27.6.19

Emozionarsi, senza paura




Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose, eppure sono indispensabili alla nostra vita e per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.


L’emozione è l’espressione di un messaggio che il corpo rimanda. Essa origina in primis nel nostro cervello, dove in risposta ad uno stimolo, interno o esterno, ed alla sua elaborazione si genera un pensiero ed un’attribuzione di senso. Essa porta con sé un messaggio cifrato che mediante l’accompagnamento dell’adulto e l’educazione emotivo-affettiva, sin dall’infanzia possiamo imparare a riconoscere e comprendere sia nelle manifestazioni che nel significato. Il tipo di educazione emotivo-affettiva che si riceve non è l’unica spiegazione del perché le persone hanno rapporti diversi con le emozioni: questi dipendono anche dal personale grado di maturazione raggiunto che è differente in base all’età e all’esperienza.
Sappiamo che alcune emozioni sono universali e vengono vissute allo stesso modo in tutte le culture. Alle prime appartengono tutte le emozioni primarie, approfondite anche nel kit del giornalino Big “Grandi emozioni a piccoli passi“. Sono: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresaTra le emozioni secondarie troviamo ansia, allegria, vergogna, senso di colpa, gelosia, nostalgia, rassegnazione, rimorso, offesa, delusione.
Pregiudizi sulle emozioni
Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose
. Ad esempio la rabbia, il disgusto, la paura, l’ansia, la vergogna, il senso di colpa vengono sovente collegate con una possibile perdita di controllo e con una cattiva immagine di sé. Eppure senza di loro ci rassegneremmo alle ingiustizie, resteremmo esposti al macabro, trascureremmo i pericoli, non avremmo segnali per capire quanto per noi quello che sta per accadere è importante, non metteremmo limiti all’indecenza, né saremmo consapevoli dell’entità degli effetti del nostro comportamento. Queste emozioni sono scomode poiché mettono in discussione, invitano a scoprire e riconoscere i propri limiti al fine di superarli.
Senza una sufficiente familiarità con esse si può esserne spaventatiÈ l’esperienza di quanti provano ansia generalizzata. Essi avvertono una serie di reazioni psicocorporee a cui non riescono ad attribuire né significato né connessioni logiche con la loro esperienza. Non essendoci comprensione né accoglienza di quanto accade, le reazioni si amplificano e la persona, non sapendo come comportarsi, ne è spaventata.
In generale si crede di dover mostrare solo alcuni tipi emozioni al fine di dare un’immagine di sé coerente, senza considerare che così facendo si propone un’immagine statica di sé e ci si costringe a non provarne molte altre che sarebbero invece coerenti con le situazioni contestuali. In questi casi il mondo affettivo-emozionale della persona diviene gradualmente sempre più ristretto e coartato.
Le emozioni ci attendono
Se è vero che esse si apprendono sin da piccoli è anche vero che affinché l’adulto accudente possa trasmettere la capacità di riconoscerle e gestirle è necessario che a sua volta l’abbia appreso. Imparare a familiarizzare con le emozioni anche da adulti si può. Esistono training sulla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di una intelligenza emotiva che servono proprio a questo.
Le emozioni sono basilari in tutti i contesti in cui viviamo e gli studi sull’intelligenza emotiva confermano l’importante ruolo che esse svolgono nelle interazioni e nel lavoro. Senza di esse la relazionalità e la salute mentale sarebbero minacciate e con esse anche molte altre forme di interazione con il mondo circostante.
Se da un lato le emozioni possono rappresentare una sfida, al contempo sono una grande risorsa per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.
Dr.ssa Antonella Ritacco

Fonte Città Nuova  

6.6.19

Il gioco di equilibri in famiglia



La costruzione e gestione delle relazioni nei nuclei familiari è un allenamento che dura tutta la vita. Servono maturità personale, capacità di ascolto, empatia e piccole regole di buona comunicazione

Ci sono rapporti con le famiglie di provenienza che rendono felici, in cui ciascuno ha spazi personali, può gustare del tempo insieme, andare e ritornare per un senso del piacere, per il desiderio di rivedersi. Questo modello di famiglia non è privo di conflitti, ma nel riconoscimento delle reciproche individualità trova le modalità per farvi fronte.
Accanto a questo prototipo di famiglia si può tracciare un altro profilo, quello delle famiglie in cui le tensioni si respirano, i contrasti sono all’ordine del giorno, gli spazi personali sono invasi o tenuti nascosti, gli allontanamenti sono vissuti come abbandoni e i ritorni sono accompagnati da recriminazioni. In queste circostanze lo svincolo dalla famiglia può essere molto doloroso oppure ostacolato.
Si tratta in genere di situazioni in cui i “non detti” sono utilizzati come minaccia, le situazioni irrisolte sono pesi da addossare agli altri, le frustrazioni personali sono intollerabili. Da un lato si desidererebbe disfarsene ma dall’altra sono essenziali per tenere agganciate le persone, motivare e rafforzare attacchi e rimproveri. Al fine di ottenere un alleggerimento emotivo, la persona utilizza le “scariche emozionali” sotto forma di attacchi, rimproveri, recriminazioni e conflitti. La richiesta di attenzioni non è mai diretta, mentre le attese sul comportamento dell’altro sono alte.
La sofferenza che provano queste persone è grande, così come grande è la loro fragilità interna eppure difficilmente chiedono o accettano un aiuto professionale. L’assenza di riconoscimento e confini personali genera e protrae confusione.
La famiglia non è un’isola. I suoi membri interagiscono costantemente l’un con l’altro e con il mondo esterno. Quando la relazione con uno o più congiunti è difficile, le persone cercano per prima cosa un accomodamento che permetta loro di sopravvivere emotivamente in quel contesto. Quando i conflitti aumentano e seguono un copione conflittuale ripetitivo, le persone per proteggersi utilizzano altre vie: in genere l’isolamento o l’esclusione.
Nell’isolamento la coppia si chiude in sé stessa e limita i contatti con tutti. In questo modo le intrusioni tanto temute non possono più rappresentare un pericolo. Questo isolamento, nel medio e lungo periodo, può creare complicazioni a vari livelli di cui non tratteremo in questa sede.
Nell’esclusione ci si allontana solo da quelle persone che i cui comportamenti sono ritenuti troppo invasivi, lesivi e minacciosi per la stabilità interna della persona e della coppia. Questa scelta può essere considerata definitiva oppure temporanea solo fino a che i comportamenti incriminati non cambiano.
Troppo spesso si tende a dimenticare che ciò che crea un ostacolo non è la persona in sé ma il suo comportamento. Esso ha cause ed origini ma per quanta comprensione si possa avere verso la persona e la sua storia, ciò non toglie che tale modo di fare resta un comportamento problematico che genera soprattutto nella cerchia familiare non poche difficoltà.
Qualunque scelta si prenda, essa è in genere il risultato di una valutazione delle proprie forze (come individuo o come coppia) e capacità del momento di intervenire sulla situazione, di conviverci o di fronteggiarla. Essa è anche in relazione: con la valutazione della consapevolezza che la persona ha del suo comportamento e degli effetti che esso produce, e con la previsione di possibili cambiamenti.
Per chi sente il bisogno di dover prendere distanza da questo tipo di contesto è importante aver presenti quali sono le emozioni che lo accompagneranno (ad es. dolore, rabbia e senso di colpa) e qual è la loro funzione. Una nota speciale merita il senso di colpa. Esso ha una doppia funzione: da un lato serve a mantenere la vicinanza, cosicché nessun cambiamento è possibile, dall’altro è segnale della rabbia interna che in genere i figli o il partner provano per non riuscire ad attuarne uno.
Per chi viene arginato. Queste persone dovrebbero imparare a stabilire connessioni tra le proprie emozioni, pensieri, comportamenti e conseguenze. Affinché ciò sia possibile dovrebbero: smettere di giudicare e giudicarsi, concedere e concedersi permessi esistenziali, e imparare sia a chiedere che ad accettare.
Imparare a gestire la giusta distanza dalle famiglie d’origine richiede consapevolezza, chiarezza e fermezza. Si tratta di un allenamento che dura nel tempo. Ma in casi come questo e con le emozioni sopracitate addosso, questo processo richiede un’attenzione ancora più speciale per evitare che troppo velocemente si reputi l’esclusione definitiva della persona come l’unica e sbrigativa soluzione. Riuscire a comunicare il bene che si vuole alla persona nonostante il dolore e la rabbia che arrecano i comportamenti può non essere facile, tuttavia è importante per restituire a chi si sente ferito da una reazione, un senso integrale di sé.

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10.5.19

Imparare a volersi bene



Se non si è capaci di prendersi cura di sé stessi e di apprezzarsi non si può neanche riuscire bene a dare attenzione e amore agli altri.

Nella ricerca del partner non sempre tutto scorre liscio. In alcuni casi si può arrivare anche a perdere la fiducia in sé o nell’altro, ad arrabbiarsi o addirittura a rassegnarsi di fronte alle situazioni che non cambiano. In questo groviglio di sofferenza la persona rischia di trascinarsi per anni. Impossibilitata a uscire fuori da un circolo vizioso che parla di alcune ferite aperte e mai del tutto sanate, perché troppo dolorose da curare. La si ascolta parlare dunque in modo rassegnato su come vanno o sono andate le cose nella sua vita, ora arrabbiata verso sé stessa, ora verso l’altro, ora verso la vita stessa.
Queste persone hanno in genere delle consapevolezze a metà, mancano cioè delle dovute connessioni l’una con l’altra. Ci sono dei processi che la nostra mente a volte opera per tutelarci da verità ritenute troppo dolorose per l’equilibrio emotivo e la stabilità interna della persona. Per questo motivo al posto delle connessioni logiche, che darebbero senso e permetterebbero di superare questi blocchi proprio attraverso l’attraversamento del dolore, si vengono a formare delle deduzioni spesso illogiche che però hanno una parvenza di verità nella mente dell’interessato.
Durante una conferenza per single una donna di circa 45 anni si interrogava rassegnata su che senso potesse avere alla sua età mettersi in discussione, affrontare un lavoro terapeutico. Il suo punto di osservazione partiva dal fatto che riteneva già chiusa la possibilità di una relazione e di una famiglia. Con rabbia raccontava dei rimandi negativi avuti da più parti nella sua vita. Si poteva percepire nelle sue parole un dolore profondo, una rabbia ed una rassegnazione.
Il dolore profondo è legittimo. L’umanità ferita grida dentro ciascuno quando sente che non gli viene resa giustizia e non essere rispettati per ciò che si è, ma valutati per ciò che si fa, arreca dolore. Umano è anche voler tacere questo dolore, così come può accadere di provarne vergogna sentendosi inadeguati. Umano è il tentativo di cercare di nasconderlo agli occhi ed al cuore e di far finta di nulla per sopravvivere. Umano, ma non logico! Perchè senza dolore nessun bruco diventa farfalla, non c’è nascita né vita, non c’è crescita, non c’è sviluppo interiore.
La rabbia è energia vitalefinché c’è rabbia nelle persone c’è anche una speranza. È quando la rabbia diventa distruttiva che la persona perde il lume della ragione e l’energia vitale che le sottostà non può svolgere la sua azione. Ove c’è rabbia c’è un bisogno o un diritto leso. Imparare ad ascoltare questa rabbia alleggerisce tensioni muscolari, alleggerisce la mente ed i pensieri, permette di prendersi il tempo per riflettere e comprendere non solo da dove essa origini, ma come occuparsene.
La rassegnazione è misura ed indice della resa e perdita di speranza di fronte al pensiero “non c’è nulla che si possa fare”. Più essa è grande più si è vicini alla l’ultimo stadio prima di gettare la spugna ed arrendersi ad una vita che sovrasta. Ma è proprio vero che non ci sia nulla da fare?Molte volte ci si arrende senza neppure provare. La paura di misurarsi con una situazione, l’inesperienza nell’utilizzare le proprie competenze, la difficoltà a volte di riconoscersele, il pregiudizio di dovercela fare da soli e la conseguente difficoltà a chiedere aiuto fanno sì che si sovrastimi la reale entità della situazione e si disconoscano le risorse disponibili, quelle proprie e dell’ambiente circostante.
Raggiungere una nuova visione di sé come persona degna, implica un risveglio emotivo verso la propria persona e di imparare a guardarsi con occhi nuovi. Innamorarsi di sé è un atteggiamento, è una nuova primavera dei sensi che consta in piccole accortezze: dal fare cose belle e buone per sé stessi che restituiscano un senso di valore alla propria persona, al trattarsi bene, ad esempio curando il proprio aspetto o il proprio ambiente senza alcuno scopo specifico.
Riacquistato questo amore verso sé stessi, si può meglio amare anche l’altro. D’altronde il presupposto per amare è e resta “Ama l’altro come te stesso”, che indica chiaramente come senza prima un amore a sé, l’amore all’altro non ha una struttura, un modello a cui riferirsi.

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4.5.19

I 5 linguaggi dell’amore di Gary Chapman



Certe volte amare sembra essere complicato. Le hai provate tutte ma ti sembra che ancora non basti, e quello che fai non viene apprezzato a sufficienza, recriminazioni e rimproveri sono sempre dietro l’angolo e l’altro non vede ciò che fai e quanto ti impegni. Sembra quasi come se tra voi parlaste una lingua diversa.

E se fosse veramente così?
Gary Chapman, consulente familiare e antropologo americano noto per aver identificato, tra gli altrii 5 linguaggi dell’amore spiega che ciascuno ha un serbatoio emozionale e che questo può essere riempito attraverso diverse modalità di comportamento. Ciò che egli notò è che ciascuno dà e sperimenta di ricevere amore in modi differenti. E cioè che un gesto può essere estremamente significativo per qualcuno mentre per qualcun’altro può passare assolutamente inosservato.
Ciascuno utilizza la modalità di espressione che ha imparato e che connota il suo specifico linguaggio d’amore. Se l’altro non parla lo stesso linguaggio si ha la sensazione di “fare fare fare” per l’altro mentre l’altro non se ne accorge neppure con il rischio di arrivare ad esaurire le energie psicofisiche e rimanere senza alcuna gratificazione o risultato. Per questo motivo egli invita i partner a conoscere ed imparare a parlare il linguaggio d’amore dell’altro piuttosto che continuare inconsapevolmente a chiedere all’altro di parlare il proprio con il solo esito di collezionare numerose recriminazioni.
Cosa fare?
Innanzitutto annotare le recriminazioni in merito alle attenzioni non ricevute. Esse, per quanto fastidiose da ascoltare, nascondono una richiesta. Sono un segnale di ciò di cui l’altro ha bisogno e di cui lamenta l’assenza. In secondo luogo osservare cosa il partner fa per voi e di cui probabilmente non vi accorgete (poiché ai vostri occhi non è così importante) ma che è pronto a rinfacciarvi nei momenti di scontro.
Una volta stilate queste due liste siete pronti a confrontare recriminazioni ed osservazioni con i 5 linguaggi dell’amore che Chapman descrive.
Il linguaggio di rassicurazione riguarda tutto ciò che ha a che fare con l’infondere nell’altro un senso di sicurezza, di riconoscimento personale, di stima, il rivolgersi all’altro con parole rispettose e gentili al di là di cosa si debba o voglia comunicare. Il linguaggio dei momenti speciali che riguarda la capacità di prendersi del tempo per stare insieme e dedicarsi l’uno all’altra, come ad esempio essere presenti nei momenti importanti della vita dell’altro o realizzare insieme qualcosa che fa piacere ad uno dei due. Il linguaggio dei gesti di servizio ovvero la disponibilità a fare qualcosa di cui di norma si occupa l’altro, per gentilezza, per alleggerirlo, per fare una sorpresa. e questo indipendentemente da che ci sia o meno una richiesta. Il linguaggio del contatto riguarda il modo di scambiarsi tenerezze ed effusioni a livello fisico, alcune persone sono più tattili di altre e per loro il tocco, la gestualità, lo sguardo profondo, la sessualità sono imprescindibili dalla capacità di sentirsi amati. Il linguaggio dei doni, ovvero la capacità di trasmettere all’altro “tu sei importante per me”, “ti ho pensato” attraverso il dono di sé e del proprio tempo così come attraverso doni materiali.
Cooperare a mantenere il serbatoio emozionale dell’altro sempre pieno o ben equipaggiato è un segno di genuino interesse dell’altro ma anche una misura di prevenzione per i momenti di difficoltà che nella relazione possono sempre verificarsi. L’effetto immediato è di sentirsi inebriati dalla piacevolezza delle emozioni che nella relazione di coppia circolano e questo ha un effetto di rinforzo per entrambi e per la relazione stessa. L’unione la vicinanza possono essere meglio avvertite, non ci sono barriere legate al rancore ed alla recriminazione, la persona si sente non solo amata ma davvero conosciuta e rispettata nella sua intima natura.

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27.4.19

Stanca di essere solo single



Scoprire il proprio essere persona. Col tempo si impara a vivere in maniera equilibrata, con la scoperta del modo di stare nelle relazioni alla pari con gli altri.

Quando una persona è single da lungo tempo, e comincia ad osservare la propria vita, spesso può riconoscere in essa varie tappe. Fasi in cui ha sognato o ricercato più o meno ossessivamente l’amore; fasi in cui si è scoraggiata, arrabbiata o è stata delusa; fasi in cui si è buttata a capofitto nel lavoro dimenticando perfino sé stessa e la propria vita privata; altre volte in cui la voglia di gustarsi la vita è stata così forte da volerla vivere appieno e senza alcun pensiero verso un possibile partner o fasi di rassegnazione.
Nell’avvicendarsi di queste fasi può arrivare anche un tempo in cui la persona non vuole più identificarsi con lo stato di single. Avverte dentro che la dicotomia partner/single gli sta stretta e che il suo essere una persona non dipende dallo status ma dal valore che ella si da e da come decide di vivere la sua vita.
Una paziente formulava così l’interrogativo di questa nuova fase: «Non voglio più identificarmi con lo status di single, né voglio pensare di dover essere “o sposa o single”. Mi chiedo dove inizia e dove finisce il mio essere persona. Non voglio più che il mio lavoro compensi l’assenza di una famiglia, né che ciò che faccio sia qualcosa per coprire un buco. Tutto ciò che facevo fino a qualche tempo fa era in funzione della ricerca di un partner ed il lavoro ne è diventata la compensazione. Ma ora questo mi sta stretto. Rivoglio la mia vita, il tempo per me, per ciò che mi piace. Io esisto e ne ho diritto».
Con questa ritrovata voglia di darsi spazio e valore può accadere che anche le usuali attività o frequentazioni possano risultare desuete. Se ad una attività ad esempio è stata data la specifica funzione di riempire un’assenza, a meno che la persona non scorge in essa un nuovo senso, essa potrebbe essere difficile da continuare a svolgere. Per attribuirvi un nuovo senso, d’altronde, potrebbe essere necessario anche passare attraverso un periodo di sospensione. In genere una pausa permette di verificare che tipo di sentimenti l’assenza genera in sé. Il distacco permette di meglio comprendere se si trattava di un interesse genuino verso quella attività o se invece si trattava di un’attività compensatoria.
Allo stesso modo quando si frequentano persone con le quali sino a quel momento si è cercata complicità per sostenersi a vicenda nella ricerca di un partner, si viene a creare con queste una divergenza rispetto agli scopi del ritrovarsi. Il vecchio obiettivo per uno dei due non è più valido e questa diventa l’occasione per verificare cosa teneva insieme il legame fino ad allora.
L’importanza di questa fase
Che sia solo una fase o che sia la scelta di una nuova quotidianità della persona, questa fase è molto importante per riequilibrare la capacità personale di riconoscere a se stessi ed agli altri il giusto valore, di stabilire un nuovo rapporto con sé stessi, di saper riconoscere e rappresentare i propri diritti. Questa fase generalmente segue altre fasi in cui ci si è messi in disparte, trascurati, posti al secondo piano in maniera stereotipata. Qualche volte si potrebbe anche aver abdicato a qualcun altro la facoltà di assumere decisioni su di sé, posizione per certi versi comoda e facile ma per tanti altri molto sofferente e restrittiva della propria libertà.
Col tempo si impara a riconoscere i propri diritti, dai più piccoli ai più grandi ed a viverli in maniera equilibrata come un bene ineliminabile della propria esistenza. Ciò determina necessariamente un riposizionamento del modo di stare nelle relazioni alla pari con gli altri, sia una acquisizione di libertà interiore nel dialogo con sé stessi e nella valutazione delle proprie scelte. È come se improvvisamente si riacquistasse insieme alla voglia di vivere appieno, anche una maggiore leggerezza.

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20.4.19

Io esisto e ne sono felice!



Cogito ergo sum! Diceva Cartesio ad indicare che dalla consapevolezza di sé origina la possibilità di darsi uno spazio nel mondo

La capacità di pensarsi e di attribuirsi importanza ed esistenza nell’adulto non viene da sé. È una capacità che si acquisisce sin dall’infanzia attraverso la soddisfazione di un bisogno sociorelazionale importante in ogni fase della vita: l’essere visti. Un bambino che è stato e si è sentito “visto” è un bambino che non si sente invisibile. Ciò significa che impara a riconoscere i propri bisogni e le proprie specificità e ha maggiori capacità di riconoscersi una persona degna di valore. Quando questo bisogno viene trascurato, la persona può impiegare lungo tempo prima di riuscire a riconoscerselo. Ne deriva che nelle relazioni che egli vive, costantemente tende a chiedere agli altri conferma di sé e del suo valore o addirittura negarselo in molteplici modi. In questa situazione la persona sperimenta un’immane fatica quotidiana di affermare sé stessa e facilmente rischia di rimanere intrappolata in un “copione” svalutante che si ripete sempre identico a sé stesso anche con persone, luoghi e contesti differenti.
Conquistarsi giorno dopo giorno il diritto di esistere, di essere sé stessi, di dire la propria, la possibilità di chiedere, di scegliere, di prendere ciò che è già suo di diritto possono in taluni casi rappresentare delle sfide. Tutto questo ha molto a che vedere sia con la capacità di essere assertivi sia con l’autostima.
Come superare questi piccoli, medi e grandi ostacoli al diritto di esistere?
  1. È importante per prima cosa riconoscere che nell’età adulta questi diritti negati possono appartenere alla propria costruzione mentale e che dietro di essi non c’è, o non c’è più, un diniego altrui. Questo libera dalla fantasia collerica o punitiva che qualcuno debba avere necessariamente una colpa e permette sia un’assunzione di responsabilità che di avere una funzione attiva nella propria vita. A ciascuno è data, per principio, la capacità e possibilità di pensare, parlare, scegliere, chiedere. Un limite esterno si ha nelle coercizioni, negli altri casi si tratta di limiti interni, di una autoesclusione.
  2. Diventa a questo punto possibile stilare un elenco dei diritti che personalmente non ci si riconosce e di identificare le azioni quotidiane attraverso le quali giorno dopo giorno si può passare da una condizione di “non posso” (divieto) ad un pensiero interno di “posso” (permesso), di “ce la faccio”, fino ad arrivare al “ce l’ho fatta!”.
A cosa fare attenzione? 
Alle ricadute e alle reazioni degli altri.
Le ricadute sono parte del processo, stanno ad indicare che si è in allenamento e che gli schemi vecchi possono ancora interferire con la libera scelta e consapevolezza della persona. Hanno inoltre la funzione di offrire l’occasione di verificare se quanto ci si è proposto è corrispondente alla propria volontà.
La reazione degli altri, di fronte al cambiamento di una persona, può essere di stupore ma anche di freno. In generale quando non si esercitano i propri diritti, si lascia uno spazio libero di cui altri possono usufruire. Chi dunque è abituato ad avere da questo “misconoscimento” maggiori privilegi, prima di comprendere che si tratta di un naturale e giusto riequilibrio, avverte come se questi “privilegi” gli venissero sottratti. Per fare un esempio: un fratello che ha sempre potuto godere delle attenzioni di tutti perché la sorella remissivamente abdicava ad ogni diritto e bisogno cercando di non dare problemi o non emergere, allorquando la sorella comincia a prendere il suo proprio spazio personale e ad affermare la propria identità, potrebbe vedere ristretti i suoi vantaggi ed istintivamente comportarsi come se volesse ostacolarne il progresso. In realtà sta solo cercando di mantenere uno status quo a cui era abituato. L’analogo può accadere anche in altri tipi di relazioni in cui si creano relazioni stereotipate o qualcuno abdica al suo spazio esistenziale.
E naturalmente a ciascuno serve del tempo per orientare il cambiamento, imparare ad utilizzare questi spazi recuperati, saper padroneggiare i propri diritti e volontà ritrovati e raggiungere un nuovo riequilibrio.

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15.4.19

Non solo primi incontri



Incontrando e ascoltando single, ho colto spesso la delusione di vivere tanti primi incontri a cui non seguivano altri inviti. Quali possono essere alcuni dei motivi e come reagire?

Quando dopo un incontro che non prosegue in una frequentazione si sperimenta una delusione, generalmente a monte c’è un’illusione. L’illusione in questo caso si riferisce a un’immaginazione precoce, anzitempo, di qualcosa che la persona vorrebbe si realizzasse e la cui realizzazione viene indebitamente o precocemente attribuita a chi sta dinnanzi. Se si prova a mettersi nei panni dell’altro, si può meglio comprendere come questo può risultare gravoso e ansiogeno. E non perché questo desiderio non debba esistere, capiamoci bene, piuttosto perché ancora nessuno dei due sa se è veramente quella la persona in cui vuole riporlo. Manca ancora da raggiungere il livello di conoscenza tale che può far generare una libera scelta dell’altro. Di conseguenza ciò che più frequentemente si sperimenta è la paura dell’abbandono da una parte, mentre dall’altra la pressione di dover scegliere e appagare un desiderio. Darsi il tempo per conoscere l’altro, non avere idee stereotipate su chi dovrà fare il primo passo sono due elementi da tenere in conto.
Un altro elemento che ricorre molto spesso nelle conoscenze precocemente interrotte sono i giudizi e i pre-giudizi. L’avere un’idea chiara di ciò che si vuole può condurre talvolta in un vicolo cieco, in cui non ci si dà vicendevolmente il tempo di conoscersi per come si è. È naturale che al primo incontro si voglia dare di sé la migliore impressione possibile, e proprio per questo è difficile essere rilassati come si vorrebbe. Quest’ultimo punto non è di per sé stesso un limite, poiché la componente emotiva rende più veri, più autentici. Il limite sta nel giudizio che si dà di se stessi fino a ritenersi inadeguati, o viceversa nel giudicare l’altro senza ancora ben conoscerlo. I giudizi e i pregiudizi, in amore, sono di norma uno strumento utilizzato per tenere lontano l’altro ed esprimono un’effettiva paura di conoscerlo fino in fondo. Avere un’idea chiara di ciò che si vuole può anche generare in sé degli standard molto elevati tali per cui la persona incontrata non è mai idealisticamente paragonabile a quella desiderata e pertanto allontanata.
La verità è che non gli piaci abbastanza titola una commedia statunitense e può anche essere che sia così. Le relazioni nascono per affinità o per complementarietà, dunque è naturale che non si possa creare lo stesso legame con tutti. La sofferenza potrebbe derivare dal vissuto di una mancata conferma, che per la persona si traduce in un “non vado bene”. Questa lettura della cosa in realtà è molto pregiudizievole e si rischia di farsi molto male per nulla. In amore ci si sceglie “nella libertà”, per questo è molto importante che questi incontri vengano vissuti nella serenità di potersi esprimere e nel rispetto dell’altro a partire dal modo come si comunica di non voler più proseguire nella frequentazione. Nella maggior parte dei casi è il modo che ferisce non il fatto in sé è per sé. Il modo con cui questa intenzione viene espressa, taciuta o recepita ha a che fare con la maturità affettiva del momento.
È importante ricordare che i primi incontri hanno la funzione di aprire un varco a una conoscenza più approfondita, per questo è importante non seguire schemi predefiniti ma rimanere il più possibile in contatto con sé stessi, esprimere ciò che si è e si pensa, essere sé stessi. Lasciare che il tempo e la comunicazione fluiscano, che ci sia spazio per entrambi per esprimersi, essere genuinamente interessati a ciò che interessa all’uno e all’altro.
Se hai deciso di non proseguire nella conoscenza dell’altro: occhio a che non sia una modalità per tenere lontano le persone e non doverti mai coinvolgere.
Se hai ricevuto un rifiuto (diretto o indiretto): non si può piacere a tutti, così come l’altro non può essere aprioristicamente la persona che fa per te, meglio scoprirlo per tempo.
Se man mano che avanza la crescita personale, è possibile che le circostanze che hanno guidato la chiusura precoce di una frequentazione divengano chiare, sul momento è importante accogliere la delusione che ne deriva senza lasciarsi sopraffare da essa. Ogni cosa ha un senso anche se sul momento non si ha ancora la possibilità di attribuirlo.
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4.4.19

L’importanza di essere visti



Come ricercare e trovare quei momenti in cui, nella coppia, ciascuno può allenare qualche aspetto di sé come ad esempio l’ascolto, la fiducia, la pazienza, la tenacia, la compartecipazione, il gioco di squadra, l’introspezione, e così via. 


Nella vita di coppia si attraversano varie fasi e si condividono successi e insuccessi, sfide e traguardi. Talvolta sono frutto di scelte consapevoli e comuni e riguardano obiettivi che la coppia si è prefissata, altre volte sono situazioni che la vita riserva con grande generosità sia in positivo che in negativo.
Si tratta in ogni caso di occasioni in cui ciascuno può allenare qualche aspetto di sé come ad esempio l’ascolto, la fiducia, la pazienza, la tenacia, la compartecipazione, il gioco di squadra, l’introspezione, e così via.
Potrebbe in ogni caso accadere di non essere nelle condizioni di poter dare la dovuta considerazione all’altro oppure che quello che il partner si vive sia in antitesi a ciò che l’altro si sta vivendo e che nella condivisione si generino fatica, invidia, incomprensioni e conflitti.
Cosa significa e cosa fare?
Una facile deduzione potrebbe essere quella di colpevolizzare sé stesso o l’altro per non saper amare, stare accanto, condividere, sostenere e tutto quello che viene indicato essere aspetti dell’amore e della relazione di coppia.
Per chi giunge a questa deduzione non esistono molte vie di uscita: o adeguarsi mascherando i propri sentimenti e comportamenti oppure chiudere la relazione “per incompatibilità di carattere”.
E se invece la difficoltà fosse solo un’occasione per crescere come individui e nella relazione di coppia? E come?
Per prima cosa non cercare facili vie di fuga del tipo “non siamo fatti l’uno per l’altro”. È nello stare nella situazione che si può comprendere fino in fondo cosa genera, in che modo, perché e cosa invece potrebbe aiutare.
In secondo luogo guardarsi dentro in una condizione di ascolto di sé, privo di giudizio. Ogni emozione ha un suo perché, esprime un bisogno o un diritto e come tale va accolta, guardarsi nel profondo può non essere facile all’inizio ma piano piano può divenire una grande risorsa sia per l’individuo che per la coppia.
In terzo luogo chiedere all’altro di ascoltare quanto si è compreso e si vuole condividere. Questo punto è un passaggio delicato in quanto occorre tener conto del Timing, il giusto momento in cui chiederlo e nello stesso tempo essere disponibili a concordare con l’altro quando questo dialogo potrà avvenire.
Perché abbia successo è importante avere tempo e privacy anche se questo significa dover attendere. Per questo motivo agenda in mano, si fissa una data con l’intento di rispettarla. Un luogo neutro come ad esempio uno spazio aperto in genere funziona molto bene, ma può andare bene anche il comodo divano di casa purché senza fonti di disturbo.
In quarto luogo, lasciare all’altro l’occasione di poter esprimere il proprio vissuto, oppure aggiungere qualche aspetto che a suo parere non è stato tenuto in conto. Il partner potrebbe ad esempio non avere la stessa percezione del vissuto dell’altro. Pertanto è importante che gli esempi siano contestualizzati.
È inoltre importante che questa fase del dialogo non si trasformi in un contraddittorio e che le personali visioni della situazione possano essere entrambe esplicitate e riconosciute.
Solo quando le cause che impediscono di gioire della gioia dell’altro o di camminare al fianco dell’altro, sono state identificate allora si può, con il dovuto tempo che ciascuna situazione di vita richiede, decidere e fare qualcosa.
La possibilità di essere visti e riconosciuti nel proprio impegno, nei propri piccoli quotidiani traguardi non passa sempre per il successo immediato.
Pertanto sentire che il partner è al fianco e nota l’impegno quotidiano, al di là del successo generale, permette di sentirsi più forti di questa vicinanza e motiva a rigenerare in sé la forza e la determinazione per arrivare alla meta. Questo vale vicendevolmente per entrambi i membri della coppia ed è proprio questa alternanza che fa percepire che si è una squadra e che si è in cammino, senza ruoli designati e statici.

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15.3.19

Si può essere single e felici?



Sono varie le ragioni che possono spingere una persona a non cercare una relazione affettiva. In questi casi, è bene che le persone che le sono vicine evitino comportamenti offensivi o intrusivi, restando aperte alle necessità dell'altro.

Le fasi che attraversiamo nella vita e che ci tengono lontano da una relazione sono tante e diverse ed hanno per lo più un carattere temporaneo. Ad esempio si possono vivere fasi in cui si ha bisogno di essere centrati su sé stessi e si percepisce che non si avrebbe l’energia, lo spazio, il tempo e la capacità di dedicarsi ad un’altra persona. In altri momenti non ci si guarda intorno attivamente e non si sente né il desiderio né il bisogno di avere una persona vicinoperché si è molto appagati da ciò che si fa, si ha e/o si è. Lo stesso può valere anche quando non si è ancora scoperto il proprio valore o non ci si sente ancora maturi.
Ci sono persone che sono stabilmente senza partner e tra costoro possiamo distinguere:
  • Coloro che un partner non lo desiderano o non ne sentono il bisogno, seppure investono molte energie nel dedicare attenzione alle relazioni, agli scambi comunicativi, e più in generale, alla persona in quanto tale.
  • Persone che sono state ferite dall’amore, che non riescono a comprendere cosa esso sia fino in fondo, o che per timore di nuocere ad un possibile partner hanno scelto di rimanere da soli.
  • Persone che rifuggono le relazioni che richiedono un coinvolgimento empatico, profondo e costante. Talvolta per specifiche strutture di personalità, talaltra perché restano intrappolate in ruoli e copioni di vita mai fino in fondo compresi.
Come single capita spesso di ascoltare domande ripetute su “Ma quando ci presenti il fidanzato? Ma quando metti la testa a posto? Ecc.”. C’è un immaginario sociale e comune che indirizza alla vita di coppia. Sembra che il tempo poi debba scadere e che altrimenti si resti indefiniti. Attraverso osservazioni di questo tipo si rischia di generare involontariamente ansia e frustrazione. Eppure la persona in questione, sebbene single, può non avere questa percezione di sé, soprattutto quando è giunta ad una elaborazione della propria storia di vita.
Mi colpiva anni fa la lettura di un libro per giovani e un po’ meno giovani in cerca della loro strada “La vita non è un parcheggio” di Roberta Vinerba. Attraverso il testo, l’autrice forniva stimoli di riflessione ad ampio raggio per riflettere e aiutare a fare il punto sul proprio cammino quando ci si sente in una situazione di stallo nella ricerca della personale strada. Questo invito diviene di fondamentale importanza allorquando si rischia di perdere il senso del proprio andare e non si hanno le idee chiare.
Esistono delle eccezioni? E quanto siamo disposti a considerarle? Quale impegnativo cammino di consapevolezza può aiutare a guardare con occhi limpidi e privi di giudizio e di pregiudizi quei single che vivono serenamente il loro status? Aver pienamente compreso la propria storia, raggiungere elevati gradi di maturità e consapevolezza di sé porta inevitabilmenente adesiderare cose grandi. Ogni qualvolta le aspettative ed i criteri sono alti (ma non disgiunti dalla realtà), il sentiero che porta ad incontrare la persona con cui si potrebbe avere maggiore affinità si fa più arduo fino quasi a divenire astratto. La consapevolezza di sé aiuta, motiva, ma non sempre tiene compagnia. È in questi momenti, in cui si fa spazio la solitudine e le osservazioni degli altri si possono più facilmente inserire e fare male, che i single felici giocano le loro carte migliori.
  • La prima tra tutte è la capacità di vivere la solitudine, non temerla, riconoscerla come parte integrante del proprio essere, condizione fondamentale per generare nuove riflessioni su di sé. Per questo motivo ciclicamente la ricercano.
  • Identificano scopi e priorità della loro vita e si danno obiettivi. Hanno compreso chi sono, il loro valore, il valore dell’altro e sono sinceramente interessati ad utilizzare le loro potenzialità.
  • Costruiscono buone reti relazionali e di sostegno sociale. Sanno che non è il numero delle persone che conoscono o incontrano a fare la differenz,a ma il tipo di relazione che con essi hanno instaurato. L’incontro con l’altro è una ricchezza, la relazione è un dono reciproco.
  • Regolano il bilancio tra energie in ingresso ed in uscita così da nutrire le varie componenti del proprio essere (mente, corpo, spirito, affettività e socialità) ed in questo modo sentirsi più in forma e vivere una vita appagata con minori rischi per gli sbalzi d’umore.
Questa condizione si raggiunge per tappe ed implica un percorso di maturità interiore in cui, in varie tappe, il proprio status come single può essere confermato e rivisto. Anche noi come comunità di persone dovremmo imparare ad essere meno intrusivi con le nostre osservazioni e più aperti e disponibili all’ascolto delle altrui esperienze.

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7.3.19

Un po’ di tempo per noi



Per crescere come coppia è fondamentale regalarsi dei momenti di reciproca cura da trascorrere insieme, per non pensarsi come persone scontate di cui si sa già tutto

Tra i doni più preziosi che possiamo ricevere e donare c’è il dono del proprio tempo. La sua preziosità deriva dal fatto che non può mai e in nessun caso tornare indietro. Quando è dato, è dato. È per questo che il dono del proprio tempo procura un senso di appagamento. Esso trasmette all’altro un messaggio di valore e di unicità. Da fidanzati lo si sperimenta tante volte, si ricercano intenzionalmente occasioni per condividere qualcosa ma anche più semplicemente tempo da trascorrere insieme. In questa fase il tempo passato insieme è fondamentale per la conoscenza reciproca. Questa sana abitudine di continuare a dedicarsi tempo e continuare a conoscersi e scoprirsi dovrebbe durare tutto l’arco della vita. Esso è un ingrediente importante per costruire l’intimità di coppia. Il modo come viene utilizzato rivela la capacità dei partner di pensarsi come entità distinte, in evoluzione e in comunione tra loro o viceversa come persone scontate di cui si sa già tutto. Raccontarsi ad esempio le riflessioni personali dopo un accaduto, cosa si è appreso da esse e come lo si vorrebbe integrare nella propria quotidianità, voler sentire il parere del partner a riguardo, è un modo di donarsi all’altro che non solo richiede tempo e spazio, che nel tran tran quotidiano possono sfuggire di mano, ma anche una disponibilità mentale a vedere sé stessi e l’altro come sempre nuovi e da scoprire.
Molte coppie si dedicano alcune ore settimanalmente o mensilmente per continuare a crescere insieme. Se hanno dei figli organizzano per loro un intrattenimento che va dai nonni alla babysitter, o se sono già più grandini il rimanere a dormire a casa dell’amico del cuore. Il messaggio metacomunicato al partner è del tipo “tu sei importante per me”, “quello che ti riguarda mi sta a cuore”, “sono curioso di scoprirti sempre di più”, “è bello passare del tempo con te”. Sono dei messaggi che nutrono profondamente la relazione.
Se non lo fate già, approfittate dell’arrivo della bella stagione per cominciare ad organizzarvi un pomeriggio, una serata, un fine settimana in cui la meta non sia il luogo dove andrete, bensì un tempo di qualità vissuto in due.
Alcune coppie scelgono di dedicarsi tempo quotidianamente. Lo fanno ad esempio lasciando i cellulari e il televisore spenti durante la cena, oppure ritagliandosi un tempo sul divano dopo aver messo a letto i bambini o scegliendo un giorno in cui si rientra prima dal lavoro. L’abitudine di eliminare le fonti di disturbo nella comunicazione serve primariamente a rimanere centrati su di sé, sul partner e sul discorso che si sta condividendo. La sovrastimolazione, di qualunque genere sia, interrompe il flusso di pensiero e di emozioni che si stanno condividendo.
Quali difficoltà si possono incontrare?
Se non si è abituati a parlare e condividere i propri vissuti, la difficoltà principale può essere quella di predisporsi ad iniziare. Tanti “se” e “ma” possono venire alla mente che a ben guardare possono trovare una soluzione soprattutto se messi in comune col partner o con le figure di riferimento.
Un’altra difficoltà è quella di pensarsi come già noti. Dare per scontato che si sappia già tutto dell’altro nega i processi di crescita personale, di apprendimento dall’esperienza, di capacità di miglioramento. L’effetto indiretto è un disinvestimento nella relazione che invece necessita di attenzione e dedizione.
I benefici indiretti
In primis la qualità e forza della relazione. Sapere che l’altro, nonostante i “se” e i “ma” che realmente hanno a che fare con il senso di responsabilità, può riuscire a fare spazio al “noi” permette di sperimentare senso di valore e fiducia nel poter contare fino in fondo sull’altro.
In secondo luogo i figli traggono da questi piccole “separazioni” genitoriali numerosi benefici tra cui: hanno l’occasione di percepire e definire i propri confini personali, di sentirsi rasserenati al loro ritorno e sono incentivati a sviluppare autonomia, interessi e curiosità e cosa molto preziosa apprendono in modo indiretto come ci si prende cura della relazione. Inoltre poiché ai loro occhi, mamma e papà che coltivano la relazione di coppia, si stanno prendendo cura di ciò che rappresenta la premessa della loro esistenza, essi ne traggono un grande senso di sicurezza interna.

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