti che possono nutrire i legami ed il vissuto di appartenenza.

Dunque, vacanze per rilassarsi, rigenerarsi personalmente, in coppia, come famiglia e con gli altri, con i parenti e gli amici vecchi e nuovi.
Si all’espressione di sé stessi, a proporre o fare richieste, a mollare il controllo sul tempo e sull’organizzazione, e allo stupore del riscoprirsi.
No ai copioni ripetitivi e grande attenzione a smascherare quei vantaggi secondari che creano e sostengono i legami non salubri e gli invischiamenti, rischiando di offuscare anche il piacere dello stare insieme.

E ricordate di infilare in valigia anche un po’ di umorismo e tanta giocosità, brio e leggerezza.

8.8.19

Ricominciare dopo una delusione d’amore

Abbiamo visto nei due articoli precedenti come la chiusura di una relazione possa essere dura da affrontare sia per chi ha preso la decisionesia per chi l’ha subita. Anche quando la decisione viene presa concordemente resta da abituarsi all’assenza dell’altro e restano da riordinare pensieri, emozioni, ricordi, nuove consapevolezze e ridecisioni.

Fonte: https://www.cittanuova.it/ricominciare-delusione-damore/?ms=006&se=022 

Nulla viene per nuocere dicevamo. Occorrerebbe dunque poter imparare qualcosa da questa chiusura. E occorrerebbe farlo con quella sorta di imparzialità che le emozioni non sempre permettono. Una paziente ad esempio riportava con stupore come verso la fine della psicoterapia fosse riuscita ad attribuire all’ex partner non solo difetti ma anche pregi, cosa che in relazioni precedenti non aveva mai fatto avendo troppo bisogno di scaricare le colpe per affermare i suoi diritti e bisogni di cui lei stessa fino ad allora non aveva saputo prendersi cura.
I motivi per la chiusura e le modalità con cui la relazione si è svolta, nonché la maturità affettiva di entrambi, giocano un ruolo importante. Talvolta le relazioni si vivono e si chiudono in un clima di armonia, altre volte a danno di uno dei due e lì dove l’invettiva, la violenza, il sopruso, il misconoscimento dell’altro è stato grave, le ferite che esso lascia hanno bisogno di tempo e tanto amore per sé prima di lenire. Ed è importante prendersi tutto il tempo che serve e sviluppare o accrescere l’amore per sé. Questa è l’occasione propizia per ricominciare da sé!
In questa fase, che subentra dopo il primario sfogo emotivo, e quasi in contemporanea all’attribuzione di senso all’accaduto, occorre diventare operativi.
Occuparsi di sé e dei propri hobby o svilupparne di nuovi è in generale una buona idea. Meglio ancora se questi prevedono di condividere del tempo con altri. Uscire e incontrare gente crea la possibilità di ripristinare un buon equilibrio tra riflessione e consapevolezza di sé da un lato e nuove esperienze dall’altro che rappresentano “boccate di aria fresca”.
Accogliere pensieri e ricordi che compaiono ogni tanto è paradossalmente la strategia più efficace per combatterli. Piano piano l’assenza sbiadirà, ma per qualche settimana può esser necessario saperli ancora tollerare. Ciò che è nocivo, non sono i ricordi ma le rimuginazioni, ovvero i pensieri ripetitivi che non lasciano spazio a nuove riflessioni e comprensione di senso. Ascoltare musica e scrivere pensieri sono modi per lasciarsi attraversare da essi senza trattenerli.
Un’altra accortezza è quella di stare attenti a non sorvolare su riflessioni che invece vogliono insegnare qualcosa. La fretta di girare pagina può essere indice di una difficoltà di vivere i sentimenti, di riconoscere e restituire all’altro l’importanza avuta, ma può nascondere anche il rischio di chiudersi a nuove esperienze emozionali instaurando una nuova modalità di difesa. La lettura di un libro sul tema può aiutare ad acquisire nuove consapevolezze, su di sé e sulle dinamiche in amore.
Abolire i confronti se si è stati lasciati per qualcun altro. Non c’è una persona migliore o peggiore, ci sono solo “compatibilità” e “scelte” in amore. Accettare permette di andare avanti liberi e leggeri, cedere al confronto tiene invece legati al passato e ad una relazione che non esiste più.
Quando è nuovamente tempo di riinnamorarsi?
Non esiste alcuna formula matematica che possa dirlo. Ciascuno lo può comprendere da sé in base al tipo di emozioni e pensieri che lo attraversano, al tipo di elaborazione svolta della precedente relazione, a cosa si è capito di sé e dell’altro e della relazione stessa.
Ci sono alcune emozioni a cui stare attenti e da elaborare tra la chiusura di una relazione e l’avvio di un’altra. Esse riguardano: la propria ferita all’orgoglio, il distacco emotivo verso l’ex e la sensazione di dover dimostrare qualcosa a sé stessi o a qualcuno.
Elaborare questi tre aspetti per tempo, prima di iniziare una nuova relazione, contribuisce ad alleggerire il bagaglio della propria esperienza. È importante che lo zaino che portate sia leggero e posto dietro sulle vostre spalle, cioè interiorizzato. Questo permette di incontrare l’altro più facilmente e indipendentemente dal contenuto dello zaino.
Quando si immagina un nuovo partner ciascuno desidererebbe di trovare freschezza, leggiadria, un compagno con cui è piacevole viaggiare. Se lo desiderate, siete disposti ad esserlo anche per l’altro?

25.7.19

Relazione finita, ma io non volevo (Parte II)



Subire una delusione d’amore o essere lasciati può essere doloroso, ma non è la fine del mondo. Una relazione può concludersi in modi diversi. In alcuni casi, addirittura, non riuscendo a chiuderla, qualcuno spera che sia l’altro a farlo.


I motivi per una chiusura possono essere scomodi da ascoltare e da accettare, non comprensibili sul momento o liberatori. Anche in questo caso il tipo di relazione instaurata, la maturità affettiva dei due, le modalità con cui si da luogo alla comunicazione, possono agevolarne l’accettazione e l’elaborazione.
Se chi lascia assume il peso di una decisione e della sua comunicazione, a chi è lasciato, soprattutto quando la notizia giunge inaspettata, spetta il compito di comprendere e accettare il vero senso di questo distacco.
La prima reazione è di ordine emozionale. Non c’è spiegazione o logica che tenga al dolore, alla delusione, alla sensazione di aver perso un’opportunità. È importante, anche in questo caso, darsi il tempo per esprimere emozioni e pensieri, essere pronti a convivere per un po’ con i propri sbalzi d’umore, prendersi appena possibile del tempo per sé stessi e per elaborare quanto è accaduto.
Atteggiamenti utili ma da dosare sono: l’autovalutazione di sé e della situazione, purché non sfoci in auto-rimprovero e pensieri rimuginanti; creare occasioni di svago con il sostegno di amici, purché non siano solo vie di fuga per non vivere le emozioni e poter maturare nuove consapevolezze; prendere del tempo per sé, purché non significhi evitare le relazioni emotivamente coinvolgenti per paura di soffrire di nuovo.
Ciò che aiuta davvero è rimanere sintonizzati su sé stessi, per vivere ogni fase senza sfociare nei possibili rischi ad essa connessi. Una buona alleata è la libertà interiore, intesa come genuina espressione di sé.
Quando le emozioni cominciano ad acquietarsi, si apre lo spazio-tempo per dare senso a ciò che è avvenuto e riflettere sul senso personale di una relazione d’amore. L’essere in relazione infatti si fonda su alcuni principi. Il primo è che esiste una “noità”, un essere a due e che questo “noi” deve poter funzionare, vicendevolmente.
Secondo la psicologa Grazia Attili le relazioni che funzionano si reggono su due presupposti che intervengono già nella fase di scelta del partner: la similitudine e/o la complementarietà. Ciò significa che non è importante trovare un fidanzato, è importante sapere chi e cosa si sta scegliendo, poiché ne va del proprio benessere e futuro.
Un secondo principio fondante le relazioni d’amore è quello della libertà. «Se ami qualcuno lascialo libero» recita una massima. Un’altra afferma: «Il contrario dell’amore non è l’odio, è il possesso».  In entrambe si ribadisce il ruolo importante che hanno l’azione dello “scegliere” e del lasciar andare.
Certo ci vuole tempo per digerire l’accaduto e per comprendere il vero senso di questo distacco.
Forse può aiutare pensare che nulla viene per nuocere. Piuttosto dal modo come si reagisce all’accaduto si possono scoprire nuovi aspetti di sé, alcuni da mettere in discussione, altri di cui essere fieri. Le relazioni non si chiudono solo perché non si è quella giusta per l’altro, ma anche perché l’altro non è quello giusto per te e viceversa.
Invece di vittimizzarsi per la “perdita subita”, occorrerebbe spostare l’asse su “cosa non ha funzionato?” Così facendo ci si sposta da un “non vado bene” alla comprensione delle differenze caratteriali e del ruolo che giocano, alla consapevolezza di non essersi incontrati nel tempo giusto (differenti livelli di maturità affettiva), o di avere una visione della vita e della progettualità che trova pochi o nulli punti di comunione.
Cosa si può apprendere da una delusione d’amore? Nulla se guardiamo alle cause esterne: “sono sempre sfortunato”, “capitano tutte a me”, “li incontro sempre tutti io quelli strani”. E nemmeno se ci si addossa tutte le colpe. Molto se ci si concentra su di sé e si cerca di essere obiettivi con sé stessi, di fare un bilancio del tipo: ho espresso il meglio di me? Ho ricercato la verità della relazione bandendo i sotterfugi? Che tipo di idea ho perseguito: una persona che colmasse la mia solitudine o insicurezza, un modello che mi facesse fare bella figura o una persona con pregi e difetti con la quale crescere, confrontarmi e progettare?
La risposta a queste domande rivela qualcosa di sé, del modo come si sceglie e della direzione verso cui le scelte orientano. Nel prossimo articolo vedremo come superare una delusione d’amore.

Dr.ssa Antonella Ritacco

Fonte Città Nuova  

19.7.19

La chiusura di una relazione (Parte I)





Come può essere vissuta e superata la chiusura di un rapporto da parte di chi decide e di chi deve prendere atto della situazione.



Decidere di chiudere una relazione è una scelta importante. Se la decisione non è unanime assumerne o portarne il peso può essere gravoso. Inoltre ci sono motivi e modi diversi per porre fine ad una relazione d’amore. Essi dipendono dalla maturità affettiva dei partner e dalle loro modalità caratteriali, dalla profondità relazionale che i due avevano stabilito, dalla durata della relazione e dagli investimenti emotivi e di pensiero che su di essa erano stati riversati.
A riguardo, un aspetto non di poco conto è se la relazione ha seguito quei passaggi che possono far ritenere che effettivamente ci si è spesi per quella relazione e nonostante ciò essa non ha funzionato perché mancano le basi per una intesa comune, oppure se la decisione è presa sulla base di principi ritenuti importanti e che entrano in conflitto con il sentimento che si prova per l’altro.
In questo e nei prossimi articoli tratterò di come può essere vissuta la chiusura sia da parte di chi decide, sia di chi deve prendere atto della situazione, sia di come superare questa fase.
Chiudere una relazione non è mai indolore, anche quando apparentemente la persona sembra reagire bene, molti dei meccanismi che si attuano per sopravvivere emozionalmente al dolore hanno a che fare con la “fuga dal pensiero”. Si decide di investire tempo, energie ed interesse in attività che tengano occupati, cosicché lo spazio per i vissuti emotivi ed i ricordi è limitato. Si tratta di un comportamento del tutto sano e usuale purché non si finisca per annullarsi ed essere strapieno di impegni per non pensare e non provare emozioni. Un campanello d’allarme può essere il temere il tempo libero, temendo che le emozioni tornino a incombere.
È importante darsi il tempo per esprimere le proprie emozioni e pensieri, accogliere i propri sbalzi d’umore, avere del tempo per sé stessi e per comprendere ed elaborare quanto è accaduto. Il confronto con gli altri va bene ma è necessario anche saper dosare e mettere dei confini chiari quando non si ha voglia di parlarne ancora.
L’oscillazione emozionale è piuttosto comune nelle prime settimane dopo la chiusura di una relazione profonda o vissuta con intensità e possono perdurare anche per alcuni mesi. Se invece la relazione era agli esordi o non si era stabilito un rapporto profondo, è possibile supporre che il dolore che si prova abbia a che fare con l’idealizzazione della relazione oppure ad un livello più personale con una possibile ferita narcisistica che comporta un vissuto di fallimento.
Imparare a tollerare l’assenza dell’altro. In questo tempo di passaggio è naturale che si rievochino i ricordi e tra essi sia quelli brutti che quelli belli. Ricordarli entrambi è indice dell’importanza che la persona ha avuto nella propria vita, che si riesce a guardare alla relazione con una certa obiettività e che dunque si può ritenere di aver preso una decisione congruente con sé stessi.
Stoppare pensieri rimuginanti ove presenti. Quando si crea un rimuginio, esso nasconde in genere un’emozione o un bisogno non ancora svelato che sta cercando un modo per essere espresso. La mente ritorna sull’accaduto nel tentativo di chiudere un cerchio, di portare qualcosa a compimento. Può essere che la persona stia cercando ancora di comprendere come gestire il conflitto che si è creato tra un principio da salvaguardare ed il sentimento che prova verso l’altro oppure che sta cercando di fare chiarezza ancora su tutti i motivi che l’hanno condotta a prendere quella decisione.
Anche l’autorimprovero rientra nei pensieri rimuginanti. Le persone dovrebbero ricordare che ciascuno fa ciò che può con le capacità che ha nel preciso momento in cui si trova a vivere quella determinata situazione. Il dopo è un altro tempo ed è naturale vedere le cose con maggiore chiarezza “col senno di poi”. In realtà l’unica occasione che abbiamo da vivere è il tempo presente.
Lasciarsi sostenere nell’apprendere a gestire le proprie emozioni, può non essere sempre facile da accettare sebbene aiuta a recuperare più velocemente un proprio equilibrio. A qualunque figura ci si rivolga, un familiare, un amico o un professionista, la persona dovrebbe imparare a darsi perdono, mollare l’autocontrollo sulle proprie emozioni e ad essere meno perfezionista.
Inoltre sarebbe da tenere sempre presente che se si ravvedono motivi per cui la relazione non funziona, questi hanno la priorità di attenzione rispetto al bisogno/desiderio di essere in coppia.
La relazione ha bisogno di basi solide per poter funzionare nel tempo e la fase del fidanzamento è il momento giusto per sondarle. Pertanto, può essere importante, nei momenti di calo dell’umore, ricordarsi i motivi per cui ci si è separati e cosa veramente si cerca e si vuole da una relazione. Questo non toglie il dolore per l’assenza dell’altro, né valore alle caratteristiche che egli ha, aiuta invece ad autosostenersi nel cammino verso una più chiara definizione di ciò che si è e ciò che si vuole.

Dr.ssa Antonella Ritacco



Fonte Città Nuova


4.7.19

Genitore e single




Prendersi dei momenti di riflessione personali perché la maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati.


I motivi per cui ci si ritrova ad essere genitori single possono essere i più svariati. Come per ogni cosa, esistono motivazioni ufficiali, quelle che vanno bene per tutti e ci sono motivazioni più intime e profonde, per nulla immediate, che solo gli interessati possono col tempo arrivare a comprendere.
Qualunque sia la situazione che conduce a crescere un figlio da soli, essa non è mai priva di sfide e di dolori bensì è di una costante rimessa in discussione di sé.
Sono sempre possibili cicliche rivalutazioni della scelta intrapresa o ricordi dei vissuti legati a come essa è avvenuta; si palesano gli effetti sulla relazione con i figli sia per chi è presente sia per chi li vede a ondate; si impongono le difficoltà della vita quotidiana e dei suoi costi, ove a volte anche i beni necessari come un tetto sulla testa diventano proibitivi. La propria ed altrui vita viene rivoluzionata. Come si trasformano le emozioni verso il precedente partner, come si reagisce ai tentativi di riavvicinamento, o quali possono essere i riflessi emozionali davanti alle richieste e velate minacce dei figli che cercano di estorcere un riavvicinamento? Come e quando sono stati innalzati i muri, e dove è iniziato il punto di non ritorno sulle proprie decisioni?
Ogni cuore ha certamente le sue ragioni. Quando si è in interazione con l’altro non è facile comprendere quale parte della persona si attiva, la relazione viene vissuta, non tanto meditata. Per questo è importante prendersi dei momenti di riflessione personale e di coppia per capire cosa succede e come si può attimo per attimo interagire e dialogare.
La maggior parte delle recriminazioni partono dal non sentirsi capiti, rispettati, supportati,ma questo è molto probabile che sia anche il vissuto speculare del proprio partner. Oppure ci si accusa di non valere o fare mai abbastanza, come nei casi in cui si sta amando l’altro ma non nel modo come lui ne avrebbe bisogno.
Il nostro mondo interno è variopinto e non ragiona ma associa. È facile dunque che alcune situazioni ne richiamino altre e senza che la persona se ne accorga si attivino i retaggi di vecchie ferite mai rimarginate del tutto. Se in quei momenti non si è in grado di riconoscere quanto sta avvenendo si genera confusione su sentimenti passati e situazioni attuali.
Per questi motivi prima di chiudere una relazione e prima di iniziarne una nuova è necessario avere chiaro cosa non ha funzionato e quale è la propria parte di responsabilità, quali campanelli d’allarme non sono stati ascoltati e avrebbero dovuto esserlo. Non ha senso ragionare su i “se” ed i “ma”, ha senso imparare a non ripetere gli stessi errori.
Un riavvicinamento è sempre possibile ma chiaramente solo se sono state elaborate e superate le cause che hanno portato alla precedente rottura esso potrà condurre ad esiti diversi.
Con le emozioni non risolte interferiscono anche le continue sollecitazioni, provocazioni o minacce dei figli che chiedono la vicinanza affettiva e fisica dell’altro genitore, che non comprendono i motivi dei “grandi” e che per ottenere i loro tornaconti molto spesso attivano sofisticate strategie di triangolazione.
Rimanere genitore neutro e intellettualmente onesto può non essere sempre facile. Occorre consapevolezza delle proprie decisioni e prontezza nell’assumersene gli effetti, ed avere chiari i limiti ed i confini del ruolo educativo per fare pienamente la propria parte e lasciare spazio all’altro genitore per come egli può esser presente.
Il muro che porta i due ad allontanarsi si costruisce mattoncino dopo mattoncino ogni giorno. Ci si sveglia un giorno che è già finito. Il tragico non è a mio avviso che il muro ora sia lì. Il tragico è che non si sappia neppure come è stato costruito, che si manchi della necessaria comprensione di come si è arrivati a quel punto senza la quale non si può intervenire. È per questo motivo che ritengo che oggi i percorsi di “alfabetizzazione all’amore” siano un abc importantissimo della relazione affettiva adulta e che le coppie dovrebbero rimanere in formazione continua. Due naturali conseguenze sono: la paura per le successive relazioni ed i copioni ripetitivi attraverso i quali si ricercano sempre gli stessi tipi di partner a conferma che «tutti gli uomini/ tutte le donne sono così» ed al fine di non cambiare nulla di sé.
Inoltre se non è facile essere genitore unico, non lo è neppure conciliare con esso il proprio ruolo di donna o di uomo.
Concludo con alcuni interrogativi aperti su cui ritengo sia necessario continuare a riflettere attentamente. Che fine fanno il maschile ed il femminile che c’è in ogni essere umano, in che modo trovano ancora spazio di espressione? Come fare in modo che questi cambiamenti non interferiscano con una nuova dimensione di sé né con il naturale processo di identificazione sessuale che si sviluppa tra genitori e figli? E quando l’altro genitore è veramente assente, chi può supplire alla mancanza della sua figura?

Dr.ssa Antonella Ritacco


Per visualizzare l'articolo pubblicato su Città Nuova on line, nella rubrica #Noidue, clicca sul link qui sotto.
https://www.cittanuova.it/genitore-e-single/ 

27.6.19

Emozionarsi, senza paura




Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose, eppure sono indispensabili alla nostra vita e per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.


L’emozione è l’espressione di un messaggio che il corpo rimanda. Essa origina in primis nel nostro cervello, dove in risposta ad uno stimolo, interno o esterno, ed alla sua elaborazione si genera un pensiero ed un’attribuzione di senso. Essa porta con sé un messaggio cifrato che mediante l’accompagnamento dell’adulto e l’educazione emotivo-affettiva, sin dall’infanzia possiamo imparare a riconoscere e comprendere sia nelle manifestazioni che nel significato. Il tipo di educazione emotivo-affettiva che si riceve non è l’unica spiegazione del perché le persone hanno rapporti diversi con le emozioni: questi dipendono anche dal personale grado di maturazione raggiunto che è differente in base all’età e all’esperienza.
Sappiamo che alcune emozioni sono universali e vengono vissute allo stesso modo in tutte le culture. Alle prime appartengono tutte le emozioni primarie, approfondite anche nel kit del giornalino Big “Grandi emozioni a piccoli passi“. Sono: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresaTra le emozioni secondarie troviamo ansia, allegria, vergogna, senso di colpa, gelosia, nostalgia, rassegnazione, rimorso, offesa, delusione.
Pregiudizi sulle emozioni
Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose
. Ad esempio la rabbia, il disgusto, la paura, l’ansia, la vergogna, il senso di colpa vengono sovente collegate con una possibile perdita di controllo e con una cattiva immagine di sé. Eppure senza di loro ci rassegneremmo alle ingiustizie, resteremmo esposti al macabro, trascureremmo i pericoli, non avremmo segnali per capire quanto per noi quello che sta per accadere è importante, non metteremmo limiti all’indecenza, né saremmo consapevoli dell’entità degli effetti del nostro comportamento. Queste emozioni sono scomode poiché mettono in discussione, invitano a scoprire e riconoscere i propri limiti al fine di superarli.
Senza una sufficiente familiarità con esse si può esserne spaventatiÈ l’esperienza di quanti provano ansia generalizzata. Essi avvertono una serie di reazioni psicocorporee a cui non riescono ad attribuire né significato né connessioni logiche con la loro esperienza. Non essendoci comprensione né accoglienza di quanto accade, le reazioni si amplificano e la persona, non sapendo come comportarsi, ne è spaventata.
In generale si crede di dover mostrare solo alcuni tipi emozioni al fine di dare un’immagine di sé coerente, senza considerare che così facendo si propone un’immagine statica di sé e ci si costringe a non provarne molte altre che sarebbero invece coerenti con le situazioni contestuali. In questi casi il mondo affettivo-emozionale della persona diviene gradualmente sempre più ristretto e coartato.
Le emozioni ci attendono
Se è vero che esse si apprendono sin da piccoli è anche vero che affinché l’adulto accudente possa trasmettere la capacità di riconoscerle e gestirle è necessario che a sua volta l’abbia appreso. Imparare a familiarizzare con le emozioni anche da adulti si può. Esistono training sulla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di una intelligenza emotiva che servono proprio a questo.
Le emozioni sono basilari in tutti i contesti in cui viviamo e gli studi sull’intelligenza emotiva confermano l’importante ruolo che esse svolgono nelle interazioni e nel lavoro. Senza di esse la relazionalità e la salute mentale sarebbero minacciate e con esse anche molte altre forme di interazione con il mondo circostante.
Se da un lato le emozioni possono rappresentare una sfida, al contempo sono una grande risorsa per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.
Dr.ssa Antonella Ritacco

Fonte Città Nuova  

6.6.19

Il gioco di equilibri in famiglia



La costruzione e gestione delle relazioni nei nuclei familiari è un allenamento che dura tutta la vita. Servono maturità personale, capacità di ascolto, empatia e piccole regole di buona comunicazione

Ci sono rapporti con le famiglie di provenienza che rendono felici, in cui ciascuno ha spazi personali, può gustare del tempo insieme, andare e ritornare per un senso del piacere, per il desiderio di rivedersi. Questo modello di famiglia non è privo di conflitti, ma nel riconoscimento delle reciproche individualità trova le modalità per farvi fronte.
Accanto a questo prototipo di famiglia si può tracciare un altro profilo, quello delle famiglie in cui le tensioni si respirano, i contrasti sono all’ordine del giorno, gli spazi personali sono invasi o tenuti nascosti, gli allontanamenti sono vissuti come abbandoni e i ritorni sono accompagnati da recriminazioni. In queste circostanze lo svincolo dalla famiglia può essere molto doloroso oppure ostacolato.
Si tratta in genere di situazioni in cui i “non detti” sono utilizzati come minaccia, le situazioni irrisolte sono pesi da addossare agli altri, le frustrazioni personali sono intollerabili. Da un lato si desidererebbe disfarsene ma dall’altra sono essenziali per tenere agganciate le persone, motivare e rafforzare attacchi e rimproveri. Al fine di ottenere un alleggerimento emotivo, la persona utilizza le “scariche emozionali” sotto forma di attacchi, rimproveri, recriminazioni e conflitti. La richiesta di attenzioni non è mai diretta, mentre le attese sul comportamento dell’altro sono alte.
La sofferenza che provano queste persone è grande, così come grande è la loro fragilità interna eppure difficilmente chiedono o accettano un aiuto professionale. L’assenza di riconoscimento e confini personali genera e protrae confusione.
La famiglia non è un’isola. I suoi membri interagiscono costantemente l’un con l’altro e con il mondo esterno. Quando la relazione con uno o più congiunti è difficile, le persone cercano per prima cosa un accomodamento che permetta loro di sopravvivere emotivamente in quel contesto. Quando i conflitti aumentano e seguono un copione conflittuale ripetitivo, le persone per proteggersi utilizzano altre vie: in genere l’isolamento o l’esclusione.
Nell’isolamento la coppia si chiude in sé stessa e limita i contatti con tutti. In questo modo le intrusioni tanto temute non possono più rappresentare un pericolo. Questo isolamento, nel medio e lungo periodo, può creare complicazioni a vari livelli di cui non tratteremo in questa sede.
Nell’esclusione ci si allontana solo da quelle persone che i cui comportamenti sono ritenuti troppo invasivi, lesivi e minacciosi per la stabilità interna della persona e della coppia. Questa scelta può essere considerata definitiva oppure temporanea solo fino a che i comportamenti incriminati non cambiano.
Troppo spesso si tende a dimenticare che ciò che crea un ostacolo non è la persona in sé ma il suo comportamento. Esso ha cause ed origini ma per quanta comprensione si possa avere verso la persona e la sua storia, ciò non toglie che tale modo di fare resta un comportamento problematico che genera soprattutto nella cerchia familiare non poche difficoltà.
Qualunque scelta si prenda, essa è in genere il risultato di una valutazione delle proprie forze (come individuo o come coppia) e capacità del momento di intervenire sulla situazione, di conviverci o di fronteggiarla. Essa è anche in relazione: con la valutazione della consapevolezza che la persona ha del suo comportamento e degli effetti che esso produce, e con la previsione di possibili cambiamenti.
Per chi sente il bisogno di dover prendere distanza da questo tipo di contesto è importante aver presenti quali sono le emozioni che lo accompagneranno (ad es. dolore, rabbia e senso di colpa) e qual è la loro funzione. Una nota speciale merita il senso di colpa. Esso ha una doppia funzione: da un lato serve a mantenere la vicinanza, cosicché nessun cambiamento è possibile, dall’altro è segnale della rabbia interna che in genere i figli o il partner provano per non riuscire ad attuarne uno.
Per chi viene arginato. Queste persone dovrebbero imparare a stabilire connessioni tra le proprie emozioni, pensieri, comportamenti e conseguenze. Affinché ciò sia possibile dovrebbero: smettere di giudicare e giudicarsi, concedere e concedersi permessi esistenziali, e imparare sia a chiedere che ad accettare.
Imparare a gestire la giusta distanza dalle famiglie d’origine richiede consapevolezza, chiarezza e fermezza. Si tratta di un allenamento che dura nel tempo. Ma in casi come questo e con le emozioni sopracitate addosso, questo processo richiede un’attenzione ancora più speciale per evitare che troppo velocemente si reputi l’esclusione definitiva della persona come l’unica e sbrigativa soluzione. Riuscire a comunicare il bene che si vuole alla persona nonostante il dolore e la rabbia che arrecano i comportamenti può non essere facile, tuttavia è importante per restituire a chi si sente ferito da una reazione, un senso integrale di sé.

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10.5.19

Imparare a volersi bene



Se non si è capaci di prendersi cura di sé stessi e di apprezzarsi non si può neanche riuscire bene a dare attenzione e amore agli altri.

Nella ricerca del partner non sempre tutto scorre liscio. In alcuni casi si può arrivare anche a perdere la fiducia in sé o nell’altro, ad arrabbiarsi o addirittura a rassegnarsi di fronte alle situazioni che non cambiano. In questo groviglio di sofferenza la persona rischia di trascinarsi per anni. Impossibilitata a uscire fuori da un circolo vizioso che parla di alcune ferite aperte e mai del tutto sanate, perché troppo dolorose da curare. La si ascolta parlare dunque in modo rassegnato su come vanno o sono andate le cose nella sua vita, ora arrabbiata verso sé stessa, ora verso l’altro, ora verso la vita stessa.
Queste persone hanno in genere delle consapevolezze a metà, mancano cioè delle dovute connessioni l’una con l’altra. Ci sono dei processi che la nostra mente a volte opera per tutelarci da verità ritenute troppo dolorose per l’equilibrio emotivo e la stabilità interna della persona. Per questo motivo al posto delle connessioni logiche, che darebbero senso e permetterebbero di superare questi blocchi proprio attraverso l’attraversamento del dolore, si vengono a formare delle deduzioni spesso illogiche che però hanno una parvenza di verità nella mente dell’interessato.
Durante una conferenza per single una donna di circa 45 anni si interrogava rassegnata su che senso potesse avere alla sua età mettersi in discussione, affrontare un lavoro terapeutico. Il suo punto di osservazione partiva dal fatto che riteneva già chiusa la possibilità di una relazione e di una famiglia. Con rabbia raccontava dei rimandi negativi avuti da più parti nella sua vita. Si poteva percepire nelle sue parole un dolore profondo, una rabbia ed una rassegnazione.
Il dolore profondo è legittimo. L’umanità ferita grida dentro ciascuno quando sente che non gli viene resa giustizia e non essere rispettati per ciò che si è, ma valutati per ciò che si fa, arreca dolore. Umano è anche voler tacere questo dolore, così come può accadere di provarne vergogna sentendosi inadeguati. Umano è il tentativo di cercare di nasconderlo agli occhi ed al cuore e di far finta di nulla per sopravvivere. Umano, ma non logico! Perchè senza dolore nessun bruco diventa farfalla, non c’è nascita né vita, non c’è crescita, non c’è sviluppo interiore.
La rabbia è energia vitalefinché c’è rabbia nelle persone c’è anche una speranza. È quando la rabbia diventa distruttiva che la persona perde il lume della ragione e l’energia vitale che le sottostà non può svolgere la sua azione. Ove c’è rabbia c’è un bisogno o un diritto leso. Imparare ad ascoltare questa rabbia alleggerisce tensioni muscolari, alleggerisce la mente ed i pensieri, permette di prendersi il tempo per riflettere e comprendere non solo da dove essa origini, ma come occuparsene.
La rassegnazione è misura ed indice della resa e perdita di speranza di fronte al pensiero “non c’è nulla che si possa fare”. Più essa è grande più si è vicini alla l’ultimo stadio prima di gettare la spugna ed arrendersi ad una vita che sovrasta. Ma è proprio vero che non ci sia nulla da fare?Molte volte ci si arrende senza neppure provare. La paura di misurarsi con una situazione, l’inesperienza nell’utilizzare le proprie competenze, la difficoltà a volte di riconoscersele, il pregiudizio di dovercela fare da soli e la conseguente difficoltà a chiedere aiuto fanno sì che si sovrastimi la reale entità della situazione e si disconoscano le risorse disponibili, quelle proprie e dell’ambiente circostante.
Raggiungere una nuova visione di sé come persona degna, implica un risveglio emotivo verso la propria persona e di imparare a guardarsi con occhi nuovi. Innamorarsi di sé è un atteggiamento, è una nuova primavera dei sensi che consta in piccole accortezze: dal fare cose belle e buone per sé stessi che restituiscano un senso di valore alla propria persona, al trattarsi bene, ad esempio curando il proprio aspetto o il proprio ambiente senza alcuno scopo specifico.
Riacquistato questo amore verso sé stessi, si può meglio amare anche l’altro. D’altronde il presupposto per amare è e resta “Ama l’altro come te stesso”, che indica chiaramente come senza prima un amore a sé, l’amore all’altro non ha una struttura, un modello a cui riferirsi.

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