15.3.19

Si può essere single e felici?



Sono varie le ragioni che possono spingere una persona a non cercare una relazione affettiva. In questi casi, è bene che le persone che le sono vicine evitino comportamenti offensivi o intrusivi, restando aperte alle necessità dell'altro.

Le fasi che attraversiamo nella vita e che ci tengono lontano da una relazione sono tante e diverse ed hanno per lo più un carattere temporaneo. Ad esempio si possono vivere fasi in cui si ha bisogno di essere centrati su sé stessi e si percepisce che non si avrebbe l’energia, lo spazio, il tempo e la capacità di dedicarsi ad un’altra persona. In altri momenti non ci si guarda intorno attivamente e non si sente né il desiderio né il bisogno di avere una persona vicinoperché si è molto appagati da ciò che si fa, si ha e/o si è. Lo stesso può valere anche quando non si è ancora scoperto il proprio valore o non ci si sente ancora maturi.
Ci sono persone che sono stabilmente senza partner e tra costoro possiamo distinguere:
  • Coloro che un partner non lo desiderano o non ne sentono il bisogno, seppure investono molte energie nel dedicare attenzione alle relazioni, agli scambi comunicativi, e più in generale, alla persona in quanto tale.
  • Persone che sono state ferite dall’amore, che non riescono a comprendere cosa esso sia fino in fondo, o che per timore di nuocere ad un possibile partner hanno scelto di rimanere da soli.
  • Persone che rifuggono le relazioni che richiedono un coinvolgimento empatico, profondo e costante. Talvolta per specifiche strutture di personalità, talaltra perché restano intrappolate in ruoli e copioni di vita mai fino in fondo compresi.
Come single capita spesso di ascoltare domande ripetute su “Ma quando ci presenti il fidanzato? Ma quando metti la testa a posto? Ecc.”. C’è un immaginario sociale e comune che indirizza alla vita di coppia. Sembra che il tempo poi debba scadere e che altrimenti si resti indefiniti. Attraverso osservazioni di questo tipo si rischia di generare involontariamente ansia e frustrazione. Eppure la persona in questione, sebbene single, può non avere questa percezione di sé, soprattutto quando è giunta ad una elaborazione della propria storia di vita.
Mi colpiva anni fa la lettura di un libro per giovani e un po’ meno giovani in cerca della loro strada “La vita non è un parcheggio” di Roberta Vinerba. Attraverso il testo, l’autrice forniva stimoli di riflessione ad ampio raggio per riflettere e aiutare a fare il punto sul proprio cammino quando ci si sente in una situazione di stallo nella ricerca della personale strada. Questo invito diviene di fondamentale importanza allorquando si rischia di perdere il senso del proprio andare e non si hanno le idee chiare.
Esistono delle eccezioni? E quanto siamo disposti a considerarle? Quale impegnativo cammino di consapevolezza può aiutare a guardare con occhi limpidi e privi di giudizio e di pregiudizi quei single che vivono serenamente il loro status? Aver pienamente compreso la propria storia, raggiungere elevati gradi di maturità e consapevolezza di sé porta inevitabilmenente adesiderare cose grandi. Ogni qualvolta le aspettative ed i criteri sono alti (ma non disgiunti dalla realtà), il sentiero che porta ad incontrare la persona con cui si potrebbe avere maggiore affinità si fa più arduo fino quasi a divenire astratto. La consapevolezza di sé aiuta, motiva, ma non sempre tiene compagnia. È in questi momenti, in cui si fa spazio la solitudine e le osservazioni degli altri si possono più facilmente inserire e fare male, che i single felici giocano le loro carte migliori.
  • La prima tra tutte è la capacità di vivere la solitudine, non temerla, riconoscerla come parte integrante del proprio essere, condizione fondamentale per generare nuove riflessioni su di sé. Per questo motivo ciclicamente la ricercano.
  • Identificano scopi e priorità della loro vita e si danno obiettivi. Hanno compreso chi sono, il loro valore, il valore dell’altro e sono sinceramente interessati ad utilizzare le loro potenzialità.
  • Costruiscono buone reti relazionali e di sostegno sociale. Sanno che non è il numero delle persone che conoscono o incontrano a fare la differenz,a ma il tipo di relazione che con essi hanno instaurato. L’incontro con l’altro è una ricchezza, la relazione è un dono reciproco.
  • Regolano il bilancio tra energie in ingresso ed in uscita così da nutrire le varie componenti del proprio essere (mente, corpo, spirito, affettività e socialità) ed in questo modo sentirsi più in forma e vivere una vita appagata con minori rischi per gli sbalzi d’umore.
Questa condizione si raggiunge per tappe ed implica un percorso di maturità interiore in cui, in varie tappe, il proprio status come single può essere confermato e rivisto. Anche noi come comunità di persone dovremmo imparare ad essere meno intrusivi con le nostre osservazioni e più aperti e disponibili all’ascolto delle altrui esperienze.

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7.3.19

Un po’ di tempo per noi



Per crescere come coppia è fondamentale regalarsi dei momenti di reciproca cura da trascorrere insieme, per non pensarsi come persone scontate di cui si sa già tutto

Tra i doni più preziosi che possiamo ricevere e donare c’è il dono del proprio tempo. La sua preziosità deriva dal fatto che non può mai e in nessun caso tornare indietro. Quando è dato, è dato. È per questo che il dono del proprio tempo procura un senso di appagamento. Esso trasmette all’altro un messaggio di valore e di unicità. Da fidanzati lo si sperimenta tante volte, si ricercano intenzionalmente occasioni per condividere qualcosa ma anche più semplicemente tempo da trascorrere insieme. In questa fase il tempo passato insieme è fondamentale per la conoscenza reciproca. Questa sana abitudine di continuare a dedicarsi tempo e continuare a conoscersi e scoprirsi dovrebbe durare tutto l’arco della vita. Esso è un ingrediente importante per costruire l’intimità di coppia. Il modo come viene utilizzato rivela la capacità dei partner di pensarsi come entità distinte, in evoluzione e in comunione tra loro o viceversa come persone scontate di cui si sa già tutto. Raccontarsi ad esempio le riflessioni personali dopo un accaduto, cosa si è appreso da esse e come lo si vorrebbe integrare nella propria quotidianità, voler sentire il parere del partner a riguardo, è un modo di donarsi all’altro che non solo richiede tempo e spazio, che nel tran tran quotidiano possono sfuggire di mano, ma anche una disponibilità mentale a vedere sé stessi e l’altro come sempre nuovi e da scoprire.
Molte coppie si dedicano alcune ore settimanalmente o mensilmente per continuare a crescere insieme. Se hanno dei figli organizzano per loro un intrattenimento che va dai nonni alla babysitter, o se sono già più grandini il rimanere a dormire a casa dell’amico del cuore. Il messaggio metacomunicato al partner è del tipo “tu sei importante per me”, “quello che ti riguarda mi sta a cuore”, “sono curioso di scoprirti sempre di più”, “è bello passare del tempo con te”. Sono dei messaggi che nutrono profondamente la relazione.
Se non lo fate già, approfittate dell’arrivo della bella stagione per cominciare ad organizzarvi un pomeriggio, una serata, un fine settimana in cui la meta non sia il luogo dove andrete, bensì un tempo di qualità vissuto in due.
Alcune coppie scelgono di dedicarsi tempo quotidianamente. Lo fanno ad esempio lasciando i cellulari e il televisore spenti durante la cena, oppure ritagliandosi un tempo sul divano dopo aver messo a letto i bambini o scegliendo un giorno in cui si rientra prima dal lavoro. L’abitudine di eliminare le fonti di disturbo nella comunicazione serve primariamente a rimanere centrati su di sé, sul partner e sul discorso che si sta condividendo. La sovrastimolazione, di qualunque genere sia, interrompe il flusso di pensiero e di emozioni che si stanno condividendo.
Quali difficoltà si possono incontrare?
Se non si è abituati a parlare e condividere i propri vissuti, la difficoltà principale può essere quella di predisporsi ad iniziare. Tanti “se” e “ma” possono venire alla mente che a ben guardare possono trovare una soluzione soprattutto se messi in comune col partner o con le figure di riferimento.
Un’altra difficoltà è quella di pensarsi come già noti. Dare per scontato che si sappia già tutto dell’altro nega i processi di crescita personale, di apprendimento dall’esperienza, di capacità di miglioramento. L’effetto indiretto è un disinvestimento nella relazione che invece necessita di attenzione e dedizione.
I benefici indiretti
In primis la qualità e forza della relazione. Sapere che l’altro, nonostante i “se” e i “ma” che realmente hanno a che fare con il senso di responsabilità, può riuscire a fare spazio al “noi” permette di sperimentare senso di valore e fiducia nel poter contare fino in fondo sull’altro.
In secondo luogo i figli traggono da questi piccole “separazioni” genitoriali numerosi benefici tra cui: hanno l’occasione di percepire e definire i propri confini personali, di sentirsi rasserenati al loro ritorno e sono incentivati a sviluppare autonomia, interessi e curiosità e cosa molto preziosa apprendono in modo indiretto come ci si prende cura della relazione. Inoltre poiché ai loro occhi, mamma e papà che coltivano la relazione di coppia, si stanno prendendo cura di ciò che rappresenta la premessa della loro esistenza, essi ne traggono un grande senso di sicurezza interna.

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1.3.19

Aiutarsi a crescere



Alcune circostanze della vita possono renderci più vulnerabili e ostacolare lo sviluppo di una maturità affettiva. Qualche consiglio per imparare a superare gli ostacoli.


Parlavamo in un precedente articolo di come in alcune circostanze può essere difficile completare il processo di separazione-individuazione che conclude la fase adolescenziale e conduce all’età adulta. Abbiamo visto come questo mancato completamento lasci dei segni nella capacità delle persone di determinarsi. Vediamo adesso quali possono essere le circostanze della vita che più facilmente possono ostacolare lo sviluppo di una maturità affettiva e quali piste sono possibili per superarle.
In generale possiamo dire che:
  • Si è più vulnerabili quando i genitori vivono poco la relazione di coppia e riversano tutte le loro attenzioni, attese, senso di realizzazione e/o nutrimento socioaffettivo sulla vita dei figli. È il caso di quei genitori che ad esempio hanno sacrificato la loro vita lavorativa per i figli e che nel tempo non hanno sviluppato nuovi interessi. Non è infrequente udire infatti il rimprovero di una figlia “sarebbe stato meglio se mia madre dopo la mia nascita avesse continuato a lavorare invece che rimanere a casa”.
  • Sono più vulnerabili i figli che hanno avuto una malattia di lunga durata o hanno riportato conseguenze da incidenti che hanno richiesto lunghe cure e dedizione. Quando essi guariscono o camminano in direzione dell’autonomia, può essere difficile per il genitore accudente reinventarsi un nuovo ruolo.
  • Una vulnerabilità pari esiste quando è il figlio a crescere con un genitore ammalato. Non è infrequente in questi casi che si verifichi una inversione dei ruoli e che il piccolo debba sviluppare precocemente autonomia e capacità di accudimento abdicando alle sue funzioni di bambino o giovane adulto.
  • In altri casi può accadere che il figlio per svariati motivi sia stato considerato fragile e pertanto sia stato protetto eccessivamente o troppo poco. Sia in un caso che nell’altro il giovane ragazzo non può allenare la capacità di generare soluzioni e attuare azioni che gli facciano sperimentare la sua forza.
  • Sono vulnerabili i figli che hanno creduto di dover strutturare una falsa immagine di sé per compiacere i genitori, e per paura di perdere il loro amore. Essi sentono su di sé richieste ed aspettative, ma non vedono riconosciuti i propri meriti.
  • Sono vulnerabili i figli di genitori che disintegrano l’uno l’immagine dell’altro. Questi attacchi non ledono solo l’immagine dell’altro genitore, ma in primis i figli che hanno bisogno e diritto di identificarsi con gli aspetti sani del genitore e di continuare a relazionarsi con lui. A risentirne è anche l’immagine interiorizzata dell’altro sesso, per cui sovente in questi casi i giovani sperimentano una grande difficoltà a mettersi in gioco nelle relazioni amorose.
A partire da queste situazioni possono generarsi alla lunga sentimenti di sfiducia, risentimento, rabbia e distacco difficili da gestire anche a distanza di anni. Essi possono condurre in alcuni casi ad allontanamenti temporanei o definitivi dalle famiglie di origine, che appaiono l’unico modo per continuare a sopravvivere.
Nella maggior parte dei casi si cerca invece un “aggiustamento”. In questo accomodamento alcuni diventano compiacenti fino a permettere al genitore di orientare le proprie scelte. Altri traggono beneficio dal confronto con i pari e il mondo esterno, scoprono che esistono altri modi di relazionarsi nella coppia, che i genitori possono occuparsi dei figli in modi diversi e possono sbagliare anche loro, e cosa ben più importante: che la crescita personale e l’autonomia sono traguardi da raggiungere non condizioni di fatto concesse da altri. È in questi casi che raccolgono tutta la loro forza e motivazione e spiccano il volo, a volte in modo diretto, altre volte lasciandosi sostenere da un professionista.
Ci sono errori che malgrado le buone intenzioni si ripetono nelle generazioni. Questo avviene principalmente quando il problema non è stato identificato o sufficientemente compreso o le persone non hanno gli strumenti per risolverlo e fanno fatica a chiedere aiuto. Rileggere la propria storia non più solo a partire dai propri vissuti, ma tenendo conto della complessità delle circostanze in cui essa si è manifestata, permette di rielaborare la propria vita. Permette anche di aprirsi alle numerose possibilità di evoluzione di una situazione che, come ci mostrano numerose biografie, sono sempre possibili a partire dalle proprie scelte.

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18.2.19

Le bugie che mi racconto



La bugia non è solo quella che raccontiamo agli altri, è anche quella che si racconta a sé stessi quando si crede a false verità su di sé, quando si temono così fortemente i giudizi propri ed altrui su di sé e si rinuncia a scoprire la propria forza interiore. Questo tipo di bugia è definito autoinganno



Ne abbiamo un esempio in letteratura nel romanzo spagnolo di don Chisciotte de la Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra. Convinto di essere un cavaliere errante genera in sé convinzioni che divengono ben presto ostinazioni che lo portano a deformare la realtà. Perso il dato reale, ogni cosa acquista senso in funzione di ciò di cui egli è convinto. Vede avversari che non esistono ed esce da queste battaglie sempre perdente, né riesce ad integrare nella sua esperienza i dati di realtà che seppur debolmente il suo scudiero, Sancho Panza gli rimanda. Sancho Panza gioca il ruolo di alter ego. Prova a farlo ragionare ma finisce sempre per essere complice e succube delle sue bizzarrie. Nella lotta tra razionalità e istintività i due personaggi si perdono, poiché nessuno dei due aspetti prende il sopravvento sull’altro non c’è una soluzione possibile.
Un analogo vissuto di combattere ogni giorno una battaglia contro qualcosa di inesistente attraversa coloro che sono vittime dei propri autoinganni. Esse vivono la sensazione di rimanere sospesi in una situazione di incertezza costante legata all’ostinazione di credere a false credenze su di sé. Nel loro intimo confermano e disconfermano alternativamente quegli aspetti di sé che desidererebbero ma temono, o meglio sono convinti, di non avere. Sono così intimamente convinti di sapere come sono che gli risulta molto difficile di integrare i feedback che ricevono (attraverso le esperienze o dalle persone) con le loro credenze aprioristiche su di sé. Questo accade sia quando la persona si svaluta eccessivamente sia quando al contrario ha di sé un’immagine eccessivamente positiva.
In un precedente articolo abbiamo visto come e perché si dicono le bugie e cosa accade quando si diventa dei bugiardi abitudinari.
L’autoinganno è una bugia un po’ diversa. Essa è detta due volte: prima a sé stessi e poi agli altri e funziona fintanto che una parte di sé vi crede veramente. Dietro di essa si nasconde una grande paura del giudizio, proprio ed altrui. La profonda convinzione di non essere abbastanza richiama al bisogno di riconoscimento ed attribuzione di valore. Si è in genere molto esigenti con sé stessi, poco empatici ed accoglienti. Si inseguono ideali (lavorativo, familiare, coniugale, amicale, di svincolo parentale, ecc.) e ci si circonda di persone rassicuranti che, come Sancho Panza, tendono a confermare l’immagine che si ha di sé senza mai sostenere una conoscenza più profonda di sé. Molte energie sono investite per affermare e confermare lo status quo che è molto più rassicurante rispetto all’incertezza del pensarsi in evoluzione.
A queste condizioni, generare ed inglobare in sé nuove consapevolezze è davvero difficile. Così come lo è l’attribuire qualità ad alcune parti di sé che possono essere genericamente e frettolosamente negate, svalutate o esaltate ma senza un riferimento contestuale. Ad esempio la genuinità e la ricchezza d’animo possono essere additate come segno di debolezza e le angherie come segno di un carattere forte.
Questi moderni don Chisciotte si sentono fragili e vivono una lotta interna per affermare sé stessi. Generalmente non si sono mai misurati fino in fondo con le proprie capacità reali ma le hanno sempre molto temute. Essere aiutati a misurarsi con esse, per quanto paura possa fare, è possibile e necessario per trovare una soluzione al proprio dilemma interiore: la ricerca di valore e la difficoltà a credere in esso.
Gli autoinganni possono essere di diverso tipo. Essi godono di quella zona franca del cervello di cui parla lo psicologo Daniel Goleman, entro cui si generano le cosiddette “bugie vitali”. La persona rileva la situazione e vi trova una giustificazione plausibile che non la costringe a dover mettere in dubbio aspetti di sé. Ne guadagna in serenità interiore e mantenimento dello status quo ma ne perde in capacità di crescita personale.
Esempi di autoinganni possono essere: i comportamenti stereotipati di chi dice bugie per migliorare la propria reputazione. Chi sostiene verità presunte: «Gli altri non mi parlano perché sono invidiosi di me». Le giustificazioni per l’altrui o il proprio comportamento: «È violento perché è un vero maschio» o «Sono fatto così!».
L’autoinganno è nocivo per la persona, lede le sue possibilità di crescita personale, maturazione psichica e miglioramento poiché blocca il cambiamento. Per essere superato è necessario riuscire ad uscire dalla trappola mentale di cui si è prigionieri e allearsi con quella parte di sé che opera sempre per lo sviluppo personale. Per quanto temerario e faticoso possa apparire è molto più avventuroso che lottare contro i propri mulini a vento, le proprie tautologiche autocredenze mai veramente confutate fino in fondo.

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17.1.19

Coppie, 7 motivi per non vivere coi familiari



Due giovani sposi dovrebbero ambire da subito alla propria indipendenza, per il proprio benessere e quello della famiglia d'origine



Avete deciso di sposarvi, ma le finanze sono ancora instabili e c’è un appartamento libero accanto ai genitori di uno dei due, o una stanza in più che non viene mai usata a casa loro. Ne parlate col partner, anche i vostri familiari sono d’accordo, forse non tutti. «Ma sì, forse per un po’, qualche mese, finché non si sistema la situazione di quel contratto, o non trovate un lavoro migliore. Così siamo tutti più tranquilli!». «E poi ci pensi, con i soldi che risparmiamo sicuramente potremo comprarci i mobili per casa nostra».
Argomentazioni che un tempo avrebbero retto e forse fatto anche la fortuna degli inizi di una giovane coppia che così poteva più velocemente acquistare una casa e “stabilizzarsi”, mentre oggi vengono guardate con diffidenza da amici, alcuni parenti, psicologi e guide spirituali. Perché?
I principali motivi per cui una giovane coppia dovrebbe ambire da subito a una propria indipendenza riguardano aspetti sia della coppia e del processo attraverso cui essa si definisce, sia i bisogni o criticità della relazione con la famiglia di origine. Vediamone 7:
  • Noi. Una giovane coppia ha bisogno del suo tempo per definire il personale modo di stare nella relazione. La funzione “noi” è un processo lento che necessita della giusta privacy, intimità e di un “vuoto fertile” per essere sviluppata.

  • La coppia ha suoi propri confini e non tutti i genitori sono pronti a rispettarli, né tutti i figli sono già allenati a insegnare ai propri genitori a tenerne conto. Nella relazione tra figlio e genitore arriva il momento in cui l’uno deve mostrare all’altro che è arrivato un nuovo tempo e che i modi di prima ora risultano intrusivi e lesivi della nuova realtà di coppia.

  • Intimità. L’intimità della coppia è un luogo sacro in cui nessun altro è autorizzato ad entrare. Essa è condivisione profonda della propria interiorità, è fare progetti insieme, è custodire le proprie scelte e motivazioni, è vivere la sessualità, è fare le cose con il proprio tempo e ritmo.

  • Vuoto fertile. La coppia necessità di quello spazio/tempo in cui la relazione può impastarsi, lievitare e trasformarsi in un rapporto sano ed equilibrato tra i partner e con le figure d’origine. È l’assenza, intesa come lontananza e subitanea indisponibilità, che permette di sviluppare la giusta distanza, che sarà così importante per fare spazio al “noi”.

  • Assumere e riconoscere ruoli e capacità di ciascuno. A livello psicoemotivo, convivere tutti insieme genera confusione tra i vari ruoli di figlio, adulto, genitore, amico e confidente da un lato e i concetti di indipendenza, maturità, autonomia e affettività dall’altro. Si vengono a creare facilmente ambiguità di questo tipo: 1) ritenere adulto e maturo un figlio quando non lo si ritiene ancora indipendente ed affettivamente pronto a formare una sua famiglia come nucleo a sé stante; 2) avere paura di autorizzarne lo svincolo per timore di perdere il legame affettivo privilegiato, o di soffrire della “sindrome del nido vuoto” legata all’uscita dei figli da casa, o di doversi nuovamente confrontare con il proprio partner a tu per tu, come ad es. nei casi in cui il figlio funge da mediatore nella comunicazione tra i genitori.

  • Autoregolazione e condizionamenti. L’autoregolazione è il meccanismo attraverso il quale la coppia giunge a definire le personali regole di comunicazione, di scelta, di confronto e disaccordo, di litigio, di riflessione, di mediazione e conciliazione. Attraverso di esse si attua la distribuzione del potere tra i partner, si definiscono equilibri e livelli di paritarietà. È importante notare come questi processi possono essere realmente liberi di esplicarsi e giungere all’autoregolazione allorquando sono liberi da condizionamenti, interni o esterni che siano. Un condizionamento importante da citare quando si vive con i genitori o a diretto e costante contatto con loro è che il figlio o la figlia in questione è in casa propria, ma il partner no e questo crea necessariamente un disequilibrio di potere nella coppia.

  • Desatellizzazione. È quel processo così definito dallo psicologo Giovanni Marini, tale per cui un giovane che si stacca dalla famiglia di origine deve poter rendersi indipendente ed autonomo non solo economicamente e strutturalmente, ma anche affettivamente. Il mancato svincolonuocerebbe a lungo andare sia alle persone che alla relazione di coppia, sia quella genitoriale che quella dei figli.

L’andare ad abitare insieme è per una giovane coppia una prova del 9 e insieme un trampolino di lancio verso la costruzione e il rafforzamento di quell’essere “noi” che sarà così importante negli anni a seguire. Questi primi tempi della vita insieme sono importantissimi e, se necessario, vanno tutelati anche a costo di non essere del tutto compresi o supportati.
Infatti, non c’è giusta distanza se non c’è liberta del cuore e autonomia di pensiero. Solo quando nella relazione sono possibili sia la vicinanza che l’allontanamento, la relazione può dirsi matura.

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11.1.19

La fatica di crescere



La capacità di rinnovarsi è importante per ogni persona e quando si interrompe si può ricorrere all’aiuto psicoterapeutico per ripristinarne la funzionalità.



Ricordo più di una paziente che, durante i nostri appuntamenti, pian piano ha scoperto quanto immobilismo ci fosse nella sua vita, apparentemente così piena di tante cose da fare, con il suo continuare ad essere accondiscendente con i genitori nonostante vivesse oramai da sola e avesse un lavoro. Bastava ritornare a casa per il pranzo settimanale o per una vacanza o durante le feste e sentiva il dover di rivestire i panni della ragazzina, figlia, compiacente. Il gioco era facile e sempre lo stesso: una volta entrati in casa si doveva far finta che tutto il mondo fuori non esistesse e che lei fosse ancora la loro bambina. Una volta fuori dalla porta di casa dei genitori, il gioco sarebbe finito e lei avrebbe ripreso la “sua” vita.
È la storia di molti giovani che si costringono ad una consapevole doppia identità quando non si tratta invece di un inconsapevole falso sé, pur di non dover misurarsi con le emozioni e la forza di affermare la propria identità.
Una donna simbolizzò questo processo con questa frase: «Quando torno a casa loro, indosso sempre gli stessi abiti, quello con cui tutti in paese mi riconoscono». E pur nella consapevolezza di stare stretti in quella situazione, nel desiderio di voler essere sé stessi, liberi da uno schema a cui si sente l’obbligo di dover partecipare, c’è un dolore che è lo stesso del bruco che si sta per trasformare in farfalla. «Sembra come se una parte di me debba morire e questo mi è difficile e doloroso», diceva una giovane ragazza nel pieno di questa fase della differenziazione e dell’individuazione. Quella, cioé, dell’ultimo periodo dell’adolescenza, che si conclude con l’avvio della fase adulta. È attraverso di essa che ci si può riconoscere pienamente se stessi. È una fase in cui l’obiettivo è scoprirsi come esseri unici ed irripetibili, consapevoli della propria forza interna, e per raggiungerlo sono necessari permessi interni e permessi genitoriali.
Il raggiungimento di questo obiettivo è accompagnato da piccole, naturali e momentanee delusioni che possono essere più o meno grandi a seconda del grado di vulnerabilità presente nella relazione genitore-figlio. Ad es. il figlio rifiuta un regalo o una indicazione che non corrisponde più al suo gusto che cambia, oppure esprime idee, modi di fare e bisogni totalmente diversi da quelli che il genitore gli attribuiva e si sarebbe aspettato.
Quando il grado di vulnerabilità della relazione, per vari motivi, è alto, può accadere che per non provare dolore nel veder soffrire i genitori, e credendo di dover continuare ad “ubbidire”, alcuni figli rinunciano ad attraversare questa fase. Così facendo non misurano la loro forza interiore e finiscono per pensarsi deboli e inadatti: né bravi figli realizzati come mamma e papà (e la società) desidererebbero, né se stessi fino in fondo, né abbastanza adulti nonostante una vita apparentemente autonoma.
Cosa accade generalmente a chi resta immobilizzato in questa fase? Molti di essi finiscono per restare single e mettono in dubbio la fondatezza del desiderio di avere una relazione. Molti altri cercano relazioni in cui non devono mai fino in fondo definirsi e dunque assumere un ruolo, delle responsabilità e compiere delle scelte. Quando arriva il momento in cui è necessario farlo, trovano il modo di scappare dalla relazione con mille giustificazioni.
Alcuni entrano in una relazione di coppia dove molto del loro ruolo è delegato all’altro (è l’altro che risponde al proprio posto, è l’altro che fa, gestisce e dispone e non è necessario l’essere almeno messi al corrente perch: “Mi fido di come lo fa!”). Una relazione di coppia in cui uno dei due partner non ha completato la fase della differenziazione è molto esposta alle interferenze della famiglia di origine o allo scoppio improvviso del partner che subisce l’eccesso di delega.
La presenza del partner, a sua volta, spesso è l’occasione-stimolo per completare quei processi di separazione e individuazione dal nucleo della famiglia di origine che non erano del tutto conclusi. Ed è proprio in questo spaccato che spesso trovano l’incipit le problematiche tra partner e famiglia di origine.
Il processo che accompagna lo sviluppo di una maturità affettiva, cosa ben diversa dall’autonomia, è lento e risente di numerose variabili, alcune legate alle circostanze di vita di cui non abbiamo fatto alcuna menzione in questo articolo. Esso ha anche i suoi risvolti nella vita futura della persona. Ed è la vita stessa che mostra a ciascuno quando è arrivato il momento di mettere mano ad alcuni aspetti di sé. Un tempo che necessariamente dovrebbe essere di riconciliazione con la propria storia.


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4.1.19

Parliamo di noi, come coppia




L’essere un noi nella coppia è una tappa che si raggiunge col tempo e con esso si affina anche la capacità di narrare, a sé stessi ed agli altri, di sé come coppia  



Siamo abituati a pensare alla coppia che vive delle situazioni, fa esperienze, attraversa dei momenti a volte anche di stallo. Una coppia in generale come soggetto attivo, che fa.
La coppia che si racconta è una rarità. Si necessita di un pensiero che accoglie e che integra il vissuto, il punto di vista dell’altro, che opera un meccanismo in cui viene riconosciuta verità e validità ad entrambi. Le congiunzioni utilizzate diventano “e…e”, invece che “o…o”.
Di recente mi è stato chiesto, da una giovane ragazza, cosa potesse leggere per capire meglio come funziona la relazione di coppia. Ascoltandola percepivo che il suo bisogno era di fare esperienza di come funziona una coppia, di andarle a conoscere. Vale certamente anche un racconto scritto, sebbene il farne esperienza, l’osservare i processi di interazione tra i due membri, permette di cogliere degli spetti difficilmente esplicabili in un elaborato scritto.
Che cosa c’è di speciale nella coppia che racconta sé stessa? Ed a chi fa bene?
Quando una coppia si racconta, attiva in sé stessa un processo di autoriflessione tutt’altro che spontaneo. Si può dire qualcosa di sé in tanti modi ma quando questa verità sta incontrando la verità della narrazione dell’altro per fondersi in una, può non essere facile. Occorre che crollino le barriere del giudizio e del pregiudizio, dell’orgoglio, del naturale bisogno di dare una bella immagine di sé, del rimettere in discussione in sé stessi ciò che si era pensato e ritenuto vero fino a quel momento.
Si scoprono nessi che non si pensavano attraverso l’uso delle risonanze, cioè, quanto viene dall’altro raccontato produce degli effetti nell’animo e nei pensieri dell’altro e questo permette di sviluppare empatia. Il risultato è che si continua a costruire intimità e la relazione diviene sempre più salda e armoniosa.
Ogni coppia dovrebbe prendere giornalmente o almeno settimanalmente un po’ di tempo per sé stessa e per raccontarsi. Un tempo in cui poter essere lievito per la relazione.
 Questo racconto a due voci ed un cuor solo in alcune circostanze può risultare utile anche ad altri. È il caso di chi ascolta delle testimonianze. La storia di una coppia può fungere da stimolo per riflettere su aspetti di sé, su modalità relazionali, può offrire esempi di modi in cui compartecipare a delle scelte o alla soluzione di problemi.
A beneficiare di questa esperienza sono: la coppia stessa, le altre coppie ed i single, soprattutto se single di lunga data o con esperienze deludenti di relazione. La coppia che si racconta riceve feedback e nuovi impulsi per ripensarsi, anche attraverso le domande che le vengono rivolte.
Le coppie che ascoltano possono trovare in questi racconti dal vivo elementi per confrontarsi e per crescere nella relazione. I single possono trovare in queste testimonianze l’occasione di comparare la propria idea di relazione e di amore con quella di qualcun altro, osservare dal vivo differenti modalità di comportamento tra i partner. Spesso questo è utile al fine di chiarire alcuni concetti e preconcetti sulla relazione amorosa, oggi così tanto confusiva se non a volte lesiva dello sviluppo emotivo delle persone.
Possibili equivoci da evitare
Giungere ad una versione unitaria della propria storia di coppia non vuol dire che si tratti di una versione identica e che le differenze sono annullate. Una versione unitaria offre invece l’occasione di accorgersi, esplicitare e tener conto del personale modo di vedere e vivere una situazione da parte di ciascuno. Sarà normale che il racconto del marito si basi su alcuni aspetti mentre quello della moglie su altri, sebbene entrambi possano conoscere quanto appartiene all’altro.

  • Nel raccontarsi agli altri occorre tener presente uno dei principi che guida la relazione di coppia: la sacralità e dunque la custodia dell’intimità. Non esiste un vero confine tra ciò che si può e ciò che non si può dire. Esso dovrebbe essere di volta in volta regolato in base all’accordo reciproco tra i partner, al principio di utilità di ciò che si racconta, di contestualità rispetto al luogo ove si porta la propria testimonianza. La preziosità del dono della propria esperienza di coppia non può essere confusa con il bisogno di far sapere a tutti le proprie cose.
  • Inoltre è sempre importante ricordare di non assurgere la coppia a modello. Un modello si applica tout court, l’esperienza raccontata appartiene alla coppia e necessita di essere filtrata ed adattata alla propria storia personale. Non può essere asetticamente applicata alla propria vita, non calzerebbe. Ed inoltre si rischia di emulare o di non sentirsi mai all’altezza degli altri né mai soggetti attivi della propria vita.


L’essere un noi nella coppia è una tappa che si raggiunge col tempo e con esso si affina anche la capacità di narrare, a sé stessi ed agli altri, di sé come coppia. Questa narrazione, indipendentemente dall’essere invitati a portarla ufficialmente o dal riportarla spontaneamente al vicino di sedia ad un banchetto, ha confini non misurabili. Anche in questa narrazione spontanea di sé come coppia, ogni volta si sta donando qualcosa di sé di molto prezioso di cui quasi mai si sa quali frutti ha portato.

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29.12.18

Cosa può insegnarmi un bambino?



Con la loro spontaneità, la creatività e la mancanza di pregiudizi, i più piccoli ci aiutano a ritrovare la strada verso la felicità.


Sono numerosi i colleghi che da anni lo sottolineano, ma spontaneamente continuiamo a pensare che sono gli adulti ad insegnare ai bambini. Eppure giornalmente facciamo esperienza dell’imparare da loro. Ci insegnano attraverso la loro spontaneità e genuinità. Con la loro leggerezza e creatività trasformano una pozzanghera in un gioco insegnando a non guardare il problema, ma alla capacità di farne esperienza, di lasciarsi trasformare, seppure sporcare, ma con gioia.
Sono molti gli esempi da annoverare in cui i bambini ci sono maestri. Ad esempio, quando vogliamo capire la differenza tra la seduzione spontanea e quella studiata a tavolino, invito a guardare ai bambini. Hanno un fascino naturale che rapisce. Sono spontaneamente leggeri, centrati su sé stessi ed i propri bisogni, eppur capaci di interagire, non dimentichi dell’altro, bensì curiosi.
Oppure quando in un lavoro sul cambiamento c’è da essere tenace in un nuovo comportamento, basta ricordarsi di quanto tempo ci ha messo la mamma ad insegnargli a mangiare con la forchetta o ad allacciarsi le scarpe. Operazioni oggi automatizzate, ma all’epoca complicatissime. E ancora quando si sta collaudando un nuovo schema di comportamento e ci si sente insicuri, i propri passi sono ancora incerti e si fanno degli “errori”. Non importa. Non fanno anche così i bambini quando iniziano a camminare? È ogni caduta è l’occasione per rialzarsi. Neppure la frustrazione riesce a fermare la spinta all’autonomia motoria.
C’è un insegnamento che solo i bambini possono trasmettere e di cui l’adulto beneficia solo in virtù del suo esser stato bambino: la condizione psicologica del “bambino interno”. Di cosa si tratta? Secondo lo psicologo canadese Eric Berne è uno dei tre stadi interni che si attivano alternativamente ogni qualvolta la persona svolge una normale funzione psicofisica (pensiero, comunicazione, interazione, assunzione di decisioni, ecc.). Si tratta del noto GAB, acronimo del Genitore, Adulto e Bambino. Senza entrare troppo in questo elaborato modello di funzionamento della persona, torniamo alla capacità del bambino di viversi il “bambino interno”. Egli è ancora tutto bambino interno, pian piano comincia ad affiorare qualche barlume di voce genitoriale interiorizzata attraverso le regole, mentre l’adulto comparirà più avanti, man mano che aumenta il pensiero logico.
Le caratteristiche del bambino, per come le intende Berne, sono diverse: egli è espressione di una libertà interiore priva di giudizi e pregiudizi, è espressione di una vivacità e curiosità intellettuale e di grande creatività, il suo pensiero non conosce ancora gli schemi concettuali ed i limiti imposti all’adulto dal ragionamento, egli vive infatti ancora una condizione di pensiero onnipotente, in cui tutto è possibile.
Ogni bambino che incontriamo ci permette di ricontattare il nostro bambino interno e tende a condurci verso la gioia. È per questo che se gli concediamo di riattivarsi in noi, possiamo riscoprirci sotto nuove luci, e rompere con i molti schemi preordinati tenuti in essere dalla funzione genitoriale. QUesto può provocare qualche difficoltà: la più grande paura è infatti di non avere più parametri di riferimento per regolarsi (rimanere nella regola) e di perdere l’uso di una o entrambe le funzioni del genitore e dell’adulto. Sebbene questo rischio esista, ve ne è uno altrettanto grave: smettere di divertirsi e di emozionarsi non lasciandosi coinvolgere.
È l’integrazione dei tre status che permette di vivere la vita appieno in tutti i suoi aspetti: doveri, compiti e felicitàLa cosa più importante che un bambino ci insegna è, dunque, di non rinunciare alla gioia. E per farlo egli suggerisce di passare attraverso l’esperienza di ciò che la produce. Il bambino, interno o reale che sia, indica a ciascuno di cercare la propria via per la felicità.


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20.12.18

Essere single a Natale

Cosa succede quando il Natale arriva in un tempo in cui in realtà si avrebbe bisogno di stare lontano dalla propria famiglia di origine e si stanno affrontando dei passaggi evolutivi importanti per la propria crescita personale? Il Natale ha molti volti vediamone alcuni.

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6.12.18

Se scappi ti prendo


"Una relazione stabile nella coppia avviene per fasi. Le sequenze comportamentali di un gioco relazionale"

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1.12.18

Non sono il mio personaggio

"Capita ad alcune persone di identificarsi con un modo di essere e di fare stereotipato, sempre identico a sé stessi. Una condizione in cui si sentono intrappolati e da cui vorrebbero uscire ma non sanno come. Anche quando intravvedono una possibilità di uscita non è facile imboccare questa strada. Mille paure, mille “se…ma…però” si fanno avanti e la persona resta bloccata in quello che possiamo chiamare un personaggio...."

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8.11.18

Il posto della coppia


"Avete mai pensato che l’essere partner è solo uno dei tanti ruoli che vivete nella vostra vita? Che è un ruolo con sue specifiche caratteristiche e che da come viene vissuto può dipendere anche il buon funzionamento degli altri ruoli che con esso sono in relazione?"....

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21.9.18

Sei fasi per riuscire a cambiare


"Può capitare che, nonostante la voglia di cambiamento o il desiderio di portare a termine un progetto, ci si ritrovi al punto iniziale e ci si convinca di non potercela fare. Questo può accadere per una valutazione sbagliata del percorso da seguire...." 

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9.8.18

Siamo pronti a sposarci?

Per quanto intima, romantica e idilliaca possa essere una proposta di matrimonio non è mai un fatto individuale. Non lo è per varie ragioni. Non ci si sposa da sé. Si sposa un altro che si sta scegliendo di amare “come” se stessi e per tutta la vita. Non è solo l’emozione del momento, è un si che si rinnova ogni giorno e che si fa più forte proprio quando ce n’è più bisogno, quando la vita lo mette alla prova.
Non è un fatto solo privato, è un atto sociale.....
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