23.4.20

La noia nella coppia, come nasce e cosa ci dice

 

Fonte: Città Nuova


È annoverata tra le emozioni tristi eppure contiene in sé tanto potenziale innovativo. La noia si supera ricominciando a pensarsi come entità in interazione ed in movimento


La noia prima di tutto nasce da uno stallo, dal voler rimanere ostinatamente in una fase che non da più nulla, né alla persona né alla coppia. Nasce dalla routine della quotidianità, dal dare per scontato se stessi e l’altro, dal non percepirsi più in una dimensione vitale di crescita personale e di coppia.

Essa è annoverata tra le emozioni tristi eppure contiene in sé tanto potenziale innovativo. È un luogo comune diffuso pensare alla noia come la fine di una storia ma così facendo si nega alla relazione la sua dinamicità interna ed il valore della noia come occasione di crisi e cioè di rimettere in moto ciò che si è lasciato assopire.

Le abitudini infatti hanno un alto indice di sicurezza, ma occorre stare attenti a non perdere attraverso di esse la vivacità dello scoprirsi e riscoprirsi per non spegnere le passioni. La noia arriva a segnalare non tanto che si è entrati in una zona di comfort quanto piuttosto che quella zona sta diventando scomoda e che occorre fare qualcosa. Quando si arriva a questo punto molto spesso uno dei due, quasi sempre la donna, “le ha già provate tutte” mentre l’altro è distratto dagli stimoli esterni e “vive come una seccatura” gli input del partner.

Le donne poi si arrendono molto velocemente di fronte alla poca voglia che gli uomini hanno del rimettere in discussione l’ordinarietà, e spesso sono convinte di dover fare da sé per dare stimoli alla coppia o di poter fare da sé escludendo il partner. In tutti i casi ci si dimentica della dimensione a tre in cui si vive: io, tu, noi.

Lo stallo nella sua accezione positiva testa se la coppia è pronta ad avviarsi ad una nuova fase, ed indica che il precedente modo di funzionare è obsoleto, che occorre co-costruirne uno nuovo che sia funzionale all’attuale stato e maturità delle persone che compongono la coppia. occorre dotarsi di strumenti per trasformarla in pedana di lancio. L’idea della coppia “che si era” è superata.

Né sono funzionali le forme alternative di essere coppia in cui si perde l’intimità sessuale o si cerca altrove una compensazione. Vivere sdoppiati, giocando in modo rigido alcune parti di sé fuori con gli amici ed altre col partner non permette di essere veramente se stessi.

La noia si supera dunque con un cambio di atteggiamento ricominciando a pensarsi come entità in interazione ed in movimento.

Due errori sono in agguato: la solitudine e gli stimoli esterni. La mancanza di comunicazione dei vissuti e delle nuove acquisizioni crea nella coppia una barriera che allontana l’uno dall’altro.

Contemporaneamente questo modo di fare radicalizza l’abitudinarietà che fino ad allora ha fatto funzionare l’insieme e fissa un’immagine stereotipata l’uno dell’altro in cui diventa difficile cogliere anche le piccole quotidiane evoluzioni. Attraverso il ripetersi meccanico delle azioni le emozioni vengono spente o orientate verso altre fonti di soddisfazione.

Non si può ignorare che ciascuno ha desideri e bisogni che aspettano di essere riconosciuti e presi in carico. Ma come? Nel dialogo per puntare alla crescita di coppia, e facendo tanto esercizio di ascolto, comprensione e riformulazione per esser sicuri di aver capito bene e non metterci del proprio.

Poi usando la creatività e cercando di mettere in gioco parti nuove di sé, dando sfogo alla creatività ed alle idee, ripescando sogni nel cassetto ed a volte superando anche piccoli imbarazzi di mostrarsi un po’ diversi seppur sempre se stessi. Ed infine trovando modi comuni per far si che le tre dimensioni della coppia possano trovare un nuovo equilibrio.

Bisogni ed emozioni non ascoltate cercano altre forme per raggiungere un apparente equilibrio tra cui il malessere, il ricorso a valvole di sfogo e la creazione di vuoti interni o relazionali che alla lunga diventano difficili da colmare.

In questo tempo pandemico siamo stati tutti sollecitati ad ascoltare un po’ meglio il nostro mondo interno. Personalmente ho colto che, in tante situazioni potenzialmente critiche, l’aver accettato la condizione esterna di confinamento in casa ha predisposto molte coppie ad una maggiore capacità di trovare un’intesa e riflettere meglio su quanto normalmente avrebbe rappresentato un punto di criticità.

Come è per voi? Dopo così tante settimane in casa per la quarantena cosa hai scoperto di nuovo del tuo partner e del vostro modo di funzionare? Come è stata la vostra capacità di riadattare la routine consolidata per far fronte alle nuove e tante esigenze del condividere spazi e tempi? Quando hai fatto qualche riflessione su di te, di voi e dei cambiamenti e riadattamenti in atto gliela hai comunicata e come? Hai notato qualcosa di diversamente positivo? C’è qualcosa che l’altro ti ha detto o ha fatto attraverso cui ti ha mostrato qualcosa di nuovo di sé? È rimasto ancora altro che vorresti dirgli e non hai ancora fatto? Il mio invito è ad utilizzare la prima occasione possibile per farlo.

Interessarsi genuinamente all’altro ed alle sue piccole scoperte quotidiane e vicendevolmente comunicarsele tiene lontana la noia.



27.2.20

Essere di sostegno al partner

 Fonte: Città Nuova


Momenti difficili ce ne sono per tutti. Critico è viverli in contemporanea. Per fortuna non è sempre così


Saper stare al fianco senza pretese e senza interferenze è un’arte che si può apprendere. Fermarsi a chiedersi: «Come gli sto vicino quando ha bisogno di me?» è un buon allenamento per prestare attenzione alla relazione e imparare a camminare insieme nella vita.

Per natura si è egocentrici, ed anziché chiedersi come si sta accanto all’altro, risulta più facile chiedersi «Come mi sta accanto?». Se si soffre di questa sorta di miopia relazionale vien da sé che difficilmente verrà spontaneo inquadrare la situazione nel suo contesto: «Che cosa sta attraversando l’altro? L’attenzione che mi aspettavo è realistica? In che modo mi do personalmente attenzioni ed in che modo le chiedo o le pretendo?»
Se si è concentrati sul proprio bisogno, proprio come i miopi, l’altro ed i suoi bisogni tenderanno a rimanere sullo sfondo. La situazione peggiora se noncuranti del difetto di vista si cerca di far sentire l’altro carente di cure e di attenzione.
Viceversa se si soffre di ipermetropia relazionale si tenderà a tenere in considerazione i bisogni e le argomentazioni reali e plausibili dell’altro ed a trascurare i propri. Anche in questo caso è facile sbilanciarsi e finire per sentirsi inadatti.

Come fare a tenere conto delle proprie ed altrui esigenze contemporaneamente?
Ci sono di supporto alcune funzioni. Primo: l’empatia, questa capacità di uscire da sé e dal proprio campo visivo per osservare la situazione anche dall’angolazione dell’altro. È una competenza emotiva che cresce insieme alla considerazione ed al desiderio di vicinanza dell’altro.
Secondo: il dialogo. Nessuno nasce indovino, ed anche se crediamo di essere delle persone empatiche a volte possiamo essere indotte in errore e capire fischi per fiaschi. In fondo se ci si pone in due angoli di una medesima stanza, la stanza è la stessa, ma la prospettiva di visuale è necessariamente diversa.
Terzo: la valutazione obiettiva delle proprie condizioni attuali e la loro comunicazione sincera. Se vi trovate in un momento critico, meglio parteciparlo, piuttosto che far finta di niente. Le risorse energetiche sono per natura limitate, questo è un dato di fatto da accettare. Ignorare o sottovalutare questo dato di fatto porta confusione, rammarico e insoddisfazione. In queste circostanze le donne si sentono in genere deluse e gli uomini squalificati. Mentre l’informazione chiara aiuta a costruite contesti mentali comuni e facilita sia la comprensione dei reciproci bisogni sia l’accettazione di essi. Ne consegue lo sviluppo di sane ed adeguate capacità di autosostegno.

L’autosostegno: una risorsa o un limite? Come in ogni cosa l’equilibrio sta nel mezzo. Atteggiamenti come: «faccio da me, non ho bisogno di te», suonano di per sé distanzianti e qualche volta possono essere persino rancorosi. Mentre ascoltare e comprendere che l’altro in questo momento, e non in generale, non può essere al fianco per ovvi motivi, lascia spazio alla fiducia ed alla vicinanza emotiva: «So che vorresti aiutarmi e che mi sei accanto col cuore, ma stavolta faccio io».
Inoltre quando ci si trova a vivere contemporaneamente delle situazioni difficili, già il sapere che l’altro è in grado di gestire quella situazione, alleggerisce il partner di una responsabilità che soprattutto gli uomini sentono sull’altra. In questi casi l’autosostegno è una risorsa fondamentale della unione di coppia.

Lasciarsi sostenere ha a che fare sia con la capacità di lasciarsi sostenere senza sentir messo in discussione il proprio valore, sia con il permesso che si da all’altro di fare qualcosa di bello per voi, riconoscendovene degni. È importante parlare nella coppia di questi aspetti per trovare il modo comune di conviverci. Si proviene da diverse esperienze e qualche volta da diverse culture, si sono maturate negli anni abitudini, convinzioni e bisogni e qualche volta anche delle insicurezze. La conoscenza vicendevole e l’integrazione delle reciproche modalità arriva per gradi e matura con gli anni.

Concludendo possiamo dire che tante cose si possono fare da soli, e seppure in coppia continuare a farle da soli. E tante cose si possono fare insieme o per l’altro senza né delegare né sostituirsi. Occorre solo essere consapevoli che nel mentre si sceglie che veste darsi nel mutuo sostegno come partner, si definisce anche la strategia che con i propri temperamenti permette meglio di coabitare la relazione che si va via via costruendo.



12.2.20

Leggeri, non banali né superficiali

 

Fonte: Città Nuova


Esiste un modo per vivere con leggerezza? E se si come non risultare banali?


Spesso gli aggettivi leggero e leggerezza vengono intesi pregiudizievolmente. Si teme così di risultare banali o superficiali, e così facendo ci si giudica tali. Segue poi l’impulso di dimostrare che non lo si è e si rimarcano alcune caratteristiche del proprio carattere, che da sé stesse rappresenterebbero un pregio, mentre così rafforzate rischiano di trasformarsi in un macigno che la persona si porta addosso con grave sofferenza.

Quello appena descritto è un meccanismo piuttosto diffuso. Stupisce il fatto che chi si trova a vivere queste oscillazioni emotive da un lato vorrebbe vivere più serenamente, mentre dall’altro non se ne da il permesso procurando notevoli costrizioni e tensioni a sé ed a chi gli sta accanto.

La leggerezza designa una condizione della vita che va in sintonia con parole come benessere, gioia, allegria, dinamicità, equilibrio, delicatezza, disinvoltura, apertura, flessibilità. è la capacità di affrontare la vita così come viene, di calarsi nelle situazioni con la possibilità di osservarle da un’altra prospettiva e trovare soluzioni creative che calzano a pennello.

Una caratteristica importante delle persone che esprimono leggerezza è la loro capacità di astrazione, di distaccarsi dal peso delle circostanze, quelle attuali e quelle passate. Esse viaggiano con un bagaglio leggero, ciò che è superfluo o non serve più è archiviato. Cercano di non rimanere imprigionati in concetti e sovrastrutture che cristallizzano la situazione e non offrono spunti per altri pensieri e modi di attraversarla.

Le persone leggere sono capaci di ridere di sé stessi, non temono di mettersi in discussione, ed amano circondarsi di persone che le rispecchiano, che accettano la scioltezza con cui essi vivono e che pertanto gli permettono di continuare ad esprimersi con leggerezza.
Viceversa tendono ad evitare quei contesti, anche familiari, dove la leggerezza è scambiata per superficialità e loro stessi sono velocemente etichettati come persone infantili o poco concrete.

Sebbene siano capaci di trasmettere emozioni positive anche agli altri, devono necessariamente arrendersi di fronte al fatto che alcune persone che non glielo permettono. La distanza che si pone tra sé e queste persone non è da intendere come una distanza affettiva, soprattutto quando si tratta della propria cerchia familiare, bensì come distanza dalle modalità castranti e dai rimproveri espliciti ed impliciti che l’altro muove. Questa induzione di senso di inadeguatezza e di colpa alla lunga è capace di minare la loro energia vitale. La fuga rappresenta l’ultimo espediente per non morire dentro.

La distanza maggiore da percorrere in queste circostanze resta quella mentale, per non lasciarsi influenzare dal giudizio dell’altro. Il saper attendere i tempi dell’altro, la convinzione che non si ha nulla da dimostrare e la capacità di non giudicarsi, daranno risultati nel medio-lungo tempo.

Questo tipo di atteggiamento centrato sul proprio modo di essere protegge dal divenire banali e superficiali. è quando ci si concentra su come apparire che si corre il rischio di divenire banali e per di più di innescare una lotta a chi dimostra più abilmente se è meglio vivere a briglie sciolte o rimanere al sicuro.

Si può imparare a vivere senza pesi? Si, certamente. E lo si fa nel mentre si abbandonano i giudizi ed i pregiudizi, le autocostrizioni ed il controllo e ci si da la possibilità di aprirsi a nuovi punti di osservazione.



30.1.20

A un passo dal matrimonio

 Fonte: Città Nuova


Stai progettando il tuo matrimonio?   Questa frenesia pre-nozze è piuttosto comune. Non lasciarsi sopraffare da essa e soprattutto non perdere di vista l’essenziale di quel giorno, è una sfida tutta da vivere. Ed è già un allenamento per gli anni a venire


Stai progettando il tuo matrimonio?  Siete impegnatissimi tra lavoro, preparativi, parenti e amici e tutto intorno a voi sembra essere impazzito e richiedervi attenzione? Questa frenesia pre-nozze è piuttosto comune. Non lasciarsi sopraffare da essa e soprattutto non perdere di vista l’essenziale di quel giorno, è una sfida tutta da vivere. Ed è già un allenamento per gli anni a venire.

Punto uno: accettare che per alcuni c’è bisogno di un po’ di follia e di immaturità, soprattutto se giovani, per creare un legame che voglia essere duraturo nel tempo e una famiglia. Per altri c’è bisogno di calcoli matematici e sicurezza. Sono stili personaliche qualche volta si riesce a valicare mentre altre si rimane sui propri punti. Certo è che occorrerebbe arrivare al momento del «» opportunamente preparati su quelli che sono i punti forza della relazione ed i suoi punti deboli e qualche pista per starci dentro.

Punto dueattraversiamo nella vita diverse fasi, e la tendenza è quella di una crescita personale (cognitiva, affettiva ed emotiva) sempre maggiore, con sé stesso e con l’altro. Se osserviamo la persona nel suo attimo presente, possiamo immaginare che alcune modalità di pensiero, di comportamento e di sentire possono trovarsi in armonia o in conflitto tra di loro. Una paziente che nell’interazione con il partner utilizzava prevalentemente lo stato dell’Io bambino, in seguito ad un lavoro personale e di coppia, subito dopo le nozze disse: «Sono contenta di essermi sposata nella fase del mio Io adulto». Con questo voleva intendere che non erano presenti in lei movenze (manie di controllo, insicurezze) né retaggi (rabbie, influenze, decisioni anacronistiche sulla sua vita) che la spingevano a quel passo, ma che il passo del matrimonio era compiuto in piena e consapevole liberta di intenti. Si riteneva di fatti matura per accettare tutto quello che dalla relazione sarebbe scaturito. E riconosceva quanto dannose erano state le fantasie che in precedenza avevano guidato la relazione.

Punto tre: il matrimonio è un progetto a due. Come in tutti i progetti, anche nel matrimonio, ci sono risorse (i due coniugi), c’è una struttura (la relazione), c’è una tempistica (l’ieri, l’oggi, ed il domani), c’è uno spazio (qui o altrove = presenza o assenza), ci sono delle regole (la gestione dei confini personali e di coppia, la creazione del Noi, la giusta distanza). Ci sono dei rischi da non sottovalutare: la routine, le intromissioni esterne (manomissioni), l’esaurimento delle energie emotiva. E strategie da mettere in campo: tempi bilanciati per sé, per l’altro, per lo svago, per i bilanci che non solo di tipo economico, per le verifiche sul proprio impegno e sulle nuove esigenze su cui mettere il focus.

Punto quattro: queste valutazioni in corso d’opera servono a capire come vengono utilizzate le energie interne alla coppia, quanto di esse viene investito nel progetto matrimonio e quanto ne può essere investito nelle altre sfere della persona (realizzazione personale, famiglia d’origine, lavoro, amici, hobbies). Un po’ di tecniche di comunicazione efficace tornano utili per far si che il dialogo ed il confronto siano chiari, onesti e profondi. Eventi come gli anniversari ed altri tipi di ricorrenze possono essere delle occasioni per interrogarsi personalmente e confrontarsi poi col partner. E ciclicamente si possono fissare dei momenti di dialogo più profondo.

Punto cinquel’apertura agli altri. Vita a due, confini, ok. Ma c’è tutto il mondo delle relazioni, affetti ed interessi che va capito come può essere integrato alla vita coniugale. Nessuna coppia è un’isola. Né tantomeno la geografia di una coppia resta immutata nel tempo. Si attraversano fasi in cui c’è maggiore o minore apertura agli altri in base a quante energie disponibili restano dopo aver fissato le priorità personali e di coppia di ciascuna fase di vita. Anche questi sono temi che ciclicamente possono essere affrontati.

Durante la preparazione al matrimonio tutti questi temi e dinamiche possono venire fuori: dalle divergenze su come e dove organizzarlo, dalle interferenze familiari in mezzo a cui i fidanzati possono trovarsi, dalla lista degli invitati o dei regali, dall’organizzazione del viaggio di nozze, al come non perdere di vista se ed il rapporto che si sta co-costruendo nel pieno del vortice e potersi ritagliare spazi intimi di dialogo e confronto.

Ognuna di queste tappe implica una maggiore conoscenza di sé e dell’altro, una definizione di chi e come si sceglie, del ruolo da dare agli altri nei preparativi ma poi in futuro anche nelle proprie vite, ed allo stile di festa e di vita a cui si tende. Ma più di tutto permette di creare già i presupposti per allenare la capacità di saper funzionare insieme che di li a breve saranno indispensabile strumento della vita quotidiana.



18.1.20

L’amore in provincia

 Fonte: Città Nuova


Ci sono differenze culturali in amore? E vivere l’amore in città o in provincia può essere la stessa cosa?


Durante una conferenza sul corteggiamento, un partecipante solleva una questione: «Quando si parla del corteggiamento e delle fasi di una relazione non si parla mai della realtà dei piccoli paesi dove la libertà di incontrarsi e conoscersi è ancora limitata alle possibilità di intrattenimento dell’hinterland, al permesso/autorizzazione di uscire e di rientrare in una certa ora, alla disponibilità di un’auto con cui spostarsi, alla complicità di questa o quella figura che fa da spalla. Che fare in questi casi?».

La realtà descritta da questo partecipante per alcuni è lontanissima, per altri è storia quotidiana. Può appartenere ai piccoli paesi così come alla periferia cittadina.

In questi contesti le coppie nascono velocemente, ci si conosce frettolosamente e frettolosamente si maturano decisioni. Pazienza, tenacia e risolutezza vengono allenate, da quei limiti imposti che in ogni caso rappresentano un ostacolo alla conoscenza tra le persone. Affidabilità, premura, e capacità di donarsi possono trovare mille modi per essere espressi anche a queste condizioni. La possibilità di maturare decisioni insieme, di autoregolarsi, di conoscere i propri limiti, lo scoprire le reazioni trovandosi di fronte a contesti nuovi sono limitate. Per non parlare poi delle possibilità di trascorrere insieme una vacanza. Il controllo è esterno, non solo genitoriale, spesso anche sociale.

Per tante generazioni l’amore è sbocciato anche in queste condizioni. E queste rappresentavano a volte parte del rito di passaggio all’età matura e in parte un test per valutare caratteristiche personali ed intenzioni del pretendente.

La relazione amorosa, dal suo sorgere e fino a tutto il suo svolgimento segue a mio avviso le stesse regole ovunque. Ciò che muta sono i modi attraverso cui culturalmente le emozioni e l’interazione si esprimono, ad esempio nei gesti.

Ci si innamora o per somiglianza o per complementarietà. Nel primo caso ci si basa su di un reciproco riconoscimento, sia per le caratteristiche personali sia per quelle culturali. Nel secondo caso si anela a qualcosa che non si ha ma che l’altro ha, ci si basa sul desiderio di lasciarsi completare dalle caratteristiche personali o culturali dell’altro.

La difficoltà principale per chi vive in questi contesti può essere dunque più semplicemente il doversi confrontare con un modo di fare a cui non sente di appartenere più o a cui non si è mai appartenuti. O il desiderio di poter vivere la relazione in libertà e secondo i propri schemi sin dal suo nascere.

Il passaggio sociale che va dal controllo esterno sulla persona, proprio della cultura del noi delle generazioni precedenti, al controllo interno ed al bisogno di conoscere e sperimentare i propri limiti e di autodeterminarsi, proprio della cultura contemporanea detta dell’Io, spiega la difficoltà vissuta lì dove la relazione nel suo nascere e nella sua evoluzione è supervisionata.

Pensiamo non solo ai contesti rurali o delle periferie italiane ma anche a quelle culture dove i partner continuano ad essere scelti o almeno proposti dai genitori, e per eccesso quelle culture dove è il legame stesso ad essere rifiutato. In ogni caso l’uno o l’altro comportamento è reso possibile da una accettazione di base del contesto da parte di entrambe le persone.

Lì dove questa accettazione di base manca ed è impossibile contestare o ribaltare le condizioni dettate dal contesto, questo diventa di per se stesso un dato di fatto da tenere in considerazione per assumere la propria personale decisione sul corteggiamento e sulla relazione.



31.12.19

Il Sì di ogni giorno

 Fonte: Città Nuova


Nel passaggio di inizio anno, è tempo di bilanci e di propositi, quelli rinnovati ogni anno con la speranza che magicamente si realizzeranno e di quelli che è invece arrivato proprio il tempo di metterci mano


Anche nella coppia c’è un sì che si ripete ogni giorno ed è un proposito. È il Sì che tiene insieme la coppia, quello che al mattino ci si ripete per non dimenticare perché ci si è scelti, per verificare a che punto si è nei progetti comuni, e che si è in due a portare avanti la famiglia, anche quando il modo di contribuirvi è diverso.

È un Sì che a volte è leggero da pronunciare ed altre volte è più faticoso proprio come le circostanze e fasi della vita. È un sì che richiede presenza e costanza, le stesse che la volpe, nel racconto di Antoine de Saint-Exupéry «Il piccolo principe», riconosce come caratteristiche del creare un legame capace di dare gioia e senso di appartenenza.

Sovente accade che di fronte ad i sì più difficili da dare, il partner dubiti della loro autenticità pensando che se sono forzati non hanno valore, che l’altro forse non dovrebbe fare quella cosa controvoglia, che la dovrebbe fare per se e non per l’altro. Ma è proprio vero che ciò che costa fatica o viene fatto per l’altro sia controvoglia o senza valore?

Per prima cosa occorrerebbe chiedersi se ci si riconosce valevoli di tanto amore quando il partner fa qualcosa per noi che gli costa. Secondo lo psicologo americano Gary Chapman due dei cinque linguaggi d’amore espressi nella relazione di coppia sono: i gesti di servizio ed il dono anche nella sua accezione di tempo donato e condiviso. Ma in generale tutta la logica dei linguaggi d’amore parla di un fare una cosa che si sa fa bene all’altro perché lo si ritiene speciale, lo si è scelto tra tanti e nel renderlo felice c’è parte della propria felicità.

In secondo luogo, se ci si autorizza ad accettare questo dono d’amore molti dislivelli nella relazione si appianano: da un lato riconoscersi come valevoli di tanto amore appiana il proprio livello di autostima e riempie il serbatoio emozionale di cui ogni coppia ha bisogno per andare avanti, dall’altro a ciascuno viene lasciata la responsabilità di decidere per sé stesso cosa vuole o non vuole fare e dove porre un limite alle altrui richieste. In questo modo non c’è un bilanciere designato a regolare gli equilibri interni alla coppia ma ciascuno si autoregola da sé e la relazione si esprime su un livello paritario e di reciprocità.

Se dunque il partner ha voglia di fare qualcosa di bello proprio per voi, date spazio allo stupore ed alla gioia come forma di ringraziamento che nutre la relazione. La vostra gioia sarà la ricompensa più bella per il suo impegno.

Appartenete invece al gruppo che frena lo slancio dell’altro pensando al lato pratico delle circostanze? Forse qualche volta è necessario ma questo non può durare a lungo senza che la relazione ne esca impoverita. Pertanto si può sempre fare un passo indietro e ricominciare: sia fissando l’entità massima del dono possibile (quando questo è necessario), sia chiedere scusa per non aver saputo accettare il gesto ed dono come avrebbero meritato.

Dunque se nei vostri propositi di questo inizio d’anno c’è l’intenzione di rafforzare la vostra relazione di coppia, allenatevi a dire qualche sì in più, non solo per rendervi disponibili per l’altro ma anche per accogliere quanto l’altro è disposto a fare per voi.

Da parte mia vi auguro tutta la tenacia, la gioia e la lungimiranza possibile nelle numerose quotidiane avventure che la routine della vita di coppia ha in serbo per voi per questo 2020.



21.12.19

Le convinzioni deviate che ci portiamo dentro

 Fonte: Città Nuova


Attenti a quello che si dice di sé perché si finisce per crederci ed interiorizzare la corrispondente emozione. Una riflessione alla luce dell’insegnamento di Eric Berne


Si giocava a tombola domenica scorsa. Il gruppo era ampio. Non tutti noti. Da un tavolo a più riprese durante tutte le tre manche si sentiva «ambo», «terno», «quaterna», «cinquina» e «tombola!!!». La fortuna è proprio sfacciata! Pensavamo in tanti. Ognuno avrebbe voluto entro la fine della seconda manche sedere a quel tavolo. Qualcuno ci ha provato, asserendo che i quei pochi minuti erano usciti i suoi numeri.

Verso la fine della terza manche una ragazza già pluripremiata grida «Tombola!». Decide di abdicare per far continuare il gioco, ma pochissimi numeri ancora e la sua amica e vicina di posto, anche lei già pluripremiata, grida anche lei «Tombola!». Generosamente anche lei abdica per far continuare il gioco. Alla fine della serata c’è chi si consola dicendo «Vabbè, non sono stato fortunato al gioco ma sono fortunato in amore», e chi rimarca l’opposto «Come è che si dice? Fortunata al gioco, ma non in amore! Eccomi.»

Ognuno la prende con allegria e filosofia e ci sta! Ma c’è qualcuno che a quelle frasi ci crede davvero: è il proprio bambino interno.

Secondo Eric Berne la struttura della persona è tripartita. Egli individua nel Genitore, Adulto e Bambino i tre stati interni che regolano il comportamento psicoemotivo della persona.

Al Genitore (interiorizzato) è attribuito il compito sia di sostenere ed incoraggiare quanto quello di normare il comportamento della persona.

 Al Bambino spetta il compito di curiosare, giocare, svagarsi e arrabbiarsi quando incontra il limite.

All’Adulto spetta il compito di tenere i piedi per terra, capire, valutare, organizzare e bilanciare. In questo modo si può trovare l’equilibrio tra le energie in ingresso ed in uscita, si può valutare le risorse che si hanno prima di intraprendere un progetto, o capire se occorre chiedere aiuto ed a chi.

Dicevamo che il Bambino interno ascolta le cose che vengono dette dalla persona e ci crede. Pertanto se sono cose belle si sente contento e ne è fiero, se ascolta cose brutte su di sé automaticamente ne soffre e orienta in tal senso il suo comportamento e le sue emozioni.

Queste conoscenze vengono utilizzate per stimolare pensieri positivi nel marketing ed in psicologia, in base ai quali le persone possono ad esempio prendere nuove decisioni che le riguardano, generare nuove consapevolezze o interrompere pensieri ripetitivi e disfunzionali.

Viceversa, se ci si ripete troppo spesso, anche scherzosamente, qualcosa che nella propria vita non va come la si vorrebbe, il rischio di pensare che non si è bravi in quella cosa, che si è sfortunati o di provare sentimenti di tristezza e di rassegnazione è proprio dietro l’angolo.

E la cosa buffa è che automaticamente si finisce per darla per scontata e non tanto comportarsi così, quanto piuttosto non fare nulla per cambiare lo stato di cose, almeno per ciò che riguarda il proprio intervento.

Attenti dunque a quello che si dice di sé perché si finisce per crederci ed interiorizzare la corrispondente emozione. Ma attenti anche a come lo si dice, poiché una battuta se viene ripetuta troppo frequentemente non è più solo una battuta, e in alcuni momenti serve proprio prendersi sul serio.



14.12.19

Una dipendenza che fa bene

 Fonte: Città Nuova


Spesso si ha il timore che impegnarsi in una relazione coincida col perdere i propri spazi e tempi. Impariamo che esiste un'altra dimensione nello stare insieme a qualcuno, che ha il nome di interdipendenza


La paura di perdere l’indipendenza acquisita rischia di essere fonte di malessere per gli aspiranti partner che desiderano e al contempo temono le relazioni profonde. Questa paura può rappresentare un ostacolo per la relazione ed è esperienza frequente tra molti single adulti che sentono di aver trovato un loro equilibrio. La percezione che essi hanno è che per via della relazione dovranno rinunciare all’impostazione che hanno dato alla loro vita e della quale sono felici. Amici, lavoro, hobby, tempo libero, possibilità di decidere come organizzarsi. In una relazione si sceglie e si programma almeno in due.

Ma è veramente indipendenza quella che hanno raggiunto? O può nascondere tracce di una fase precedente di cui non si parla così tanto? Vediamo come avviene lo sviluppo che va dalla dipendenza all’indipendenza e se oltre questa ci può essere ancora dell’altro.

Dall’infanzia fino all’età adulta si snodano alcune fasi: la dipendenza in cui si ha bisogno di qualcun altro per la soddisfazione dei propri bisogni, è spesso seguita dalla controdipendenza, la cui risoluzione permette di raggiungere l’indipendenza.

Nella controdipendenza la persona ha bisogno di mettere alla prova le sue capacità, la tenuta di un legame, la disponibilità dell’altro ad essergli al fianco indipendentemente dalle sue scelte e dai suoi risultati. Vuole dimostrare a sé stesso, oltre che agli altri, che sa fare da solo, che non ha bisogno di aiuto ma al contempo è ancora emotivamente molto bisognoso di supporto e conferme. Questa fase ha un’alta ambivalenza e dalla sua risoluzione dipende la possibilità di avanzare alla fase successiva dell’indipendenza. Nell’indipendenza la persona si pensa come autonoma, può far fronte ai suoi bisogni materiali, è capace di accogliersi e sostenersi empaticamente, si dà gratificazioni e permessi per ciò che ritiene giusto, sa gestire i suoi limiti e confini, può chiedere aiuto sia perché ne necessità sia perché ha piacere di condividere qualcosa con l’altro. L’antico bisogno di dimostrare qualcosa per mostrarsi responsabile è svanito. Solo a questo punto è possibile una relazione che possa contemplare un partner in cui l’interazione è a un pari livello e in cui i due non dipendono dal reciproco soddisfacimento dei bisogni ma tuttavia hanno piacere di essere l’uno al fianco dell’altro, anche nel momento di bisogno, ma non solo. Questa condizione è detta dell’interdipendenza.

Essa implica la capacità di stare insieme senza confondersi con l’altro e allo stesso tempo contemplandolo nel proprio mondo interno. Nella relazione intima ci si sente mutuamente legati all’altro, si è consapevoli che le proprie decisioni hanno ricadute sull’altro e si è in grado di assumerle tenendo conto dei propri e degli altrui bisogni. Questo coinvolgimento indiretto dell’altro è una responsabilità in più che non può essere gestita né autonomamente né indipendentemente dall’altro. Si rende perciò necessario sviluppare un altro tipo di dialogo e di mutuo riconoscimento tra i partner, di modo di assumere le decisioni.

Ciò che può spaventare è il timore di perdere i vantaggi acquisiti attraverso l’indipendenza e l’autonomia, la paura di affrontare gli aspetti emotivi dell’indipendenza e non da ultimo la preoccupazione che l’interdipendenza possa far riattivare alcuni meccanismi della dipendenza, con la quale condivide alcuni aspetti ma non certamente il background emotivo interno.

Questo timore, se non adeguatamente ascoltato, compreso ed elaborato, rischia di far sedimentare degli equivoci che, poiché ritenuti veri, restano un ostacolo per la costruzione di una relazione. Essi possono ad esempio nascondere retaggi della fase della controdipendenza non ancora risolti.

La relazione intima oscilla per sua natura tra appartenenza e indipendenza. Tanto l’appartenenza, quanto l’interdipendenza hanno qualcosa in comune con l’antica e temuta dipendenza, seppure sono cosa ben diversa da essa.

È molto rassicurante pensare che ogni fase si acquisisce gradualmente e che si tratta di processi che avanzano mano a mano che le circostanze, dentro e fuori della persona, maturano. Niente è assodato in partenza, o ha una data preimpostata. Viceversa per ciascun grado di crescita personale raggiunto si generano in sé nuovi bisogni e nuovi progetti che accendono la miccia per il passaggio a una nuova fase.



5.12.19

Le suocere e la coppia

Fonte: Città Nuova 


Come l’ascolto profondo può aiutare a vivere la relazione riconoscendo le specifiche differenze e a creare la condizione di base perché si possa smettere di reagire sulla base emotiva 


Carla e Andrea hanno due figli e una casa. Per il Natale hanno invitato la suocera, vogliono che si senta in famiglia almeno durante le feste. Vive da sola da quando il marito è defunto e non ha molti contatti sociali. Già all’arrivo della suocera, è chiaro che, nonostante le buone intenzioni, le diverse posizioni delle donne, la difficoltà a riconoscere fino in fondo il reciproco ruolo e l’inconsapevole competizione per chi ne sa di più su Andrea, sull’uomo che era (a cui si riferisce la madre) e che è (a cui si riferisce la moglie), unitamente a qualche indicazione non richiesta sulla gestione dei figli, rischia di rovinare l’umore di quei giorni. Andrea si sente diviso e nel mezzo, qualunque cosa faccia è sbagliata: ora per l’una, ora per l’altra. Guardando dal punto di vista di ciascuno, ognuno ha le sue ragioni. Su questa base ci si sente autorizzati a reagire, e si ignora che le reazioni seguono l’onda emotiva, e conducono a un’escalation dove si perde facilmente il senso di ciò che effettivamente si voleva dire. Ognuno si sentirà vittima e sarà al contempo persecutore dell’altro e Andrea, a cui apparentemente è lasciato il ruolo di salvatore delle situazioni, sarà costretto a stare nel mezzo, e ad essere al contempo vittima e persecutore a turno ora dell’una, ora dell’altra, che percepiranno la sua posizione come alleanza o come tradimento. Egli è diviso tra il ruolo di marito e quello di figlio, ed è anche il punto di unione e di divisione tra le due donne. 


Ognuno si salva da solo! 

È veramente la risposta di Andrea a dover essere giusta o sbagliata, e dunque il baricentro per ristabilire la situazione, o piuttosto c’è un atteggiamento che tutti devono rivedere? Molti problemi tra suocera e nuora si snodano su questa diatriba. Gli atteggiamenti di entrambe si muovono su modalità infantili, in cui entrambe cercano di dimostrare chi è la più competente e brava, chi è la più amata e dunque sostenuta e chi invece è inadeguata, di troppo o di mezzo. Il triangolo drammatico di Karpman palesa come questo sia una sorta di gioco, un modo inconsapevole di vivere la relazione in cui ognuno dei tre partecipanti al gioco è al contempo Salvatore-Vittima-Persecutore nei diversi momenti della stessa situazione. Sentimenti di possesso, senso di colpa, di competizione muovono le diverse risposte possibili di comportamento e fintanto che esse non vengono riconosciute è impossibile smettere di partecipare al gioco. Basta che una delle persone coinvolte interrompa la sequenza, rifiutandosi di continuare a portare avanti il gioco su questa dinamica, e il triangolo si può interrompere. Solo quando uno dei tre smette consapevolmente di non fornire altra linfa, questo processo si può avviare al cambiamento. 


In cosa consiste il cambiamento? 

Carla, Andrea e la suocera devono ancora trovare il loro personale modo di darsi reciproco riconoscimento: nei ruoli che ricoprono, nei modi di fare, nelle esperienze che hanno maturato, nelle scelte e nei progetti che perseguono e non da ultimo nei valori a cui danno importanza. Riconoscere significa differenziare, cioè identificare le peculiarità di ciascuno. E non ha nulla a che vedere con il giudicarle o valutarle. Niente di ciò che appartiene alla persona può essere in competizione poiché parla della specificità di ognuno. Imparando a riconoscersi, invece, si impara a vedere il bene che è in azione nell’altro, anche quando le proprie idee a riguardo sono diverse. Inoltre il punto di osservazione di ciascuno è necessariamente parziale. Per questo è importante imparare ad ascoltarsi fino in fondo al fine di comprendere l’angolazione dell’altro, mentre è una grande svista il presumere di conoscerla già. L’ascolto profondo crea la condizione di base perché si possa smettere di reagire sulla base emotiva. Attraverso di esso Carla potrebbe ad esempio comprendere che alla suocera sta a cuore la loro realizzazione piuttosto che rimproverarli di qualcosa, oppure potrebbe accorgersi che la non accettazione dei loro progetti deriva dalla mancanza di informazioni che non le permettono la comprensione. Dal canto suo la suocera, sentendosi ascoltata e riconosciuta, sarà più disponibile a comprendere la coppia e i loro membri nelle loro scelte, valori e obiettivi, fino a rendersi conto di come, a causa delle sue preoccupazioni, tende a mettere il focus su alcuni aspetti perdendo di vista la globalità e il senso di una circostanza. Il fare squadra di Carla e Andrea non si basa sul contrapporsi ma sull’ascolto, di sé stessi e della suocera. Questo favorisce una maggiore consapevolezza dei loro ruoli, dei motivi per cui hanno assunto quelle decisioni e non altre, e gli permette di essere più assertivi nelle loro comunicazioni. Non ci sono emozioni da espellere, piuttosto idee e progetti da comunicare. Hanno scoperto infatti che l’ascolto autentico dell’altro avvicina, mentre il reagire emotivamente distanzia e non permette di capire. 


A chi tocca iniziare? Non c’è una persona designata, bensì inizia chi per primo si accorge di quello che succede e desidera un modo diverso di viversi come famiglia.



29.11.19

Tornare a credere nell’amore



Fonte Città Nuova 
Quando dopo alcune esperienze deludenti la fiducia nell'amore crolla, si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore pur non credendoci fino in fondo? È giusto accontentarsi? Una riflessione



Crescere in un ambiente in cui l’amore viene espresso permette di ricevere un modello di quello che è la relazione amorosa a cui attingere negli anni a seguire. Ma cosa accade quando non è stato possibile cogliere la bellezza di questa relazione? Cosa succede quando a seguito di esperienze deludenti questa fiducia nell’amore crolla? Si è destinati a vivere e a inseguire un’idea di amore, come trascinati dalla corrente, pur non credendoci fino in fondo? E questa forsennata e dolorosa corsa è forse una sfida per dimostrare che l’amore non esiste, o peggio ancora che non lo si merita, finendo per accontentarsi?
Il tema è alquanto ricco e delicato poiché chiama in causa più fattori di tipo interno, esterno e generazionali. Ed è anche uno dei temi su cui pazienti, lettori e partecipanti ai seminari sull’affettività mi interrogano. Proviamo ad aprire qualche spazio di riflessione.
Cos’è amore? Esistono varie forme e definizioni di amore, ma non tutte portano alla stessa relazione poiché parlano di legami diversi. Lo spiega bene lo psicologo statunitense Robert Sternberg quando definisce i tre pilastri dell’amore: intimità, passione e impegno. È l’unione di questi tre elementi che porta all’amore duraturo di una relazione sana e felice.
Fare i conti con l’esperienza passata. Sia la propria che quella indirettamente vissuta o ascoltata dagli altri attiva paure e porta troppo spesso a false convinzioni quando si cerca di assolutizzarla. Viceversa, contestualizzandola se ne possono cogliere stimoli e lezioni per il futuro.
Assumere una decisioneDecidere vuol dire anche tagliare, scegliere. Vuol dire che qualcosa viene perseguito e qualcosa resta fuori. Senza l’accettazione di questa conseguenza, si rischia di rimanere confusi e smarrire l’obiettivo: una relazione sana, duratura e felice in cui si è felici in due. Si vivono molte belle avventure, e qualche volta, come in una lotteria, si vince pure, ma molte volte si rimane delusi e sofferenti.
Prepararsi all’incontro. L’amore non si cerca, lo si incontra. Ed è possibile a determinate condizioni: essere disponibili ed essere nel tempo giusto.
La disponibilità è prima di tutto una disponibilità ad incontrare se stessi, a conoscersi fin nel profondo, a visitare i propri luoghi bui e temuti, a chiamare col nome le proprie difficoltà senza giudicarsi, a donarsi e donare perdono a chi ha avuto un ruolo nelle proprie ferite, a farsi accompagnare in questo viaggio così scomodo da chi è esperto e l’ha già sperimentato. È imparando ad amarsi che si pongono le fondamenta per un incontro autentico con l’altro.
Il tempo giusto. È il tempo che è stato preparato dall’attesa, un tempo che ha incontrato il vuoto e ne ha fatto l’occasione di un rapporto profondo con se stessi, senza più bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno né di confondere l’amore con la soddisfazione dei bisogni. È il tempo in cui si può finalmente apprezzare l’altro nella sua totalità, per assurdo anche nei suoi lati bui. È il tempo in cui le reciproche libertà si incontrano. E le confusioni sono dissipate, tutto è chiaro.
Credere ancora. Tornare a credere è una scelta. Essa consegue all’elaborazione dell’esperienza maturata, che rappresenta nell’oggi una grande risorsa per non ripetere eventuali errori passati. Ed è anche un moto di accoglienza per il nuovo che arriva.
Come si fa dunque a tornare a credere nell’amore dopo le esperienze deludenti che una persona ha avuto? La risposta è nel percorso personale di vita che ciascuno sceglie di fare, nella consapevolezza che ognuno ha il suo tempo per camminarci dentro e che alcuni strumenti possono sostenere lungo il cammino.

4.10.19

Ritrovarsi dopo la separazione

Un movimento di chiusura e uno di apertura per le coppie che vogliono riprendere una relazione dopo una separazione.

Fonte: Città Nuova


Ci sono due movimenti interni a mio avviso importanti che i membri di una coppia che vuole riprendere una relazione dopo una separazione o un divorzio devono tener presenti. Essi sono contrapposti ma ambedue necessari:
  • Il primo ha a che fare con il bisogno di proteggersi per non essere più feriti, e questo è un movimento di chiusura. Esso è naturale, fisiologico e in un’ottica di relazionalità esprime l’accortezza che i partner in una relazione intima devono avere quando si rivolgono l’uno all’altro su tematiche delicate, soprattutto se esse hanno a che fare con la fase precedente di separazione. Ciascuno ha i suoi tempi per curare e far cicatrizzare certe ferite. Come in un percorso graduale, mano a mano che i coniugi si sintonizzano empaticamente l’uno sulle modalità dell’altro, riescono a comprendersi e sostenersi, e la capacità di fidarsi e di ri-affidarsi cresce.
  • Il secondo movimento ha a che fare con la scoperta del nuovo, e questo è un movimento di apertura. Esso è in relazione profonda con la libertà interiore di essere in un ascolto dinamico di sé ed esprimersi con congruenza; con la capacità di esprimere i propri bisogni e vissuti senza strumentalizzarli; con la disponibilità a leggere il nuovo che c’è in sé e nell’altro e con la possibilità che ci si da e che si offre di lasciarsi stupire nel cambiamento. Se si è troppo attaccati all’idea pregressa dell’altro, questo meccanismo si inceppa ed occorre cambiare gli occhiali, o quantomeno pulirne le lenti.
Nel ricominciare la messa in gioco di sé è totale. Emozioni e vissuti riaffiorano quando meno ce lo si aspetta. Il pensiero laterale di cui come esseri umani siamo dotati, ed attraverso il quale possiamo osservare la medesima situazione da più angolazioni contemporaneamente, permette di osservare dalla propria visuale ma anche da quella dell’altro. Contemporaneamente convivono più consapevolezze, il vecchio ed il nuovo si sovrappongono e con essi la paura di un nuovo fallimento e la fiducia che questa volta sarà la volta buona. Districarsi tra esse non è semplice. E proprio per questo molti preferiscono investire in nuove relazioni per non affrontare queste zone d’ombra emotive interne.
L’atto del guardare a sé ed all’altro con categorie “nuove” o “obsolete” è un’attitudine e come tale si può allenare. Nel primo caso si rinforza il processo di cambiamento, nel secondo lo si nega.
Anche la fiducia cresce nella misura in cui si sceglie di farla crescere, essa non cresce da sé. Va da se che l’atto della scelta è un atto importante, che solo se fatto in libertà e consapevolezza può generare la determinazione e la tenacia necessarie a generare un nuovo rapporto ed una nuova empatia relazionale, in cui al contempo si vede nell’altro colui che un tempo ha ferito ma anche colui che oggi soffre.
La relazione che si genera conduce necessariamente ad un livello di relazionalità molto più profonda e dialogica della precedente relazione finita male. L’atto del riscegliersi, nonostante il fallimento precedente è un atto che ha in se un potere rigenerativo. Non a caso molte coppie che si accingono a ricominciare partono da una dimensione di perdono, e si lasciano sostenere in percorsi di psicoterapia di coppia o cammini di condivisione ed autosostegno in piccoli gruppi come Retrouvaille, soprattutto lì dove la ferita è stata più profonda. E si scopre che ciò che un tempo era solo teoria, può essere anche realtà: ovvero che si è in cammino e che sulla strada si è in due.
È interessante notare che tra le statistiche Istat di matrimoni, separazioni e divorzi, non esistano dati anche parziali su chi riprende la relazione precedente. Questo trend così poco indagato finisce (secondo le supposizioni degli avvocati matrimonialisti, di sociologi e psicologi) nel calderone di coloro che ci ripensano per convenienza economica o per la paura del cambiamento, la fatica del ricostruirsi una storia, la solitudine emozionale, una relazione collaterale che non ha mantenuto le sue promesse, ecc. In questo calderone le esperienze, i vissuti, gli intenti, il coraggio di chi sceglie di ricominciare si annullano dietro al bisogno o all’interesse di un tornaconto.
Il ritornare insieme puntando sulla relazione e sul riinnamoramento non può essere una scelta di comodo, anzi, emotivamente è altamente scomodo. È un atto libero di messa in discussione di sé e di ciò che ha portato al fallimento della prima fase della relazione. È un dirsi vogliamo ancora credere nel nostro amore, nella relazione e vicendevolmente in ciascuno di noi. È decidere di scommettere questa volta con l’esperienza e la maturità affinché le cose funzionino affinché si possa dire “Buona la seconda!”